Creatività al potere
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Creatività al potere

Da Hollywood alla Pixar, passando per l'Italia

  1. 349 pagine
  2. Italian
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Creatività al potere

Da Hollywood alla Pixar, passando per l'Italia

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Informazioni sul libro

L'industria del cinema e quella della fiction (oltre alla letteratura, che le alimenta con i suoi contenuti) hanno un ruolo centrale nella società di oggi: cinema e fiction, dove funzionano, trainano lo sviluppo dell'economia, stimolano l'innovazione, migliorano l'immagine globale di un Paese. In questo saggio – basato ampiamente su interviste inedite e sulla frequentazione diretta e assidua di professionisti del settore – l'autore analizza i meccanismi concreti di impostazione, creazione, sviluppo e realizzazione dei film, mostrando il ruolo ricoperto nella scelta e nella «messa in forma» dei progetti da quell'insieme di aziende e di pratiche realizzative che fanno parte del sistema Hollywood.

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Informazioni

Editore
Lindau
Anno
2013
ISBN
9788867081691

Capitolo 1

Cinema, televisione e letteratura:
l’importanza economico-politica dello storytelling*

1.1 Fiction, immaginazione, consumi

Uno dei grandi problemi degli studi accademici è che nel tentativo di una comprensione totale dell’oggetto si tende a ridurre gli oggetti e i campi stessi di ricerca a dimensioni sempre più ridotte. Cercando fili d’erba sempre più piccoli corriamo il rischio di non vedere gli elefanti che camminano tranquillamente nel nostro giardino.
Questo sembra essere il caso dell’impatto sociale ed economico dei mezzi di comunicazione moderni e, specialmente, quello dei contenuti delle sue grandi narrazioni. Per esempio, in un libro che ho pubblicato qualche anno fa1 ho cercato di mostrare che, benché ancora oggi in gran parte del mondo accademico si tenda a considerare la letteratura e il cinema come mezzi molto diversi e quasi estranei l’uno all’altro, nella vita reale i due fenomeni sono strettamente connessi per diversi aspetti. La maggioranza dei film che vediamo sugli schermi di tutto il mondo sono adattamenti di romanzi. Gli autori di romanzi – specialmente nel mondo angloamericano – sono anche scrittori di cinema e viceversa; gli sceneggiatori leggono molta letteratura; gli scrittori sono con frequenza grandi cinefili2; i grandi registi sono avidi lettori di letteratura, e via di seguito3. Il pubblico che va al cinema, specialmente in Europa, è altamente scolarizzato e coloro che vanno a teatro sono anche grandi lettori di letteratura. Se dal cinema ci trasferiamo alla fiction televisiva, il panorama è molto simile, soprattutto per quanto riguarda l’interscambio dei rispettivi autori e la loro cultura.
Questo non dovrebbe essere motivo di sorpresa, dal momento che le storie sullo schermo e sulle pagine di un libro hanno un fondamento comune: entrambe sono narrazioni. In entrambe troviamo personaggi, trama, cose che accadono; c’è un inizio, uno sviluppo e una conclusione. Entrambe attraggono il proprio pubblico in modo simile, facendo appello alla ragione e all’emozione in modo complesso; condividono gli stessi principi retorici di base4. In inglese esiste un unico termine per riferirsi al frutto della creazione narrativa tanto per il cinema quanto per la letteratura: la parola «fiction», che non ha un corrispettivo esatto in italiano, ma per esempio in spagnolo può essere tradotta abbastanza fedelmente con «ficción».
Fiction è una specie di parola magica perché ha il potere di strappare dalle proprie case milioni di persone – di luoghi molto diversi –, affinché dedichino tempo e denaro per andare a vedere la medesima storia in Paesi tanto diversi come Argentina e Giappone, India e Svezia, Russia e Australia. È interessante riflettere su quanto accaduto nel 1997, quando centinaia di milioni di persone di tutto il mondo, per la maggior parte ragazzi e ragazze giovani, si recarono nei cinema per vedere, commuoversi, provare compassione e speranza, per piangere e gioire, per sentirsi tristi ma felici guardando la stessa storia chiamata Titanic (fu tale l’entusiasmo, che molti di loro – soprattutto molte adolescenti – tornarono al cinema a vedere nuovamente quella storia); la cosa ovviamente si è poi ripetuta per Harry Potter, Il Signore degli anelli (casi di adattamenti da romanzi), per Avatar ecc.
Questa esperienza «soft» (impiego questa parola in modo analogo all’uso che se ne fa per i termini «software» e «hardware» nell’ Information Technology ), ma molto profonda e intima, non può essere priva di conseguenze anche in terreni considerati «duri», come l’economia, la politica, le tendenze sociali in generale.

