Come una farfalla di sera
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Come una farfalla di sera

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Come una farfalla di sera

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Nel corso di una sola esistenza possono verificarsi tanto numerosi e
drammatici eventi? È quello che si chiederà scettico il lettore dopo i
primi capitoli di questo romanzo che, pure, è imperniato su fatti storici
realmente accaduti.
Ma, quando avrà assistito alla drammatica partita, dai contorni spesso
macabri, in cui Destino, Caso e Autodeterminazione si contendono con ritmo
incalzante il corpo e l'anima del protagonista, vittima dell'ambiente
storico-sociale di un meridione d'Italia ancora fortemente suggestionato
dalla cultura dell'onore e del rispetto…allora ogni dubbio si dissolverà e
crederà alla verità del protagonista, un uomo la cui vita, sconvolta da
forti passioni e potenti delusioni, è continuamente soggetta a
imprevedibili cambiamenti di fortuna

Domande frequenti

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788891119957
Argomento
Letteratura
Categoria
Teatro

CAPITOLO XXXII

Enrico e Anna si sposarono poco tempo dopo e partirono per Trieste, il cui ricordo continuava ad affascinare l’uomo.
Qualche giorno prima della cerimonia lui le aveva detto con tono suadente: “Io adoro quella città che sorge sul mare dove l’Adriatico cede il posto a una terra aspra e rocciosa, quella regione battuta dalla bora, dove cresce tenace il ginepro e i pini marittimi sfidano la salsedine e il gelo dell’inverno”. E Anna, benché restia a lasciare la famiglia, aveva finalmente capitolato.
Affittarono un appartamento nel cuore di Trieste, piccolo ma confortevole e affacciato direttamente sul canale di Ponterosso, dov’erano allineate, l’una accanto all’altra, numerose batane, le tradizionali barche a fondo piatto e murata dritta. Facili ed economiche da costruire, esse venivano allora usate in tutto l’Adriatico settentrionale per il trasporto delle merci leggere e la piccola pesca sottocosta.
Davanti al portone di casa si ergeva la chiesa di San Spiridione, un importante tempio serbo-ortodosso sormontato da cinque cupole di colore azzurro, una presenza rassicurante per la giovane sposa, benché sede di una confessione religiosa diversa dalla sua.
Nell’appartamento trovarono installata una vecchia stufa in maiolica, che - disse loro il proprietario - sarebbe stata assai utile, considerati i rigidi inverni triestini. Anna, piuttosto freddolosa di natura, fu lieta di questo vantaggio in più, ma in seguito avrebbe comunque rimpianto il clima temperato della sua terra.
Appena giunto a Trieste, Enrico rintracciò i fratelli Carmelo, Maria e Concettina, che, come aveva appreso dalla lettera di Francesco Nicolosi, abitavano da molto tempo in quella città. Si diedero appuntamento nel modesto appartamento in cui Carmelo abitava con la moglie e tre figli. Anche le due sorelle erano ormai entrambe sposate con prole. Tuttavia, quella prima volta, fecero in modo di incontrarsi da soli, senza le rispettive famiglie: avrebbero avuto tante altre occasioni, in seguito, per stare tutti insieme!
Dopo essersi abbracciati in preda a una viva emozione, si sedettero intorno al tavolo della cucina e bevvero una tazza di caffè, che Carmelo, ancora attaccato alle tradizioni meridionali, non mancò di offrire come prima cosa agli ospiti. Poi cominciarono a parlare, ma avevano così tante cose da dirsi che non sapevano da dove cominciare.
Fu Maria a rompere il silenzio. «Sei un po’ dimagrito, fratellone» gli disse con un sorriso vagamente canzonatorio sulle labbra.
«Solamente un po’» rispose Enrico, mentre gli altri li guardavano sorridendo per la banalità dell’approccio. «Invece tu sei diventata una splendida donna, più bella di quanto promettessi da bambina.»
«Anche tu sei più bello che mai, Enrì» osservò lei, accarezzandogli le cicatrici del volto e pensando che doveva aver sofferto le pene dell’inferno da quando era fuggito dalla masseria. Tuttavia, il suo modo di tenere alta la testa e la forza d’animo, che traspariva dal suo sguardo, le richiamarono alla memoria il periodo di Francavilla. D’impulso lo baciò sulla guancia. «Ti ricordi quando d’estate trascorrevamo le nostre serate seduti al fresco nell’aia della masseria?» disse con un sospiro intriso di nostalgia.
«Certo che me lo ricordo» rispose Enrico intenerito. «Ricordo pure che allora affermavi, con convinzione, che le galline nere danno il doppio delle uova rispetto alle bianche» aggiunse ironico, prendendola in giro come faceva allora.
