XXIX. Animale e ricerca scientifica
< Con il solo pensiero logico, non otterremo alcuna conoscenza del mondo empirico. >
Albert Einstein
Ogni oggetto della natura interagisce, in qualche maniera, con il proprio ambiente e con qualsiasi cosa lo circondi, vicina o lontana.
Un classico esempio di questo famoso assioma della fisica quantistica, è certamente rappresentato dall’uomo, che esercita un impatto ambientale unico nel suo genere, grazie all’interazione di due particolari proprietà: la capacità del cervello di elaborare, accumulare e trasmettere verbalmente, per iscritto o per via digitale, ciò che ha appreso e l’abilità e versatilità nel forgiare strumenti sempre più raffinati, grazie all’uso delle mani. Sfruttando questo dono della natura, l’uomo ebbe gioco facile nel trasformare la natura a piacimento; cullandosi nell’illusoria certezza di vivere in un ambiente fatto a propria misura, disponendo di dritti sovrani su tutto.
Il primo impatto col mondo animale, fu sicuramente traumatizzante per i nostri pelosi progenitori, che, appena discesi dagli alberi, si trovarono a dover svolgere un duplice ruolo, come preda e predatore.
Da una parte, il rischioso rapporto con le fiere, dalle quali bisognava difendersi, dall'altra quello con animali di taglia inferiore, più veloci ma meno pericolosi e rivelatisi presto un’inesauribile fonte di cibo. S’instaurò così un ambiguo rapporto uomoanimale, che perdura tuttora, con caratteristiche chiaramente ambivalenti.
Gli impulsi d’ansia ed angoscia, conseguenti allo stato di preda, conferirono all’uomo l'energia per lottare, fuggire e sopravvivere; questi stessi impulsi, sospinti da fame e spirito di sopravvivenza, scatenarono l’aggressività: da semplice preda, l’uomo si trasformò nel più gran predatore delle altre specie viventi.
Le ferite, subite durante infortuni e combattimenti, resero l’uomo cosciente del dolore e della vulnerabilità del suo corpo, mentre lo squartamento delle prede e l'allestimento del cibo lo portarono a contatto con le differenti strutture anatomiche: sorsero, così, i primi interrogativi sul ruolo d’organi e tessuti del proprio corpo e di quello degli animali.
Cercando di lenire il dolore, leccandosi le ferite, l'uomo iniziava, inconsciamente, i primi passi in un mondo, a lui ancora sconosciuto, quello della terapia. Le prime interpretazioni dei fenomeni naturali, lo portarono a formulare delle ipotesi, sul funzionamento della macchina umana, che, fin dagli inizi, lo aveva sorpreso ed incuriosito.
La comprensione dei meccanismi vitali richiese fatica, intuizione, spirito d’osservazione e creatività, mentre l'animale si rivelò uno strumento prezioso ed istruttivo, grazie alla facile reperibilità e alla mancanza di regole che ne limitassero l’uso. In quei tempi lontani, i tabù religiosi proibivano, quasi ovunque, il sezionamento delle salme; l'uomo preferì, quindi, avvalersi degli animali per quei primi tentativi sperimentali, che lo aiutarono ad accumulare un gran bagaglio di conoscenze ed a formulare le prime ipotesi funzionali.
Continuando sulla scia del pensiero aristotelico, Cartesio negò all’animale, anima e pensiero, riducendolo a pura macchina, sottoposta alle leggi fisiche della natura. Il dualismo ed il razionalismo cartesiano furono rivisti dall'illuminismo e in gran parte superati; l’animale cessò di essere considerato un semplice robot, per assurgere al ruolo di creatura, sensibile alla sofferenza, seppure determinata nei comportamenti da vincoli genetici: ed il destino divenne artefice supremo.
Nell'era moderna, il rapporto uomo-animale assume un carattere più pragmatico, particolarmente evidente nella ricerca scientifica e nella sperimentazione animale. Durante il secolo XVIII e XIX, lo sviluppo di modelli in vitro, abbinati all'uso estensivo d’animali da laboratorio, portò a scoperte rivoluzionarie nel campo delle malattie infettive. Quasi nello stesso periodo, furono gettate le fondamenta di microbiologia e patologia generale, riconoscendo la genesi dei processi infettivi ed avviando la medicina sperimentale; a questo processo così rilevante, contribuì una folta schiera di ricercatori: da Claude Bernard a Pasteur, da Koch a Virckow, da Pawlow a Behring.
I progressi più lampanti furono raggiunti verso la fine del XIX secolo, grazie a scoperte foriere di grossi mutamenti sociali: s’identificarono i microrganismi responsabili delle principali patologie infettive e fu introdotto l’obbligo di prevenzione, tramite immunizzazione e misure igienico-sanitarie radicali.
I postulati di Koch, le ricerche di Pasteur sulla vaccinazione antirabbica e sul carbonchio, le indagini di Virckow sulla patologia sperimentale, rappresentano alcuni esempi del binomio scientifico uomo- animale, durante questo fecondo periodo.
