Come la vedo io
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Breve antologia di saggi in materia di politica italiana e religione.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788891164186
Un po’ di politica
I “servizi” dello Stato
Qualche tempo fa venne da noi una signora americana.
Stava facendo un viaggio in Europa. Avendo saputo che nel Paese dove era diretta c’erano problemi di ordine pubblico, decise di chiedere consiglio all’Ambasciata americana.
La cosa ci lasciò perplessi, perché noi, nella sua situazione, non ci saremmo mai sognati di rivolgerci alla nostra ambasciata.
Io che per lavoro ho visitato un’ottantina di Paesi, solo due o tre volte mi sono rivolto alle nostre ambasciate. Tante me ne sono bastate per capire che non era il caso di farlo di nuovo.
Ricordo che la prima volta, trovandomi in una città che la Farnesina considerava sede disagiata, vi trovai solo un incaricato d’affari di fresca nomina, al quale ritenni più opportuno dare qualche suggerimento, piuttosto che chiederne.
Nello stesso edificio aveva sede anche l’ufficio ICE, il cui titolare, pomposamente chiamato Trade Commissioner, non poteva ricevermi perché occupato……a leggere i giornali, arrivati freschi freschi dall’Italia. E quando alla fine si degnò di ricevermi, scoprii che non sapeva nulla della società che rappresentavo (una fabbrica di aerei, non di caramelle) e che le mie entrature presso il Ministero della Difesa di quel Paese erano migliori delle sue.
In un’altra occasione ed in un altro Paese, benché ci fosse un’importante Fiera in corso, l’ambasciatore era assente.
Alla successiva edizione c’era, ma all’evento più importante fece mancare la sua presenza, perché stava facendo da guida turistica ad un nostro Sottosegretario in visita “di lavoro”.
Alla signora americana il centralino dell’Ambasciata non disse che “il dottore era fuori stanza”, ma le passò prontamente un funzionario, che rispose con competenza e cortesia a tutte le sue domande.
Per gli americani rivolgersi alle loro ambasciate in caso di bisogno è considerata cosa normale.
E le prime a farlo sono naturalmente le aziende.
La spiegazione è banale: l’ambasciatore americano è un businessman che è lì perché ha finanziato la campagna elettorale del Presidente. Egli non sa nulla di diritto internazionale, ma sa tutto del mondo degli affari.
I nostri rappresentanti all’estero, invece, sono lì perché hanno vinto un concorso, ma spesso non hanno mai messo piede in una fabbrica. Sanno tutto del diritto internazionale e ritengono disdicevole occuparsi di prodotti industriali, anziché di alta politica.
Il nostro disincanto nei loro confronti è naturale quanto lo è il sentimento inverso che provano gli americani.
Non essendo abituati a ricevere aiuti dallo Stato, neanche li cerchiamo.
E lo stesso vale quando siamo a casa nostra.
Allo Stato ci rivolgiamo solo quando non abbiamo alternative. Per esempio per le cure d’emergenza, dato che raramente le cliniche private sono dotate di Pronto Soccorso.
Ovviamente questi soccorsi sono “pronti” solo di nome. Di fatto sono un’altra cosa.
Purtroppo gli ospedali non sono un’eccezione, ma la regola, perché il modus operandi dei pubblici funzionari è uguale dappertutto. Se mai è il buon servizio che costituisce eccezione e non è un caso se, quando lo riceviamo, sentiamo il bisogno di ringraziare chi, bontà sua, ce lo fornisce.
Ecco perché a volte, leggendo sui giornali la rubrica delle lettere, ci imbattiamo in pubblici ringraziamenti a questo o quel medico, questo o quell’infermiere. Quasi che uscire sani da un ospedale di Stato sia un optional.
Le ragioni di questa mentalità sono presto dette: in Italia manca lavoro e ce ne sarà sempre meno, per cui il pubblico impiego, una volta monopolio del Sud, è diventato la fonte pressoché unica di reddito per tutto il Paese.
