Elementi e tecniche di intervista
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Elementi e tecniche di intervista

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Una vittima di violenza e la necessità di capire cosa è successo. Ecco come attraverso alcuni accorgimenti e seguendo facili protocolli si può raggungere la meta.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788891137319
Categoria
Criminology
1. LA VITTIMA
La migliore definizione di VITTIMA la possiamo trovare nella definizione data, ormai più di dieci anni or sono, dalla Decisione Quadro n. 220 del 15 marzo 2001 del Consiglio dell’Unione Europea inerente la posizione delle vittime di reato durante il procedimento penale, secondo la quale, la vittima è:
la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro”.
Questa l'odierna definizione, ma come era considerata la vittima nel lontano passato. partiamo quindi con un breve escursus su come venne vista la vittima nel passato, sino a giungere ai nostri giorni.
Nel profondo passato la vittima veniva considerata alla stregua di una testimone che doveva per legge fornire le notizie in suo possesso (era suo dovere), spesso sottoposta a veri e propri interrogatori portati avanti senza cautele e con veemenza dal Procuratore/Inquisitore che si ammantava della sublime veste di colui che cerca la verità, autorizzato, pertanto, ad utilizzare ogni e qualsivoglia mezzo (nei tribunali medievali e anche in quelli del Santo Uffizio i testimoni erano spesso sottoposti alla tortura, nella convinzione che le persone non dicano la verità se non costrette).
Non esisteva la cultura della difesa della vittima, per cui la stessa molte volte dopo aver rilasciato testimonianza, ritrattava ogni sua dichiarazione terrorizzata dalle possibili reazioni del violento o della sua famiglia.
Da non sottacere, inoltre, la scala dei valori di una testimonianza se resa da popolani, da persone di censo o da nobili (si riteneva che un nobile, per sua natura, non poteva mentire, al contrario era ritenuto che una persona del vulgo ben difficilmente avrebbe reso una sincera testimonianza).
Dall'Illuminismo, si cominciano a incontrare nuove valutazioni sulle vittime di reati, si inizia a cambiare questo modo di pensare e di agire, anche per la diversa considerazione della persona, cominciano a formarsi le teorie sulle varie tipologie di vittime e sulle loro varietà eziologiche.
Dobbiamo, però, giungere alla fine del 1800, con lo sviluppo degli studi psicologici, per incontrare i primi studi completi sulle vittime di comportamenti delittuosi, che affrontano in maniera razionale il problema e ne delineano, tracciando le condotte, le linee psicologiche dei vari tipi.
Il dott. Sigmund Freud, nel 1894, descrive in maniera particolareggiata le azioni che le vittime di reati violenti compiono nell’intento di difendersi da idee ed emozioni che provocano loro dolore e per la prima volta usa il termine “rimozione” per esplicitare il comportamento con cui la vittima tende a nascondere, a se e agli altri, seppellendoli nel profondo, i fatti di cui è stata destinataria.
Identificò alcune proprietà delle difese dell’Io :
sono lo strumento principale con cui il soggetto gestisce gli istinti e gli affetti.
sono inconsce.
sono discrete l’una rispetto all’altra.
nonostante spesso costituiscano la caratteristica distintiva delle maggiori sindromi psichiatriche, tendono ad essere reversibili.
Anna Freud introdusse il concetto di “identificazione con l'aggressore”, ampiamente poi ripreso da Sandor Ferenezi (1873-1933), con la quale si tende a spiegare dei comportamenti normalmente osservati nei bambini.
Nel 1948 nasce ufficialmente la Vittimologia, anche se ancora non aveva questa denominazione, con lo studio di Hans von Hentig: “The criminal & his victim:studies in the sociobiology of crime” che elabora tre concetti fondamentali:
criminale-vittima
vittima latente
relazione specifica tra il criminale e la vittima.
Lo stesso ritiene che specifiche condizioni come l’appartenenza al genere femminile, la giovane età o l’anzianità, la debolezza mentale, l’appartenenza a minoranze etniche o razziali e ancora la depressione e la solitudine, attirino a sé il criminale che individua nella loro vulnerabilità un facile bersaglio.
Nel 1956 Benjamin Mendelsohn, creò il termine Vittimologia, argomento da lui seguito sin dal 1937, e infine nel 1965 elabora il concetto di quanta responsabilità attribuire alla vittima all’interno dell’azione deviante.
Ulteriori studi classificano altre categorie di vittime, dalla collaborativa, alla ostile, spesso soffermandosi sul loro modo di reagire all'azione di indagine portata avanti dagli organi di polizia che, in quel periodo, non si differenziava da un tipico interrogatorio di un sospetto o di un reo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale si registra un grande periodo di attività della ricerca psicologica, si moltiplicano gli studi e le analisi anche in questo campo, ed da questi rinnovati studi nasce la teoria della cosiddetta “sindrome di adattamento”, che fu riscontrata in particolare in molti casi di internati nei campi di concentramento e successivamente anche negli ex prigionieri americani reduci delle guerre di Corea o del Vietnam.
Questi casi vedevano la vittima giungere a considerare naturale e giusto l’uso della violenza nei suoi confronti, in molti casi addossandosi colpe inesistenti, o soffrendo, addirittura, se l'aguzzino non mette in atto i suoi maltrattamenti, spesso a sindromi di adattamento veniva registrato l’avvicinarsi delle vittime alle teorie politiche propugnate dai carcerieri.
A seguito di alcuni sequestri di persona viene registrata una forma diversa di reazione della vittima all'azione criminosa, molto simile alla precedente richiamata sindrome di adattamento, ma che si discosta perché questa tende ad interessare l’area limbica ed onirica della vittima che oltre alla immedesimazione con l’aguzzino tende a sviluppare un sentimento di simpatia ed affetto nei suoi confronti.
Stiamo parlando della “sindrome di Stoccolma” (23 agosto 1973 – rapina con sequestro di persone in una banca di Stoccolma protrattosi per alcuni giorni) dove la vittima, in presenza di episodi estranianti e altamente stressanti, anche senza che vi siano azioni di violenza fisica, arriva a concepire e/o allacciare un rapporto di tipo amoroso con il sequestratore fino a giungere ad abbracciare attivamente l’ideologia su cui si basano gli organizzatori dell’azione criminosa.1
Da alcune statistiche delle F.B.I. risulterebbe che circa l’8 % degli ostaggi ha manifestato i sintomi della sindrome stessa.
Sino a qualche tempo addietro la figura di una vittima, specie in ambito giudiziario, non si discostava di molto dal concetto che se aveva subito un comportamento violento o addirittura un abuso sessuale, poteva avere essa stessa una parte di responsabilità, come provocatrice del comportamento dell'attore.
Non era raro...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. INTRODUZIONE
  6. 1. LA VITTIMA
  7. 2. EVOLUZIONE DELLA SOCIETA’ E LA VIOLENZA
  8. 3. RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI
  9. 4. L'INTERVISTA
  10. 5. CONCLUSIONI
  11. 6. BIBLIOGRAFIA