Maria scoppiò a ridere. Anche gli altri risero di cuore. Poi si unirono al coro dei ricordi. La loro gioia era un po’ appannata dall’assenza di Annina, che i ‘Triestini’ non vedevano da tanto tempo, ma Enrico, il quale aveva avuto modo di incontrarla nel suo recente viaggio in Puglia, portò loro il suo affettuoso saluto.
«Mi siete mancati tutti molto, e vi ho pensato spesso…» esclamò a un certo punto, ma, accortosi che Carmelo lo guardava con muto rimprovero, s’interruppe abbassando gli occhi. Si sentiva terribilmente in colpa, perché in realtà non era stato proprio così. E ne era perfettamente consapevole.
«Adesso, però, siamo di nuovo tutti insieme» gli disse per consolarlo il fratello, prendendogli le mani tra le sue. «I nostri figli possono finalmente conoscere lo zio d’America. È meraviglioso, non ti pare?»
Quando Enrico alzò di nuovo la testa, i suoi occhi erano velati di lacrime. «Sai che cos’è veramente meraviglioso? Che anche le ‘anime dannate’ al pari di me possano piangere di commozione» mormorò.
Ben presto l’Italia, come si era temuto, entrò in guerra e trascorse in stato di belligeranza vari anni, durante i quali, nell’immane tragedia che colpiva, sia pure in modo diverso e più o meno grave, tutta la popolazione, si avvicendarono per i due sposi giorni sereni e cupi.
L’inverno del 1944 fu straordinariamente rigido. La neve coprì tutto l’altopiano carsico e la bora la spinse con le sue gelide folate fino nel cuore di Trieste. La gente, impoverita dalla guerra e avvilita per la situazione generale, se ne stava il più possibile rintanata in casa, e non solo per l’inclemenza del tempo.
Una mattina Enrico era indeciso se uscire, affrontando le raffiche della bora, o rimanersene in casa al calore della stufa. Sua moglie entrò nella stanza e, vedendolo con il naso appiccicato al vetro della finestra, intuì ciò che intendeva fare.
«Non ci pensare nemmeno a uscire di casa con questo tempo!» gli disse teneramente imperiosa.
Enrico si voltò e le gettò un’occhiata perplessa, ma non rispose. Poi riportò lo sguardo fuori della finestra.
Allora Anna gli si avvicinò parlandogli con tono rassicurante. «Non ti preoccupare, abbiamo tutto ciò che ci serve. Andrai a lavorare domani, quando ripristineranno la viabilità delle strade e la bora sarà calata almeno un po’. Il tuo padrone, visto il poco lavoro che c’è, sarà ben contento di risparmiare la paga di una giornata.»
Enrico continuava a tacere.
«Mica cade il mondo, se oggi rimani a casa» insistette lei e, in quel mentre, una raffica di bora ancora più forte fece tremare i vetri delle finestre.
«Hai visto che folata? Sarà stata almeno a 100 km all’ora, non ti pare? Non è tempo da cristiani, questo» riprese più sicura del fatto suo.
Enrico si girò di nuovo verso di lei e la guardò negli occhi. «Sei pentita, vero, di avermi seguito quassù?»
«No! Perché ti vengono in mente queste strane idee?» chiese lei, un po’ stupita.
«Non lo so. Forse perché…» Enrico s’interruppe girovagando qua e là con lo sguardo.
«Ho capito! Almeno copriti bene: prendi anche la sciarpa e i guanti» gli raccomandò infine la donna sospirando.
Appena lei ebbe pronunciato queste parole, l’espressione corrucciata di Enrico mutò divenendo beata come quella di un bambino appagato in un suo capriccio. «Non ti preoccupare per me. Appena termino il mio turno, rincaso immediatamente» le promise. Poi s’infilò il cappotto e uscì, diretto all’Hotel Gran Duca D’Aosta, dove lavorava come cameriere.
La città appariva grigia e spettrale ai suoi occhi; non rispondeva certo all’immagine che gli aveva offerto di sé quando l’aveva visitata la prima volta. La guerra aveva sconvolto il modo di vivere dei triestini, togliendo loro il naturale brio. Nessuno, in quel mondo in cui si respirava terrore e paura, credeva più in niente. Nessuno faceva progetti. Ogni iniziativa veniva bloccata da un pessimismo nichilista.
Ultimamente la situazione era, se possibile, peggiorata: l’Italia aveva firmato un armistizio con i suoi ex nemici e il Paese era stato occupato militarmente dai tedeschi. Questi, e i fascisti con loro, facevano fucilazioni e stragi sempre più di frequente. Ormai era in atto una vera e propria lotta fratricida!
Enrico, il cui atteggiamento apatico nei confronti della guerra era mutato, ogni sera, seduto accanto alla radio con il suo vicino di casa Marco Milic, ascoltava il resoconto dettagliato dei combattimenti sulla linea gotica che divideva l’Italia a metà.
