QUADRELLI
PROSASTICA
Il gabbiano dalle ali appesantite
per lo strato di nafta fuoriuscito
dallo squarcio s’un fianco
di una nave cisterna
malamente finita contro scogli,
non riesce più a volare.
È s’un picco di roccia
dove nessuno può arrivare senza
mettere a repentaglio la sua vita,
circondato com’è da persistenti
marosi di violenza proibitiva
che producono schiume come fauci
spalancate nel piglio d’inghiottire.
La cinepresa lo riprende mentre
tenta invano di smuovere le ali
appiccicate al corpo.
L’inviato ambientalista che con voce
rotta dal cruccio biasima il disastro
si chiede come agire per salvarlo.
Dopo ulteriori esecrazioni, e dopo
essersi consultato con alcuni
soccorritori, desolato annunzia
che il solo modo di evitare al misero
volatile una morte disgustosa
è di puntargli contro
un fucile munito di mirino
di precisione: evidente accenno
al metodo che libera uccidendo:
spietato sì, ma perlomeno ch’evita,
a chi malcàpita, agonia crudele.
Dopo alcuni minuti
cupa ed inconfondibile
una sagoma spunta, ritagliandosi,
nera, sul grigio della nuvolaglia
che domina la scena.
Avanti, tiratore scelto, spara!
Così una volta almeno
le negatività di una pallottola
verranno finalmente riscattate
da un gesto di pietà, per quanto atroce.
Spara ed uccidi, libera quell’essere
dalla nausea mortifera che lo opprime.
Intervieni sul fato, obbligandolo
a rinunciare alle sue lungaggini.
Un colpo, un crollo, un rotolare a balzi
del povero animale sfortunato
fino a sparire nell’infausto flutto
- questo il meglio per lui - e un compianto
per chi partecipa alla sua sventura.
Chiude così una vita,
venuta al mondo non si sa perché,
in un contesto che l’ha resa inezia,
trascurabile nulla,
e finita in tragedia.
(Sorte, questa, pietosa e ineluttabile
della massima parte delle vite,
soprattutto se d’anima inferiore,
animali cioè, senza destino
che non sia, assurdo degli assurdi,
per legge di natura o umano imperio,
di fare da contorno ad una specie
- la nostra - che non va per il sottile,
e tutto accomoda a suo proprio utile
senza curare quali e quante vite
debba sacrificare per raggiungerlo.)
SOGNO INQUIETANTE
Sogno inquietante. Ero s’un’altissima
roccia a strapiombo sopra un vuoto, a picco,
smisurato pianoro. Che in breve
si riempì di un’agitata, immensa,
folla reietta: si vedeva dalle
vesti cadenti, dai visi negletti.
Lo strano fu che in meno breve tempo,
e in silenzio, l’inquieta moltitudine
si conformò ad immagine di un volto.
Artefici del fatto inesplicabile
furono le cromìe delle facce
e delle vesti, le più varie e tinte,
che andarono veloci componendosi
fino a formare - non forti ma chiari
quel tanto che bastava per dirimere
ogni dubbio in proposito, ogni equivoco -
lineamenti rimandanti a un viso.
Ero sorpreso. E presto la sorpresa
in apprensione tramutò, poi ansia,
poi divenne sgomento, infine trauma,
quando mi avvidi che i tratti somatici
così ottenuti, funebri alludevano
al volto più simbolico dell’Uomo
e della Storia: il volto della Sindone,
regalmente severo, inquietante
pure ...