I raggi di un sole intenso picchiavano sopra le cupole della Basilica di San Pietro, illuminavano le imponenti mura vaticane, si infrangevano con forza sulle vetrate delle serre fino ad accarezzare gli immensi giardini della città dove numerosi prelati si recavano in direzione del Palazzo Apostolico.
Nell’aria si percepiva un grande fermento a causa del lento aggravarsi delle condizione del santo Padre. I giornali non parlavano d’altro da giorni “Presto ci sarebbe stato un altro conclave” intitolavano quasi tutti, e Roma stessa, insieme a tutti i fedeli, rimaneva col fiato sospeso.
Nella grande sala all’interno degli appartamenti pontifici i tecnici della scientifica analizzavano accuratamente il luogo in cerca di indizi, nell’angolo opposto il comandate della Gendarmeria Vaticana Vittorio Farnese parlava sottovoce con un porporato. <<Eminenza lei è davvero sicuro che nessun’altro sia entrato senza permesso?>>
<<Comandante non sono più sicuro di niente oramai>> il cardinale alzò il capo e si fece il segno della croce. <<Numerose persone sono venute al capezzale del santo Padre in questi giorni, ambasciatori, capi di stato e moltissimi esponenti della nostra Chiesa.>>
<<Ho bisogno che mi faccia avere una lista dettagliata, anche delle visite non ufficiali>> disse il comandante.
<<Lo farò al più presto.>> Il cardinale Augusto Silandri era visibilmente preoccupato. <<Mi dica hanno portato via oggetti di valore?>>
<<Stiamo controllando in questo momento, ma sembra che l’unica cosa che manchi siano alcuni documenti di una certa importanza dal suo ufficio.>>
<<Questo non ci voleva, sua Santità non ha bisogno di altri lugubri pensieri in questo momento>> sottolineò Silandri.
<<Quali sono le sue condizioni?>>
<<Non delle migliori. Spero che nostro Signore lo accolga presto tra le sue braccia e metta fine alla sua sofferenza.>>
<<Lo speriamo tutti Eminenza.>>
Il cardinale gli pose una mano sulla spalla e lo accompagnò nella stanza del Papa.
Lì il vescovo di Roma giaceva immobile nel letto, la sagoma delle lenzuola bianche lasciava intravedere il suo corpo smunto e il viso, segnato dalla fatica degli anni, sembrava ancor più provato a causa del malessere.
Il comandante si sforzò a guardarlo, ma non ebbe la forza di continuare. Quell’uomo un tempo così pieno di vita era stato il suo faro in gioventù, lo aveva accolto come un figlio come faceva con tutti d’altronde, il termine padre della Chiesa non era mai stato più che opportuno. Ricordò quando fu promosso a capo della Gendarmeria e dell’onore che gli fece quel giorno. Eppure in quel momento si sentiva in qualche modo di averlo deluso, non era nemmeno riuscito ad impedire un furto sotto il suo stesso tetto e questo era imperdonabile.
Lasciò la stanza a capo chino, giurando a se stesso che avrebbe trovato il colpevole, glielo doveva non solo come fedele, ma anche come figlio.
Sotto quel caldo cocente due operai in presenza di un addetto alla sicurezza si apprestavano a sollevare delle zolle di terra in una sezione dei giardini Vaticani.
<<Cosa state facendo esattamente?>> chiese l’agente.
<<Sembra ci sia una perdita in questo punto del sistema di irrigazione>> rispose uno degli operai.
L’altro, continuando a scavare, si accorse di qualcosa che affiorava dal terreno.
<<Sembra un tubo, forse l’abbiamo trovato>> disse rivolgendosi al collega <<vieni qui a darmi una mano.>>
I due addetti ai lavori smossero la terra con delicatezza per evitare di danneggiarlo, ma non credettero ai loro occhi quando videro emergere la sagoma di un teschio umano con le orbite ricoperte di nero terriccio.
<<Oh…mio…Dio>> disse uno dei due indietreggiando goffamente.
I due operai rimasero impietriti davanti a quello spettacolo, mentre il giovane agente filò via per allertare la sicurezza.
Dopo pochi minuti quest’ultimo si ritrovò a correre a perdifiato in preda all’agitazione. Attraversò il cortile di San Damasco e si diresse verso gli appartamenti pontifici, lì percorse in un baleno il lungo corridoio che portava alle stanze del santo Padre e, ignorando l’intimazione delle ...