Per dieci posti di vigile urbano a Milano si sono presentati più di diecimila candidati provenienti da tutta Italia, costringendo il Comune ad affittare uno stadio per far posto a tutti. La larga partecipazione era del tutto legittima, dato che, come noto, in Italia manca quel vero federalismo che porterebbe i lombardi ad essere amministrati da lombardi ed i siciliani da siciliani.
Alcuni candidati avevano più di una laurea. La maggior parte ovviamente veniva dal Sud. E’ facile arguire che nove posti su dieci andranno a campani, calabresi o siciliani ed inutile dire che un flusso di candidati di questo tipo, a concorso ultimato (ancora non se ne sa niente), creerà più problemi di quanti ne risolverà. Ne riparliamo più avanti.
Leggo su Il Giornale di ieri (10/08/14) che a Napoli, la città che, nonostante la massiccia presenza di forze dell’ordine, detiene il record dell’illegalità, c’è persino chi organizza degli illegality tours, ad uso dei turisti.
Essi consistono nel mostrare loro come si possa tranquillamente passare da un quartiere in cui si pratica la prostituzione ad altri in cui si spacciano droghe, si vendono sigarette di contrabbando o falsi prodotti di marca, si svolgono gare di corse in motorino, etc.
Il tutto sotto lo sguardo di vigili urbani che conversano amabilmente tra loro e fanno finta di non vedere.
Inutile dire che questo voltarsi volutamente dall’altra parte non capiterà ai vigili di origine campana che dovessero svolgere il loro servizio a Milano, perché qui essi si troverebbero a lavorare “in trasferta” e quindi privi di ogni condizionamento locale.
Non è un caso che a Milano si conti il maggior numero di contravvenzioni ed a Caserta (Na) il più basso.
(Ma questo è solo uno dei problemi che il Comune di Milano si troverà ad affrontare. Gli altri, alcuni dei quali già citati, sono:
• l’elevato costo del concorso (che ha comportato, inter alia, l’affitto di uno stadio),
i tempi, necessariamente lunghi, legati alla necessità di esaminare tutti gli elaborati,
il “servizio” sottratto ai milanesi durante i mesi di valutazione (che fa dubitare della reale necessità del concorso),
• la possibilità, molto concreta, che i candidati vincenti abbiano nel frattempo trovato una migliore occupazione e quindi rifiutino l’incarico,
• l’eventualità, altrettanto concreta, che i vincitori del concorso, in attesa di trovare casa a Milano, inviino al Comune un certificato medico e ritardino l’entrata in servizio,
• la possibilità che i candidati vincenti, trovata casa, si accorgano che il loro stipendio copre a mala pena il costo dell’affitto e rifiutino l’incarico,
• la totale assenza di vantaggi per il cittadino milanese (supposto che l’assunzione dei vigili fosse finalizzata a lui), che anzi si sente frustrato, se giovane, di vedersi preclusa una possibilità d’impiego e, se vecchio, di potersi rivolgere al vigile nel suo dialetto.
Come vedete, se anche solo la metà di queste osservazioni fosse vera, ce ne sarebbero abbastanza per concludere che quel concorso non si doveva fare. Per lo meno non con quelle modalità.)
Il concorso milanese per vigili urbani ed il comportamento di quelli in servizio a Napoli non sono stati citati a caso.
Il primo denota come la ricerca di un impiego qualsiasi nella pubblica amministrazione scateni una corsa sfrenata, una specie di assalto alla diligenza da film western.
Il secondo come, ottenuto con tanta fatica quel posto, il lavoro sia considerato finito. A nulla rilevando le minacce di sanzione, che peraltro non vengono mai formulate, tanto meno attuate.
Infatti l’Italia è il Paese del buonismo.
Da noi l’impiegato statale può benissimo timbrare il cartellino e poi andare al bar, perché sa che non sarà mai, dic...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Diritto d'autore
  4. Indice
  5. Un po’ di politica:
  6. Un po’ di religione:
  7. Un po’ di filosofia:
  8. Un po’ di tutto: