Insight. L'anima della marca
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Insight. L'anima della marca

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Informazioni sul libro

Lo scopo di questo poco convenzionale "saggio di Marketing" è quello di ispirare gli operatori attuali o potenziali verso una nuova prospettiva, quella del Consumer Insight. Con il calore del linguaggio e delle esperienze dirette, e la semplicità dei processi guidati, l'autrice punta alla massimizzazione del "valore" della relazione con il cliente-consumatore, attraverso un'autentica eticità della marca, nonché un
profondo cambiamento culturale e organizzativo.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788891152589
Categoria
Marketing

1. Che cos’è l’Insight

Dare una spiegazione dell’Insight risulta così complicato che sarebbe più semplice apprenderlo con un “Insight”!
Questa parola inglese infatti accorpa due concetti insieme: quello di intuizione e quello di introspezione.
L’intuizione, o rivelazione, o illuminazione non è che un processo di problem solving (quindi di apprendimento) che avviene con un “salto”, con un “lampo di genio”. L’Insight consiste nella comprensione improvvisa ed immediata della strategia utile ad arrivare alla soluzione di un problema.
Questa comprensione avviene secondo la psicologia cognitiva perché il soggetto, anziché procedere in maniera logicosequenziale per prove ed errori, riconfigura lo spazio del problema, ristruttura concettualmente gli elementi disponibili e conseguentemente salta verso la soluzione.
L'Insight è particolarmente importante nel risolvere problemi nuovi, per i quali le strategie mutuate dall'esperienza si rivelano spesso insufficienti. I risultati delle ricerche neuronali hanno dimostrato che quando avviene il così detto “lampo di genio”, vengono attivate aree del cervello diverse, legate alla parte emozionale e non a quella logica.
Il termine intuizione deriva dal latino intueor (in=dentro + tueor= guardare, cioè “entrare dentro con lo sguardo”) e qui ci ricongiungiamo con il secondo concetto dell’Insight, quello di introspezione, o comprensione empatica, o immedesimazione.
La comprensione intuitiva di un altro essere umano avviene per introspezione, per immedesimazione, vale a dire che il nostro bagaglio di emozioni provate ci permette di riconoscere quelle degli altri in immediata, sensibile.
Allo stesso tempo, per riuscire a “metterci nei panni” di un’altra persona, dobbiamo riconfigurare le nostre aspettative ed i nostri schemi mentali secondo una prospettiva diversa, quella dell’altro appunto.
E’ un lavoro molto simile a quello che fa l’attore: riesce a sentire in prima persona le emozioni del personaggio perché a sua volta quelle emozioni le ha già sperimentate in altre occasioni, ma le riconfigura adattandole alle aspettative ed agli schemi mentali del personaggio stesso, che è “altro da sé”.
Il famoso metodo Stanislavskij insegna agli attori ad approfon-dire la psicologia del personaggio che andranno ad interpretare, attraverso delle tecniche molto dettagliate di “immedesimazione”. Lo scopo finale è arrivare a sentire il personaggio e le sue emozioni come fossero proprie, in maniera autentica.
Il primo passaggio verso l’autenticità delle emozioni consiste nel ricercare l’affinità tra il mondo interiore dell’attore e quello del personaggio: pur avendo l’attore un percorso esistenziale diverso, lo spettro di emozioni provate, anche se in situazioni diverse, accomuna i due esseri umani.
Le emozioni formano un bagaglio esperienziale provato intimamente da tutti: se opportunamente rielaborate, possono essere esternate in maniera autentica, e quindi credibile per il pubblico. Il secondo passaggio è quello di rivivere queste emozioni secondo una prospettiva diversa, quella del personaggio, che ha schemi mentali e valoriali propri. Lo studio del personaggio è un lavoro complesso che va dall’analisi del suo comportamento, dei suoi atteggiamenti e valori, delle relazioni che instaura con l’ambiente che lo circonda e con gli altri esseri umani, fino ai suoi desideri, alle sue paure. Una volta però compreso e, quindi “accolto” nella sua essenza, l’attore sarà in grado di fare vivere in maniera autentica il personaggio, persino oltre il copione.
Il processo di “Consumer Insight” è molto simile: lo studio del consumatore , come quello del personaggio, ha come scopo finale quello di farci uscire dai nostri schemi mentali e di entrare in quelli del nostro interlocutore, immedesimandoci con i suoi valori ed i suoi desideri.
E’ proprio in questo cambio di prospettiva che si attua il potere trasformativo dell’Insight. Riconfigurando il nostro schema mentale, viene rivoluzionato il nostro campo percettivo: si aprono i confini e ci appare un orizzonte di nuove possibilità.
Come un lampo di genio, come un’illuminazione improvvisa, superiamo le nostre barriere mentali e “catturiamo” l’essenza del nostro interlocutore, il suo Insight.
Una volta raggiunto questo livello di conoscenza, siamo in grado persino di prevedere con l’intuizione, come fa l’attore con il metodo Stanislavskij, quello che il nostro consumatore presumibilmente farà in futuro, come reagirà ai diversi stimoli. Possiamo intuire ciò che lo renderà felice, ciò che lo farà arrabbiare, ciò che lo farà innamorare o coinvolgere emotivamente.
Questo concetto, denominato Foresight, è la conseguenza logica e potente della capacità trasformativa dell’Insight.
In un’ottica transazionale, e quindi relazionale, l’aver colto l’Insight del nostro interlocutore, ci permette di stabilire una “connessione empatica” con lo stesso, permette di relazionarci con lui anticipandone i desideri. Negli Stati Uniti, dove si è intuita la potenzialità enorme che l’approccio del Consumer Insight può avere sul modo di fare Marketing da parte delle aziende, espressioni come “Anticipate the consumer” o “Insightful connection” sono largamente utilizzate.
Tra i diversi studiosi e consulenti che si sono occupati dell’applicazione in chiave di Marketing del concetto di Insight, semplice e diretto è l’approccio di Lisa Fortini Campbell che descrive l’Insight come “the Sweet Spot”, vale a dire “il punto di massima rilevanza emotiva nella psicologia del consumatore, trovato il quale, possiamo creare la massima connessione empatica con la nostra marca”.
Il valore della marca infatti va al di là di dati oggettivi come il prezzo, il packaging, o la tipologia di punto vendita; il valore è sempre quello percepito dal consumatore non in base a dati “razionali”, ma in base al “coinvolgimento emotivo” che ha con la marca. Tanto più intensa è la relazione emotiva con la marca, tanto maggiore è la rilevanza e quindi il valore percepito della stessa.
L’intensità di tale relazione è in funzione di quanto i due mondi valoriali, quello del consumatore e quello della marca, sono sovrapposti.
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Il mondo valoriale della marca, alla base della Brand Equity,è funzione di tre diversi tipi di variabili:
• variabili razionali, come l’affidabilità, la competenza, la sicurezza, etc.
• variabili funzionali di praticità, utilità, efficienza ed efficacia,
• variabili emozionali, quelle che riguardano le caratteristiche di personalità della marca
Sono queste ultime, le così dette variabili “calde”, che lasciano il segno più profondo nella percezione del consumatore, che determinano il valore riconosciuto alla marca, e sono sempre queste ultime che in fondo guidano la percezione persino delle variabili razionali-funzionali.
Il Neuro-marketing ci insegna che l’80% del processo decisionale del consumatore avviene a livello “emotivo” e non razionale, pertanto ignorare l’80% delle equities di una marca rischia di farci sbagliare tutte le strategie che vogliamo implementare sulla stessa.
Le variabili emozionali/calde sono tuttavia anche quelle più difficili da far emergere con le classiche metodologie di ricerca, perché attingono ad un mondo di significati pre-verbale e simbolico, non esplicitabile a parole.
Nelle rappresentazioni della Brand Equity solitamente i valori di marca vengono spiegati con la metafora dell’iceberg di marca: le variabili razionali e funzionali sono quelle che formano la parte esterna, che affiora dall’acqua, mentre le variabili emozionali, che peraltro costituiscono la parte più consistente e voluminosa dell’iceberg, giacciono sommerse, non visibili ad occhio nudo.
La metafora dell’iceberg tuttavia non mi convince pienamente: innanzitutto perché l’unica motivazione che spinge a cercare di analizzare le variabili sommerse è quella di “evitare la collisione”! E poi perché quella dell’iceberg è un’immagine fredda e solitaria: siamo sicuri che è così che vogliamo rappresentare la marca?
Mi piace invece pensare alla Brand Equity come se fosse un APPLE PIE.
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La marca per il nostro consumatore è prima di tutto una relazione, è un’esperienza vissuta, non solo percepita, ma “sentita” attraverso le emozioni, e quindi in maniera coinvolgente.
Pensiamo a quando desideriamo assaporare una torta, in questo caso un apple pie.
Prima di tutto cerchiamo di capire dall’aspetto esteriore se è la torta giusta per noi e se possiamo fidarci a mangiarla (variabili razionali); come dicevamo, la motivazione che si nasconde dietro il filtro razionale è comunque fortemente emozionale, perché attinge all’istinto di sopravvivenza.
Successivamente iniziamo a prefigurarci l’esperienza di gusto, sempre attraverso segnali di aspetto (come il livello di cottura, la forma, le decorazioni, etc.) e segnali di consistenza (più o meno croccante, più o meno burrosa): si tratta ancora di variabili funzionali, “fredde”, non siamo ancora entrati nel “cuore” della torta.
E’ solo quando arriviamo ad assaporare la parte interna, quella più “calda” e coinvolgente delle variabili emozionali, che tutto acquista un senso.
Si creano delle associazioni tra l’esperienza emotiva che stiamo vivendo e le nostre categorizzazioni interne, i nostri schemi percettivi pregressi: al termine di questo processo saremo in grado di catalogare l’apple pie come esperienza di “valore” per noi oppure no.
Sulla base dell’esperienza emozionale, rivediamo la percezione delle variabili razionali e funzionali, legittimandole o smentendole: interno ed esterno partecipano coerentemente a delineare la nostra “percezione valoriale” di apple pie, la nostra “percezione valoriale” di marca.
E’ proprio attraverso le aree calde/emozionali della marca che si crea la connessione empatica tra i due sistemi valoriali, quello del consumatore e quello della marca. Tanto maggiore è quest’area di connessione, tanto più rilevante sarà nella percezione del consumatore quella marca, quindi tanto più elevato sarà il valore disposto a riconoscerle.
Partendo dal presupposto che una scelta di acquisto è prima di tutto una scelta di conferma del proprio valore, attraverso un altro valore, la comprensione dell’Insight diventa un passaggio imprescindibile nei processi di Marketing.
Prendiamo per esempio il sistema valoriale di una marca come Sottilette.
E’ difficile pensare che ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Diritto d'autore
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. 1. Che cos’è l’Insight
  7. 2. Perché nasce l’esigenza del Consumer Insight
  8. 3. Quali sono le tecniche metodologiche adatte a far emergere l’Insight
  9. 4. L’Insight applicato al processo di Marketing
  10. 5. Insight in azione: le implicazioni sull’organizzazione aziendale
  11. Conclusioni: il futuro del Consumer Insight
  12. Ringraziamenti