1.2 Televisione, cinema e sviluppo economico

Per esempio, un importante studio – non conosciuto come dovrebbe – del sociologo inglese Colin Campbell5 rivela l’enorme importanza che ebbe la diffusione del fenomeno narrativo alla fine del secolo XVIII e nel XIX nell’accelerare la diffusione della società dei consumi. Campbell mostra come l’immaginazione (e specialmente l’immaginazione romantica) alimentata dai romanzi – un fenomeno che iniziò a diffondersi socialmente agli inizi del secolo XIX – sia stato un mezzo cruciale per risvegliare il desiderio di acquisire nuovi beni. Secondo Campbell, il desiderio di acquisire beni o cambiare stili secondo i dettami della moda sono conseguenza dello sviluppo dell’immaginazione che ha imparato, attraverso la finzione, a desiderare, a vedere cose nuove, ad avere nuovi sentimenti. L’immaginazione narrativa alimenta l’illusione di felicità raggiungibile attraverso un certo bene materiale o uno status da ottenere. Questa dinamica alimenta lo sviluppo economico e industriale. Sorge un desiderio illimitato che nessun bene umano può soddisfare, perché ogni oggetto concreto è sempre imperfetto e limitato, quando invece il desiderio è infinito6. La dinamica di acquisizione di beni è un processo composto da immaginazione e illusione, e questa illusione porta a nuove fantasie, e a nuovi desideri e nuovi oggetti. Secondo Campbell, oggi non saremmo in una società consumistica se non fosse stato per lo stimolo cruciale dato dall’estendersi, grazie alla diffusione dei romanzi, della nuova immaginazione romantica.
Troviamo qualcosa di simile nell’importante libro di Charles Taylor, Sources of the Self,che tratta delle radici dell’io moderno7. Campbell mostra inoltre quanto sia sorprendente che i movimenti d’avanguardia, dopo una forte propaganda a favore della libera creatività, dell’abbandono totale delle regole ecc., finiscano con l’essere il terreno di coltivazione per l’aumento dei consumi; questo è quello che accadde tanto con i movimenti artistici d’avanguardia nella Parigi della fine del XIX secolo, quanto con il movimento hippie degli anni ’60 in California.
Se Campbell ha ragione con la sua tesi e questa accelerazione del consumismo e del cambiamento sociale si deve a romanzi come quelli di Jane Austen e Walter Scott, si può immaginare quanto grande possa essere l’impatto di un mezzo tanto ricco di storie, di volti, luoghi, oggetti e nuove visioni del mondo, di un mezzo di uso tanto intensivo com’è la televisione (comunemente nei paesi sviluppati la media di fruizione è di più di tre ore al giorno)8 .
Nella gran parte dei Paesi, lo sviluppo della televisione prima (in molte nazioni europee la tv è rimasta in mano allo Stato per molti anni)9– e in un secondo momento lo sviluppo delle reti televisive private, che abitualmente abbondano di richiami a consumare e comprare, hanno dimostrato d’essere, in generale, una gran forza propulsiva dello sviluppo economico. Penso che questo possa essere – in termini generali – socialmente buono; il problema sorge quando le persone sperimentano un miglioramento troppo rapido nello status sociale e non sono capaci di un controllo sul proprio uso del denaro10. Il rapido arricchimento delle persone e il veloce sviluppo economico di una società sono frequentemente accompagnati da corruzione, da un’esagerata importanza attribuita agli oggetti, da una dimenticanza del primato dei valori spirituali ecc. Studi recenti sull’«economia della felicità» hanno dimostrato che lo sviluppo economico generalmente non si accompagna allo sviluppo del benessere delle persone, dell’umana soddisfazione, di quella che possiamo chiamare una vita felice11.
Quando la maggioranza delle televisioni era statale, questa necessità di porre attenzione alla relazione tra il mezzo e la totalità del mercato era già probabilmente molto chiara12. In Italia la Sipra – l’azienda che vende gli spazi pubblicitari della Rai – ha venduto i pochi spazi aperti alle pubblicità a un prezzo molto basso per molti anni. Le aziende erano ansiose di promuovere i loro prodotti in televisione, dato che ogni spot aveva dimostrato di essere molto efficace, con consumatori disposti a comprare questi nuovi prodotti e con prezzi da pagare alla televisione statale molto bassi. C’è chi afferma che questa opportunità sia stata sfruttata per convincere le aziende a comprare altri spazi su media che erano «amici» (per esempio quotidiani pubblicati da partiti politici); però, a ogni modo, questo tipo di relazione tra televisione e aziende interessate alla pubblicità si è rivelata una specie di regalo per il sistema industriale del nostro Paese, ha promosso lo sviluppo industriale grazie a questa grande facilità nel raggiungere il vasto pubblico.
