Oltre l'orizzonte
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Oltre l'orizzonte

Dalle caverne allo spazio: come la tecnologia ci ha resi umani

  1. 427 pagine
  2. Italian
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Dalle caverne allo spazio: come la tecnologia ci ha resi umani

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La tecnologia è antica quanto la specie umana e ci ha profondamente plasmato, influenzando la nostra evoluzione, tanto che non riusciamo neppure a immaginare come potrebbe essere la nostra vita in un mondo non trasformato dall'uomo. Fin dalla preistoria, in ogni angolo del pianeta l'homo sapiens ha agito sull'ambiente circostante, realizzando strumenti sempre più raffinati. Soltanto in Occidente, però, questo processo ha intrecciato il proprio cammino con quello della scienza, generando un rivoluzionario ciclo di innovazioni che ha letteralmente proiettato il genere umano «oltre l'orizzonte».Cos'ha reso possibile questa rivoluzione tecnologica? Secondo gli autori, a rivestire un ruolo decisivo è l'incontro tra filosofia greca e razionalismo spirituale giudaico-cristiano, verificatosi per la prima volta nel Medioevo europeo. A dispetto dei luoghi comuni, infatti, è da lì che il progresso tecnologico ha iniziato ad accelerare fino alla velocità vertiginosa dei nostri giorni, senza peraltro smettere di suscitare riflessioni e discussioni riguardo alle possibili ricadute sulla nostra vita e su quella del pianeta.Questo libro, accessibile anche ai lettori non specialisti, si inserisce autorevolmente nel dibattito sul valore e l'importanza della tecnologia per lo sviluppo umano e sul futuro della nostra civiltà.

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Informazioni

Editore
Lindau
Anno
2019
ISBN
9788833532219

1

La tecnologia nella preistoria

1.1 L’animale tecnologico

L’uomo è un «animale tecnologico»: recita così una delle tante definizioni con cui si è cercato di identificarlo. In effetti, una delle caratteristiche fondamentali della specie umana, e parzialmente anche delle specie ominidi che l’hanno preceduta, è stata la capacità di sviluppare una tecnologia che, dai primi tentativi dell’Età della pietra, ci ha portato a uscire dal nostro pianeta per compiere i primi, timidi, tentativi di viaggiare nello spazio.
Da questo punto di vista, l’uomo è radicalmente differente da tutte le altre specie animali che hanno popolato, e tuttora popolano, il nostro pianeta. Sin da quando la vita è comparsa sulla Terra – sulla possibile presenza di esseri viventi in altri punti dell’universo non abbiamo alcuna certezza, e pertanto non possiamo dire nulla – si è sviluppata un’enorme varietà di esseri viventi, che si sono adattati ai vari ambienti mediante un processo, ormai abbastanza conosciuto, basato su mutazioni e selezione naturale. Questo processo ha permesso alle diverse specie viventi di specializzarsi a seconda dei vari ambienti e quindi di colonizzare l’intero pianeta.
Con l’uomo è nato qualcosa di radicalmente differente: per la prima volta si è sviluppata un specie per così dire «generalista», in grado di sopravvivere e poi di moltiplicarsi sino a diventare dominante, in un’ampia varietà di ambienti, senza specializzarsi per nessuno di essi.
Ad esempio, per adattarsi ai climi freddi, le specie precedenti hanno sviluppato una folta pelliccia che costituisse uno strato termicamente isolante. Al contrario, l’uomo ha imparato a procurarsi pelli di animali per confezionare vestiti in grado di svolgere una funzione analoga. Con il tempo ha imparato a filare e tessere fibre di origine vegetale o animale, realizzando materiali non esistenti in natura; infine è riuscito a creare fibre sintetiche con le quali realizzare tessuti in cui la stessa materia prima, contrariamente al cotone o alla lana, non esisteva prima della messa a punto dei relativi processi tecnologici.
Processi simili hanno permesso a una specie, non dotata delle caratteristiche fisiche essenziali per il ruolo di predatore (zanne, artigli…), di inventare armi e utensili in grado di catturare una preda, e successivamente di separare le parti commestibili da quelle che non lo sono (la separazione della carne dalle ossa è un’operazione praticamente impossibile con le sole dotazioni «fisiologiche» della specie umana). Infine, altre invenzioni hanno permesso di trasformare gli stessi materiali di scarto della caccia (le ossa, la pelle) in altri utensili e oggetti utili per un gran numero di scopi.
In realtà, non è vero che l’uomo non ha una sua specializzazione: si tratta semplicemente di un livello diverso di specializzazione. La specializzazione dell’uomo è il pensiero, e l’organo che lo ha permesso è il cervello.
Gli utensili, e gli altri oggetti artificiali che l’uomo ha realizzato, hanno avuto la funzione di protesi che, aggiunte al suo corpo, gli hanno permesso di svolgere un gran numero di ruoli e di colonizzare ambienti molto diversi – da questo punto di vista l’uomo è stato definito una «scimmia aggiunta»1. L’evoluzione biologica della specie umana si è così concentrata in una serie di sviluppi, tutti rivolti alla sua natura di animale generalista. Se guardiamo l’albero genealogico dell’uomo moderno (fig. 1.1) a partire dall’inizio dell’Oligocene (37 milioni di anni fa), vediamo come dalle scimmie si sia staccato il ramo degli ominoidei, che dovevano evolversi nelle scimmie antropomorfe e nell’uomo. Dopo il distacco del ramo dei gibboni, circa 10 milioni di anni fa, avvenne la differenziazione tra i pongidi (scimmie antropomorfe, orango, gorilla e scimpanzé) e gli ominidi, probabilmente con la nascita degli australopitechi. Questa linea evolutiva portò alla comparsa di specie con cervelli di dimensioni maggiori (fig. 1.2), addirittura di dimensioni mai raggiunte prima (almeno per quanto riguarda il rapporto tra il peso del cervello e quello del corpo).
Figura 1.1 - Gli ominoidei. Evoluzione dell’uomo e delle scimmie antropomorfe a partire dagli antenati comuni durante l’Oligocene, circa 30 milioni di anni fa. Si noti la scala dei tempi fortemente nonlineare (molto espansa nelle epoche più recenti) (immagine tratta e modificata da G. Genta, Incontri lontani, Lindau, Torino 2009).
Figura 1.1 - Gli ominoidei. Evoluzione dell’uomo e delle scimmie antropomorfe a partire dagli antenati comuni durante l’Oligocene, circa 30 milioni di anni fa. Si noti la scala dei tempi fortemente nonlineare (molto espansa nelle epoche più recenti) (immagine tratta e modificata da G. Genta, Incontri lontani, Lindau, Torino 2009).
Figura 1.2 - Volume medio del cervello nelle scimmie antropomorfe, negli ominidi e nell’uomo (immagine tratta e modificata da Genta, Incontri lontani cit.).
Figura 1.2 - Volume medio del cervello nelle scimmie antropomorfe, negli ominidi e nell’uomo (immagine tratta e modificata da Genta, Incontri lontani cit.).
La principale linea che ha portato all’evoluzione della specie umana è dunque stata quella relativa allo sviluppo cerebrale. In realtà, il passaggio da scimmia a uomo è avvenuto gradualmente e si sono succedute varie specie di ominidi con un cervello via via più grande fino ad arrivare all’uomo moderno (homo sapiens2) in un arco di quasi tre milioni di anni.
Tuttavia non è solamente un problema di massa cerebrale, ma anche di struttura: man mano che l’evoluzione portava a cervelli sempre più grandi, la corteccia celebrale diveniva più complessa con numerose circonvoluzioni, così da poter avere una superficie sempre più estesa a parità di volume totale.
Parallelamente, altre linee evolutive modificavano l’anatomia della faringe, permettendole di emettere una maggiore varietà di suoni. In realtà questa linea, fondamentale per lo sviluppo del linguaggio, si è manifestata in ritardo rispetto allo sviluppo del cervello: l’uomo di Neanderthal (homo neanderthalensis), comparso relativamente di recente e quasi contemporaneamente all’homo sapiens, aveva una laringe molto più primitiva e con ogni probabilità non aveva sviluppato il linguaggio. Data l’importanza di quest’ultimo per lo sviluppo della capacità di pensare, probabilmente si trattava di un handicap estremamente grave.
Una terza linea evolutiva, fondamentale nello sviluppo umano, è quella che ha portato alla capacità di camminare in posizione eretta. Non si tratta tanto di modificazioni scheletriche – in effetti noi non siamo ancora ben adattati a questa postura, come testimoniato dalla frequenza di patologie alla spina dorsale, sviluppatasi per un modo di funzionamento molto diverso da quello in cui la usiamo – quanto dello sviluppo degli organi dell’equilibrio siti nell’orecchio interno. La nostra capacità di rilevare le accelerazioni con una precisione elevatissima – sconosciuta nel mondo animale – capacità che ha permesso di mantenere una posizione eretta, si è poi rivelata indispensabile per guidare veicoli a motore e pilotare aeroplani. La posizione eretta ha permesso all’uomo di trasformare le zampe anteriori (organi dedicati alla locomozione) in braccia (organi dedicati alla manipolazione di oggetti) ed è stata essenziale per lo sviluppo della tecnologia.
In sintesi, le modificazioni che si concentrano nel cervello, nella laringe e negli organi dell’equilibrio (nonché nelle mani) sono ciò che anatomicamente ci distingue dagli animali.