Terminato il turno di lavoro alle sette, l’uomo stava percorrendo di buon passo le strade deserte della città, per arrivare prima possibile a casa dalla sua Anna che lo attendeva ansiosa. Il vento, soffiando con violenza, gli faceva percepire maggiormente il freddo. Strinse i denti e accelerò il passo, anche perché alle otto scoccava il coprifuoco e lui non aveva il permesso speciale. Per i fascisti era sempre un assassino e prima o poi gli avrebbero presentato il conto.
Il boato di un’esplosione fortissima lo colse di sorpresa. Il bagliore delle fiamme veniva dalle parti di via Ghega, la strada che conduceva alla stazione dei treni. «Un altro attentato! Altri lutti, altro dolore» si disse ad alta voce scuotendo la testa, mentre, spinto dal vento che soffiava nella sua stessa direzione, gli arrivava alle narici l’odore acre del fumo. Si accorse che i pochi passanti intorno a lui avevano cominciato a correre e li imitò: non era prudente rimanere nelle vicinanze di un atto terroristico.
Quando giunse nei pressi della chiesa di Sant’Antonio, notando una macchina nera ferma davanti all’ingresso di casa sua, si bloccò all’istante.
Non c’era alcun dubbio: era un’automobile dell’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza. Di certo erano lì per lui. Aveva già saputo di molti triestini prelevati dalle proprie case e consegnati ai tedeschi dalla polizia locale o da una speciale milizia istituita dal podestà di Trieste.
Ed ecco venirgli incontro Marco Milic. Avvolto in un pastrano di lana scura, si appoggiava pesantemente sul bastone. Gli sembrò insolitamente vecchio e fragile mentre, colpito da una raffica di vento più forte delle altre, sobbalzava e si fermava, ma, quando il vento terminò il suo assalto rabbioso, lo vide di nuovo avanzare verso di lui.
«Hai sentito l’esplosione?» gli domandò Milic, una volta giuntogli di fronte.
«Sì, l’ho udita. Cos’è successo?»
«C’è stato un attentato alla Soldatenheim. Pare che siano morti cinque tedeschi» disse con tono serio.
«Capisco» annuì Enrico, sempre più preoccupato.
Milic rimase in silenzio per qualche secondo, poi riprese a parlare e la sua voce sonò ancora più grave. «Sono venuti a cercarti. Sospettano di tutti e vedono nemici dappertutto. Credo che ti vogliano portare al carcere del Coroneo per interrogarti. Sono lupi resi famelici dalle loro stesse stragi…»
Enrico lo guardava con una smorfia di sorriso pietrificato sulle labbra.
«Devi fuggire, darti alla macchia: è l’unica possibilità che ti rimane. Gli ordini del comandante della Wehrmacht Ludwig Kubler sono chiari: ‘terrore contro terrore, occhio per occhio, dente per dente’.»
«Capisco» ripeté Enrico, ma rimaneva inerte.
«Scuotiti, Enrico, fallo anche per Anna. Devi fuggire in Slovenia e raggiungere le brigate partigiane del IX Corpus. Là sarai al sicuro.»
«E Anna?»
«Anna sopravvivrà, stanne certo. Ti prometto che le starò accanto, come se fosse mia figlia.»
«Ma non so neanche dove andare!»
«Raggiungi il borgo di Prosecco e, appena giunto in paese, va’ alla terza casa a sinistra e bussa per cinque volte consecutive alla porta. Quando ti chiederanno chi sei, rispondi che ti manda Cece. Loro capiranno e ti aiuteranno.»
«Signor Milic, non so come ringraziarla…»
«Non serve. Te lo meriti il mio aiuto.»
«E perché?»
«Perché sei un buon cabibbo e per giunta non sei fascista. Due qualità difficili da riscontrare… Ora è meglio che tu vada. È pericoloso rimanere esposti come siamo.»
«Grazie ancora, signor Milic. Dica ad Anna che ritornerò. Anche se dovessi rimanere via per molto tempo, ritornerò. Glielo dica, per favore.»
«Lo sa già, Enrico, lo sa già, non ti preoccupare! Ora vai. Percorri...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Introduzione
  5. CAPITOLO I
  6. CAPITOLO II
  7. CAPITOLO III
  8. CAPITOLO IV
  9. CAPITOLO V
  10. CAPITOLO VI
  11. CAPITOLO VII
  12. CAPITOLO VIII
  13. CAPITOLO IX
  14. CAPITOLO X
  15. CAPITOLO XI
  16. CAPITOLO XII
  17. CAPITOLO XIII
  18. CAPITOLO XIV
  19. CAPITOLO XV
  20. CAPITOLO XVI
  21. CAPITOLO XVII
  22. CAPITOLO XVIII
  23. CAPITOLO XIX
  24. CAPITOLO XX
  25. CAPITOLO XXI
  26. CAPITOLO XXII
  27. CAPITOLO XXIII
  28. CAPITOLO XXIV
  29. CAPITOLO XXV
  30. CAPITOLO XXVI
  31. CAPITOLO XXVII
  32. CAPITOLO XXVIII
  33. CAPITOLO XXIX
  34. CAPITOLO XXX
  35. CAPITOLO XXXI
  36. CAPITOLO XXXII
  37. CAPITOLO XXXIII
  38. CAPITOLO XXXIV
  39. CAPITOLO XXXV
  40. Indice