Visto a una distanza di trent’anni, l’arrivo delle reti private, che si sono affermate in Italia durante gli anni ’80, è stato un acceleratore estremamente potente di tutto il sistema economico italiano. Non a caso gli anni ’80 – la decade in cui si è imposto il nuovo modello di televisione – sono ricordati come un periodo di grande effervescenza nello sviluppo economico e dei consumi, come anche dei molti problemi (e sviluppo della corruzione politica) cha hanno comportato. Di fatto, uno dei «meriti» sociali che attribuiscono a se stessi i dirigenti di Mediaset è di avere contribuito con i propri canali televisivi allo sviluppo economico del Paese, grazie alla forza di convinzione al consumo generata dalla pubblicità ospitata nelle proprie reti.
La relazione tra le storie popolari e la forza generale di una società e di una cultura è sempre stata presente – è difficile dire quanto esplicitamente – nell’appoggio che hanno cercato di dare al proprio cinema nazionale due degli «imperi» più importanti del mondo. Non mi sto riferendo meramente al cinema come elemento di propaganda politica, come è stato per l’uso che ne hanno fatto molti dittatori o governi totalitari, come il fascismo italiano o il socialismo sovietico, ma mi riferisco a società «libere» e democratiche, che hanno appoggiato molto efficacemente il proprio cinema come veicolo cruciale per dare un’immagine completa e attraente del Paese (e, insieme all’immagine, tutto il resto: stile di vita, turismo, prodotti nazionali, cultura, musica ecc.).
Uno dei migliori libri recenti che inquadrano nel suo complesso la storia del fenomeno cinema è stato scritto da David Puttnam, l’unico europeo che sia mai stato a capo – seppur solo per poco – di una delle compagnie leader del cinema di Hollywood, una delle famose major13. In questo libro Puttnam mostra che la storia del cinema delle prime decadi è stata – così come suggerisce il titolo The Undeclared War – una guerra tra Francia e Stati Uniti al fine di ottenere che il proprio cinema trionfasse e si diffondesse nel resto del mondo. Puttnam non solamente segnala che questa guerra fu vinta molto rapidamente dalle compagnie americane, ma mostra anche che tutte le volte che l’industria dell’intrattenimento si è trovata di fronte a una crisi, di qualunque tipo fosse, il governo americano ha dato il suo appoggio in modo molto efficace. In Europa tutti sappiamo che una delle condizioni per aiutare le nazioni, dopo la seconda guerra mondiale, era eliminare ogni ostacolo alla circolazione del cinema americano14 ma questa è stata solo una piccola parte della questione, perché gli interventi del governo a difesa dell’industria del cinema sono stati diversi e ripetuti.
Credo sia difficile calcolare l’enorme importanza che hanno avuto – non solamente in termini culturali ma anche economici – i novant’anni di leadership del cinema e i cinquanta della televisione americani: importante per l’«aura» positiva, per il fascino verso tutto ciò che è «americano». Ci sono autori che sostengono che quando qualcuno compra un prodotto Nike, Microsoft, Apple o Disney, in realtà sta «comprando» il sogno americano, vuole essere parte dell’ american dream. È oggi molto facile per noi comprendere le posizioni, i punti di vista politico-culturali degli americani, perché sin dall’infanzia ci siamo nutriti delle loro storie. L’impressione che producono gli Stati Uniti all’europeo che visita questo Paese per la prima volta è abbastanza curiosa; è la sensazione di essere in un luogo molto nuovo, ma al tempo stesso molto familiare.
Mi sembra che questa sovranità mai messa in discussione abbia anche alcune conseguenze negative. Per esempio, il fatto che negli Stati Uniti la gente abbia pi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Quarta
  3. Collana
  4. Copyright
  5. Frontespizio
  6. Introduzione
  7. Ringraziamenti
  8. Capitolo 1 - Cinema, televisione e letteratura: l’importanza economico-politica dello storytelling
  9. Capitolo 2 - Creatività al potere. Il sistema Hollywood
  10. Capitolo 3 - L’anima di Hollywood
  11. Capitolo 4 - L’intreccio fra cinema e tv nell’industria americana e in quella italiana
  12. Capitolo 5 - Il modello alternativo della Pixar e il suo Incredibile successo
  13. Biografia dell’Autore
  14. Bibliografia
  15. Indice