Le donne di Fiume e il principio di uguaglianza nella Carta del Carnaro
di Barbara Pozzo
Il contesto storico tra fine ‘800 e inizio ‘900
Secondo la ricostruzione che ci consegnano gli storici, il Risorgimento italiano fu il momento in cui «l’altra metà della Patria» uscì dallo spazio privato per abitare, forse per la prima volta, una dimensione pubblica (Banti, 2010, 31). Molte delle pubblicazioni apparse in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia hanno messo in luce – almeno in parte – il ruolo, spesso dimenticato, delle donne nella storia d’Italia (Bertolo, 2011; Cepeda Fuentes, 2011; Doni et Al., 2011; Fondazione Cosso, a cura di, 2011; Galeazzi, 2011; Grementieri, 2011; M. Penna, 2019). Emergono così non solo le donne più famose, come Cristina di Belgiojoso (Proia, 2010; Giurintano, 2011, 129; Dell’Abate Çelebi, 2012, 41; Wood, 2013, 49; Bernieri, 2014; Verdile, 2016; Whitehouse, 2019) o Clara Maffei (Barbiera, 1940; Monti, 1940; Pizzagalli, 1997; Cella, 2013, 165), ma anche figure meno note, come Tonina Masanello, che si travestì da uomo per combattere al fianco dei garibaldini, facendosi passare per il fratello del consorte, partecipando così a tutta la campagna di liberazione del sud Italia, oppure come Rosalie Montmasson, che fu l’unica donna a ottenere da Garibaldi l’autorizzazione a imbarcarsi nella spedizione dei Mille.
Vicende che lasciano una flebile traccia all’indomani della ri-conquistata indipendenza e della proclamazione del Regno d’Italia, quando, alla vigilia della prima codificazione unitaria, si comincia a discutere del ruolo della donna nella società e nella famiglia (Pieroni Bortolotti, 1963, 54-55, 113, 143; Conti Odorisio, 1980, 130-131), e che vedono in Anna Maria Mozzoni (Nicolaci, 2004a, 73; Nicolaci, 2004b, 22-24, 39-42; Natale, 2006-2007, 164; Murari, 2008; Ceccarelli, 2016, 40-41) una strenua sostenitrice dell’emancipazione femminile (Mozzoni, 1864; Mozzoni, 1865).
Il Codice civile del 1865 non prenderà in considerazione queste istanze, accogliendo nella lettera della legge la struttura patriarcale della società dei tempi, sia per quanto concerne i rapporti tra coniugi (v. artt. 131 e 132), sia per quanto riguarda i rapporti tra genitori e figli (v. art. 220). La posizione subalterna della moglie risultava inoltre dalla necessità di ottenere l’autorizzazione maritale (v. art. 165) per compiere qualsiasi atto di disposizione di beni materiali, non potendo nemmeno gestire autonomamente i beni ricevuti in dote (v. art. 139). La scarsa fiducia nei confronti delle donne emergeva anche da tutte quelle disposizioni che negavano loro la possibilità di testimoniare in giudizio (v. art. 351) o davanti al notaio (v. art. 788).
Le prime riforme, peraltro, non tardarono ad arrivare, pur se all’inizio si trattò soltanto di qualche timido cambiamento. Così, nel 1877, veniva a cadere il divieto di testimoniare per le donne (art. unico, L. 9 dicembre 1977, n. 4167), mentre nel 1893 veniva loro riconosciuto il diritto di essere elette come probiviri nelle controversie di lavoro (v. art. 15, L. 5 giugno 1893 n. 295).
Del resto, la presenza delle donne era sempre più diffusa nel mercato del lavoro in più di un contesto. Un intervento organico non giunse però prima del 1902. Con la L. 19 giugno 1902, n. 242, (“Legge Carcano”), intitolata «Disposizioni circa il lavoro delle donne e dei fanciulli» e presto ribattezzata “legge protettrice” delle donne, il nostro legislatore si colloca – pur se con un certo ritardo – nel solco delle iniziative europee, che, a partire dall’inizio dell’800, avevano imposto limitazioni all’orario di lavoro dei fanciulli e delle donne. La Legge del 1902, fortemente voluta dai socialisti ed in particolare da Anna Kuliscioff (Passaniti, a cura di, 2016), seguiva tuttavia un’impostazione di tipo paternalistico: al pari dei fanciulli, la donna veniva considerata in una condizione di minorità e di fragilità, da impiegare come forza-lavoro residuale rispetto alla forza-lavoro maschile, anche al fine di preservare la struttura tradizionale della famiglia (Sileo, 2016, 70). In base alla nuova normativa, contenuta nella L.n. 242/1902, alle donne di qualsiasi età e ai fanciulli fino ai 15 anni compiuti veniva concesso ogni settimana un intero giorno di riposo (art. 9), così come un riposo intermedio durante la giornata lavorativa (art. 8). Veniva inoltre vietato il lavoro notturno ai maschi di età inferiore ai 15 anni compiuti ed alle donne minorenni, seppur con una serie di eccezioni (art. 5). Tuttavia, va anche ricordato come l’abolizione del lavoro notturno per le donne potesse avere anche ragioni diverse da quelle di tutela, poiché la campagna a favore di questa misura era già stata supportata in particolare dagli industriali cotonieri, che, a causa della crisi derivante dalla sovrapproduzione, tentavano in questo modo di costringere anche i concorrenti a ridurre la produzione (Ballestrero, 2016, 44, spec. 49). Alle donne di qualsiasi età erano inoltre vietati i lavori sotterranei (art. 1). La L. n. 242/1902 riveste poi un’importanza notevole per aver introdotto il “congedo di maternità” di un mese dopo il parto, riducibile eccezionalmente a tre settimane. Durante il periodo di riposo post - partum, però, alla lavoratrice non era assicurata alcuna retribuzione, né tanto meno era garantita la conservazione del posto di lavoro (art. 6). Veniva inoltre garantito che, nelle fabbriche in cui lavoravano almeno cinquanta operaie, dovesse essere obbligatoria l’istituzione di una camera d’allattamento, e comunque dovesse essere consentito l’allattamento sia nella camera annessa allo stabilimento, sia permettendo alle nutrici di uscire dalla fabbrica nei modi e nelle ore stabilite dal regolamento interno.
La “Legge Carcano” vede la luce in un momento in cui si consolidano i movimenti per l’emancipazione della donna in Italia (Weber, 1981, 281) e dove anche il dibattito sulla Legge stessa vede contrapporsi le posizioni di Anna Maria Mozzoni, profondamente critica nei confronti delle politiche di tutela fatte proprie dalla Legge, che – nella sua prospettiva – avrebbero costituito un vero e proprio ostacolo all’indipendenza delle donne, con quelle della stessa Kuliscioff, dibattito che sfociò anche sulle pagine dell’Avanti! (Ballestrero, 2016, 44, spec. 50 ss.).
Strettamente collegato al tema del mondo del lavoro, vi era ovviamente quello dell’accesso all’educazione (Uliveri, 1986, 224, Gaballo, 2016, 115; Lirosi, 2016, 58 ss.; per una contestualizzazione della situazione italiana nel contesto europeo, Jacobi, 2013, 235 ss.). Qui vale la pena ri...