Delitti imperfetti. Il cinema e la censura dalle origini al social web
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Delitti imperfetti. Il cinema e la censura dalle origini al social web

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Delitti imperfetti. Il cinema e la censura dalle origini al social web

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Dai classici tagli, divieti e roghi di un tempo alla più moderna censura di mercato, nell'infinito meccanismo möbiusiano di controllori e controllati innescato dall'interferenza dell'immagine sul reale, la parabola della censura cinematografica è un invito alla riflessione su come continuare a filmare, a fare cinema inteso come possibilità di un racconto ancora collettivo nell'epoca delle tecnologie digitali e delle nuove forme sociali di comunicazione. Prima edizione digitale aggiornata al 2013.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788891107961
Argomento
Arte
Categoria
Fotografia

LO SPECCHIO DEI TEMPI


La libertà di manifestazione del pensiero è conditio sine qua non affinché il valore della democrazia non risulti privo di contenuto. Tale principio della libertà di espressione, formulato a partire dalla Dichiarazione Francese dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 e, sino ai nostri giorni, recepito anche nell’ordinamento internazionale e in quello comunitario,[3] trova in ogni regime democratico limiti distinti, ma accomunati da un’intenzione quanto più permissiva di garantire ad ognuno tale libertà.
A questo fine l’articolo 21 della Costituzione della Repubblica Italiana sancisce che:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Tale libertà, secondo la giurisprudenza, comprende tanto il diritto a informare quanto quello a essere informati. Le garanzie disposte al riguardo dall’art. 21 coprono tutte le possibili comunicazioni: non solo quelle orali o scritte, ma anche quelle espresse attraverso un qualunque altro mezzo di diffusione (teatro, radio, cinema, televisione, internet, ecc.).
Inoltre la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Nell’ultimo comma è espressamente contemplato l’unico limite esplicito alla libera manifestazione del pensiero: il buon costume. Alla legge spetta il compito di prevenire e reprimere le sue violazioni.
Con l’espressione “buon costume” è inteso il concetto di “pudore sessuale”, secondo la definizione di “Atti e oggetti osceni” data dall'art. 529 del Codice Penale:
si considerano “osceni” gli atti e gli oggetti, che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore
(esclusa l'opera d'arte e scientifica, in richiamo all'art. 33 della Costituzione).
Dal momento che il concetto di pudore deve essere necessariamente adeguato nel corso del tempo, la Corte Costituzionale si è pronunciata in proposito con la sentenza n. 368/1992, secondo la quale:
[...] il “buon costume” non è diretto ad esprimere semplicemente un valore di libertà individuale, [...] ma è, piuttosto, diretto a significare un valore riferibile alla collettività in generale. [...]
Quindi, gli atti osceni non sono per loro natura offensivi se si esauriscono all’interno della sfera privata, ma divengono tali quando la travalicano, recando pericolo di offesa al sentimento del pudore dei terzi non consenzienti o della collettività in generale.
Infine la Repubblica, in attuazione dei sopracitati articoli 21 e 33 della Costituzione, riconosce il cinema quale fondamentale mezzo di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale.