Paul Ehrlich fondò la chemioterapia delle malattie infettive, standardizzando un modello d’infezione sperimentale del tripanosoma nel topo. Dopo aver saggiato 606 sostanze chimiche, su di un gran numero d’animali, nacque il Salvarsan (arsfenamina), primo antibatterico di sintesi contro la sifilide. 57 Quasi contemporaneamente, la bio-medicina s’indirizzava verso la cura d’altre forme morbose acute e croniche: l'antipirina 58 e l'acido acetilsalicilico o Aspirina, 59 furono introdotti in terapia con gran successo e furono prodotti su scala industriale in Germania.
Senz’alcun dubbio, la possibilità di eseguire liberamente sperimentazioni, su vasta scala e su varie specie animali, contribuì alla conquista di questi traguardi. Andrebbe anche giustamente considerato, che, oltre a rappresentare una pietra miliare nel progresso delle scienze, queste scoperte hanno permesso di salvare milioni di vite umane, altrimenti condannate ad atroci sofferenze e, alla fine, a sicura morte precoce.
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L'impiego estensivo dell'animale nella ricerca bio medica continua ad incontrare la fiera opposizione, d’animalisti ed antivivisezionisti. Il termine, vivisezione fu coniato nel XVIII secolo sotto l'influenza del razionalismo di Cartesio, quando tutti gli interventi chirurgici erano dolorosi, non esistendo ancora la prassi dell’anestesia e non essendo disponibili validi analgesici. Oggigiorno, il termine vivisezione è obsoleto e fuorviante e dovrebbe essere sempre sostituito da sperimentazione animale, spostando l’enfasi dal trattamento chirurgico a quello farmacologico.
I fautori ed i denigratori dell'impiego d’animali si dividono in due fazioni principali: i moralisti e gli utilitaristi:i moralisti sono contrari per principio ad ogni intervento, in conformità a motivi etici ed ai diritti degli animali, considerati sullo stesso piano morale dell'uomo.
Gli utilitaristi antepongono, invece, il benessere umano, ponendo l'accento sul senso di responsabilità degli sperimentatori e sulla rigida applicazione di una serie di regole pratiche, che oggi tutelano maggiormente le “cavie da laboratorio”. Altri ricercatori e sociologi considerano, la sperimentazione animale, un imperativo morale, volto alla tutela della salute dell’uomo, in linea con l’antropo-centrismo aristotelico, di buona memoria.
Gli utilitaristi sostengono, che senza l’impiego degli animali, non sarebbe stato possibile raggiungere i risultati della medicina moderna: senza il sacrificio di tante pecore non avremmo oggi le protesi artificiali, senza quello di migliaia di scimmie non avremmo il vaccino antipolio e non avremmo debellato questa terribile malattia. Essi si riferiscono ad Aristotele ed al Cristianesimo, i quali prevedono una struttura gerarchica della vita, con l'uomo alla sommità della piramide e con diritti sovrani.
Quanto l'argomento sia controverso e gli animi accesi, lo dimostra che in uno dei paesi dove la ricerca bio medica è più avanzata ed i movimenti animalisti sono più attivi, la Svizzera, si è giunti a ben due referendum nazionali nel giro di soli cinque anni (1988 e 1992) per decidere se abolire ogni forma di sperimentazione sull'animale. La risposta è stata contraria all'abolizione per un buon 70%: hanno vinto gli utilitaristi. Ciò significa, però, che circa un terzo della popolazione, era disposta a pregiudicare il futuro di una medicina migliore e del proprio benessere, a favore dell'animale e di principi morali più avanzati.
Già gli antichi Greci avevano promulgato alcune leggi per la protezione degli animali; ma il passo avanti decisivo fu compiuto sotto lo spirito libertario dell’illuminismo. In Francia, un primo tentativo di legge penale (1791) riguardava il ferire o uccidere premeditatamente cani da guardia. Successivamente, l'atto criminoso fu esteso all'avvelenamento di cani di terzi. Si trattava perciò più di protezione della proprietà che d’esseri viventi di per se.
Per arrivare a quest’ulteriore traguardo, bisogna attendere il 1850, quando la nuova Legge Grammont introdusse il concetto di punire qualsiasi atto di crudeltà, perpetrato ai danni dell’animale: a sua difesa, quindi. In Gran Bretagna, già nel 1876, fu promulgata, inoltre, un’ordinanza denominata Cruelty to Animals Acts, che ebbe il merito indiscusso di sollevare il problema della sofferenza animale, a seguito di cattività o sperimentazione.
Nell'ambito degli utilitaristi, si distinse per il suo pragmatismo, il gruppo FRAME, Fund for the Replacement of Animals in Medical Experiments, il quale propone una progressiva sostituzione degli animali con altre metodiche alternative, pur ammettendo la necessità e l'utilità della sperimentazione animale ai fini del progresso della medicina e quindi del benessere dell’uomo: tesi delle tre R.
Con questa presa di posizione, FRAME prende distanza da quei moralisti, che minimizzano l'apporto e l’utilità della sperimentazione animale al concreto miglioramento della vita, registrato negli ultimi anni.
Dall'altra parte della barricata, si trovano moralisti integrali come Peter Singer ed Ingrid Newkirk, i quali attribuiscono agli animali lo stesso diritto morale dell'uomo: a rat is a pig, is a dog, is a boy. They're all mammals.
Tuttora, si dibatte l'opportunità e la possibilità di sostituire parzialmente o totalmente, gli animali con modelli sperimentali alternativi, seppure nel mondo scientifico, prevalga l’opinione, che al momento non ci siano a disposizio...