1.2 Gli utensili di pietra

In realtà, l’uso di oggetti per compiere determinate azioni non è esclusivo dell’uomo, e alcuni animali, occasionalmente, possono usare utensili. Ad esempio, le otarie talvolta utilizzano un ciottolo per rompere la conchiglia di un mollusco e alcune scimmie si servono di un pezzo di legno come bastone, oppure usano un rametto per estrarre le formiche da un formicaio.
Certamente anche gli ominidi più antichi utilizzavano occasionalmente ciottoli con bordi più o meno taglienti per poi scartarli dopo l’uso. Tuttavia, soltanto l’uomo è in grado di costruire un utensile in vista del suo utilizzo e di conservarlo dopo l’uso per compiere azioni future.
I più antichi utensili di pietra, appositamente costruiti, risalgono addirittura a 2,5 milioni di anni fa. Convenzionalmente si parla di Paleolitico inferiore per designare quel periodo di tempo che va da circa 2,5 milioni a 120.000 anni fa, periodo in cui si diffusero in Africa, Europa e Asia l’homo habilis e l’homo erectus.
Per realizzare utensili in pietra non si dovette dunque attendere lo sviluppo dell’uomo moderno: il limitato sviluppo intellettivo dell’homo habilis fu sufficiente per elaborare la cosiddetta cultura olduvaiana (il nome deriva dalla località di Olduwai, in Tanzania, ma si diffuse anche in Europa e in Asia). In particolare, i paleontologi ritengono che gli ominidi di quel periodo non avessero ancora sviluppato un linguaggio e una piena consapevolezza di sé e che quindi non possano essere definiti esseri intelligenti e autocoscienti. Erano però in grado di realizzare utensili in previsione di un loro futuro utilizzo e di conservarli dopo l’uso, cosa che, come già detto, nessun animale è in grado di fare.
Gli utensili di questa cultura sono tipicamente ciottoli appena scheggiati, che potevano avere una gamma di utilizzazioni abbastanza ampia. In ogni caso la loro produzione richiedeva una notevole conoscenza pratica del materiale, conoscenza che, evidentemente, si è lentamente consolidata nei millenni.
Circa 750.000 anni fa una nuova specie umana, l’homo erectus, sviluppò una nuova cultura, la cosiddetta cultura acheuleana (dal sito di Saint-Acheul, presso Amiens, in Francia). Questa cultura è caratterizzata da manufatti litici a forma di mandorla, lavorati su due lati in modo simmetrico («bifacciali» o «amigdale»), e associati a diversi strumenti ricavati da schegge (raschiatoi e punte).
Convenzionalmente si fa risalire il passaggio dal Paleolitico inferiore al Paleolitico medio a 120.000 anni fa (un tentativo di cronologia della preistoria è riportato in figura 1.3) con la comparsa di una nuova specie umana, l’homo sapiens arcaico. La cultura del periodo che va da 120.000 a circa 36.000 anni fa viene normalmente definita musteriana, dal sito di Le Moustier, in Dordogna.
Figura 1.3 - Tentativo di cronologia della preistoria. a): 2,5 milioni di anni prima del presente; per gran parte di tale periodo l’uomo ha vissuto nel Paleolitico inferiore. b): ultimi 40.000 anni prima del presente; in questo periodo si è sviluppato il Paleolitico superiore, il Mesolitico e il Neolitico. Solamente a partire dagli ultimi millenni prima dell’anno 0, l’uomo è uscito dalla preistoria per entrare nella storia vera e propria. Tuttavia bisogna notare esplicitamente che, a partire dal Mesolitico, la cronologia si differenzia, e in certe zone della Terra l’uscita dalla preistoria è relativamente recente. Le diciture «Età del rame», «del bronzo» e «del ferro» (vedi più avanti) hanno ben poco significato in senso assoluto (in quanto la loro cronologia è estremamente variabile), ma al contrario sono utili in senso relativo, per indicare i vari stadi di sviluppo attraversati dalle civiltà in tempi diversi. La cronologia riportata può avere senso solo se riferita alla civiltà che di volta in volta ha effettuato per prima questo passaggio.
Figura 1.3 - Tentativo di cronologia della preistoria. a): 2,5 milioni di anni prima del presente; per gran parte di tale periodo l’uomo ha vissuto nel Paleolitico inferiore. b): ultimi 40.000 anni prima del presente; in questo periodo si è sviluppato il Paleolitico superiore, il Mesolitico e il Neolitico. Solamente a partire dagli ultimi millenni prima dell’anno 0, l’uomo è uscito dalla preistoria per entrare nella storia vera e propria. Tuttavia bisogna notare esplicitamente che, a partire dal Mesolitico, la cronologia si differenzia, e in certe zone della Terra l’uscita dalla preistoria è relativamente recente. Le diciture «Età del rame», «del bronzo» e «del ferro» (vedi più avanti) hanno ben poco significato in senso assoluto (in quanto la loro cronologia è estremamente variabile), ma al contrario sono utili in senso relativo, per indicare i vari stadi di sviluppo attraversati dalle civiltà in tempi diversi. La cronologia riportata può avere senso solo se riferita alla civiltà che di volta in volta ha effettuato per prima questo passaggio.
I manufatti di quel periodo sono molto più vari e ricavati da materiali diversi: non soltanto pietra, ma anche legno e pelli. Inoltre si nota una maggiore differenziazione tra le varie località, caratteristica che indica la nascita di culture differenziate.
L’homo sapiens, e il suo contemporaneo homo neanderthalensis, ha un comportamento alquanto differente da quello dei suoi predecessori. In particolare, nel Paleolitico medio si diffondono:
– la caccia a grandi erbivori attirandoli in trappole naturali;
– il trasporto della selce su distanze anche di centinaia di chilometri;
– la costruzione di capanne;
– la sepoltura, accompagnata da oggetti a scopo rituale;
– la raccolta di terra d’ocra e incisioni (non figurative) con finalità presumibilmente estetiche;
– la probabile realizzazione dei primi strumenti musicali simili al flauto.

1.3 La rivoluzione cognitiva

Gli ultimi tre punti dell’elenco precedente sembrano indicare un radicale cambiamento: per la prima volta sul nostro pianeta si nota la presenza di un essere autocosciente, che «pensa» e si pone domande che vanno oltre i suoi bisogni immediati. Con buona probabilità, all’inizio del Paleolitico medio l’uomo non era pienamente autocosciente: si tratta di un periodo di transizione verso la piena autocoscienza, che si manifesterà soltanto circa 70.000 anni fa, per poi consolidarsi nel Paleolitico superiore, con l’homo sapiens e probabilmente l’uomo di Neanderthal.
Un’interessante ipotesi è quella illustrata da Yuval Noah Harari nel suo Sapiens, da animali a dèi3: nella seconda metà del Paleolitico medio, tra i 70.000 e i 36.000 anni fa, sarebbe avvenuta una vera e propria rivoluzione che non avrebbe riguardato tanto le tecnologie o le condizioni materiali di vita, ma che sarebbe stata innescata dallo sviluppo di nuove capacità di astrazione della mente umana. L’uomo, e in particolare solo l’homo sapiens e non quello di Neanderthal, avrebbe iniziato a ragionare su cose che sfuggono alla sua esperienza sensoriale diretta – in realtà Harari dice che non esistono – e ad attribuire loro una vera e propria esistenza accanto agli oggetti materiali che lo circondano. Questi oggetti, che sfuggono al mondo concreto, sarebbero stati creati dall’uomo gradualmente a partire dalla rivoluzione cognitiva con un processo che continua, forse a ritmo accelerato, anche oggi.
Tra questi «oggetti inesistenti» Harari include gli enti di cui parlano tutte le religioni dell’umanità, dagli spiriti delle religioni più primitive agli dèi delle religioni politeiste, fino al dio dei culti monoteisti, ma anche i valori cui fanno riferimento le nostre dottrine politiche – libertà, uguaglianza, diritti umani ecc. –, gli enti economici e giuridici, dal denaro alle società per azioni, e, potremmo aggiungere noi, gli enti che sono stati gradualmente introdotti dalla filosofia naturale e poi dalla scienza, come le forze, il lavoro, la potenza. Parlando di scienza potremmo includere qui anche cose troppo piccole – o troppo grandi – per poterne avere una qualsiasi esperienza senza un’adeguata strumentazione, come gli atomi (dalla concezione della filosofia di Democrito alla moderna fisica atomica), le galassie o enti su cui non si ha ancora alcuna evidenza sperimentale come le stringhe. Si potrebbe concludere che l’apice di questa creazione di enti inesistenti si raggi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Copyright
  3. Frontespizio
  4. Prefazione degli autori con annessi ringraziamenti
  5. Prefazione
  6. Premessa
  7. 1. La tecnologia nella preistoria
  8. 2. Dalla preistoria alla storia
  9. 3. La razionalità greca
  10. 4. Da Abramo a Gesù: l’orizzonte razionale giudaico-cristiano
  11. 5. Il mondo Romano e la «storia spezzata»
  12. 6. Il Medioevo: «secoli bui» o alba della tecnologia?
  13. 7. L’ingresso della scienza nella tecnologia
  14. 8. Tecnologia, capitalismo e imperialismo: l’ascesa dell’Occidente
  15. 9. Il lato oscuro della tecnologia
  16. 10. Le rivoluzioni industriali moderne
  17. 11. La costante irrazionalistica
  18. 12. Oltre l’orizzonte
  19. Epilogo
  20. Bibliografia
  21. Indice