Le origini della censura sono antichissime. Platone (sec. V-IV a.C.) nella Repubblica bandiva l’arte dal suo ideale perché meramente sensibile e imitativa: ai poeti si deve prescrivere l’argomento e il modo del dire, estendendo questo principio alla musica, al teatro, alle arti figurative. La difesa platonica della censura si basava su una concezione pedagogica dello Stato e sul principio secondo il quale l’arte in quanto mimesis della natura, e quindi copia di una copia, allontanasse ulteriormente l’uomo dal vero (cioè dal mondo delle idee). Condanna inoltre la poesia e la tragedia per la loro funzione psicagogica, cioè suscitatrice di emozioni. Platone ritiene che l’azione drammatica proposta dai poeti tragici nelle loro opere, coinvolgendo gli spettatori nelle azioni e passioni violente rappresentate sulla scena, li indurrebbe all’imitazione di tali azioni e passioni riprovevoli.
A Roma l’ufficio della Censura (da census, censo) fu istituito nel 443 a.C. I censori erano i due magistrati che avevano il compito di effettuare periodicamente il censimento del popolo romano a fini tributari e politici. Col tempo ai censori venne affidata la sorveglianza della condotta morale di ogni cittadino, specie di quelli delle classi più elevate, che potevano essere colpiti da biasimo (nota censoria) e privati dei diritti politici.
Nei secoli III e II a.C. la censura fu la massima carica della carriera politica (cursus honorum). Marco Porcio Catone (234-149 a.C.), ricordato col soprannome di Censore, fu assertore del nazionalismo e fiero oppositore del circolo degli Scipioni, osteggiando l’introduzione a Roma della cultura e della filosofia greca.
Nel I sec. a.C. Augusto si preoccupò di salvaguardare la moralità decretando la proibizione ai nobili di partecipare alle commedie. Lo spettacolo era diventato un’arte infamante.
Tertulliano affermava che l’unico spettacolo bello e degno sarebbe stato il rogo infernale che avrebbe arso nel giorno del Giudizio tutti gli atleti, autori, attori e comparse di tutti i tempi. E tutto questo perché nello spettacolo si finge di essere altri, si cede l’anima al demonio, impersonando le peggiori passioni. Questo motivo alimenterà, nei secoli successivi, la diffidenza della Chiesa verso il teatro prima e il cinema poi.
Anche la Controriforma istituì una rigorosa censura e i suoi canoni vennero stabiliti dal Concilio di Trento nel 1563. Nel 1571 l’incarico della censura venne assegnato da Pio V alla Congregazione dell’Indice le cui mansioni, una volta abolita nel 1917 da Benedetto XV, passarono alla Congregazione del Sant’Uffizio (oggi Congregazione per la dottrina della fede), dove un’apposita sezione provvedeva a indicizzare le opere proibite. L’Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum), creato per contrastare la diffusione di idee eretiche e contrarie ai dogmi della Chiesa cattolica esercitando un vigile controllo sull’editoria, fu abrogato dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965) voluto da papa Giovanni XXIII. La Chiesa adesso ripone nei fedeli sufficiente maturità di critica e di scelta.

Dalle origini al 1920. È possibile far risalire le origini della censura cinematografica al testo unico della legge di pubblica sicurezza (regio decreto 30 giugno 1889, n. 6144) che affidava ai prefetti il compito di proibire le rappresentazioni, all’epoca soprattutto teatrali, per ragioni di morale e di ordine pubblico.
Più specificamente tutto cominciò nel 1907, con un breve filmato che raffigurava i dettagli di un’operazione chirurgica, considerato sconveniente dall’allora ministro dell’Interno Giovanni Giolitti. A seguito di diverse sue raccomandazioni alle autorità, entra in vigore la legge 25 giugno 1913, n. 785, nota come legge Facta (dal nome del suo promotore, ministro delle Finanze del quarto governo Giolitti), che autorizza il governo a vigilare sui film attraverso la revisione preventiva obbligatoria di ogni pellicola e individua le categorie di spettacoli che non si devono autorizzare. Tra essi, quelli contrari al buon costume e alla decenza, quelli contrari alla reputazione nazionale, quelli che riproducono delitti impressionanti, atti o fatti che siano scuola al delitto.
Il primo film iscritto nel neonato Protocollo della Revisione Cinematografica è Alto tradimento (1913), prodotto dalla ditta Pasquali e C. di Torino, anche se in realtà il primo a vedersi negato il visto di censura è I due macchinisti (Enrique Santos, 1913) prodotto dalla Cines, cui spetta il triste primato.
La casistica delle rappresentazioni vietate viene ampliata dal regio decreto 22 aprile 1920, n. 531 includendo anche quelle offensive “del R. Esercito e della R. Armata”. Inoltre regola la composizione delle commissioni composta da due funzionari della direzione generale di Pubblica Sicurezza, un magistrato, un educatore, un esperto in materia artistica e letteraria, un pubblicista e una “madre di famiglia”.
Da notare come, non solo la composizione della commissione e la casistica delle rappresentazioni vietate, ma in part...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Dedica
  5. Epigrafe
  6. INTRODUZIONE L'ULTIMO CINEMA DEL MONDO
  7. LO SPECCHIO DEI TEMPI
  8. CAPPUCCETTO ROSSO E IL GIGANTE TIMIDO
  9. IL CINEMA OSCENO
  10. APPENDICE I SLITTAMENTI PROGRESSIVI DEL VISIBILE PER VIDEOAMBIENTI IN/SENSIBILI
  11. APPENDICE II DOCUMENTI
  12. BIBLIOGRAFIA
  13. WEBGRAFIA
  14. FILMOGRAFIA
  15. NOTE