La voce
Un pianoforte può essere visto, la voce no:
può essere ascoltata, ed è questo il suo mistero.
È lo strumento più affascinante che esista,
perché noi siamo lo strumento
e noi lo maneggiamo per mezzo di sensazioni interne.
Alfredo Kraus Trujillo(h)
Alessandra Marianelli e Andrea Bocelli
La fotografia della pagina precedente ritrae il soprano Alessandra Marianelli e il tenore Andrea Bocelli in occasione del concerto in Piazza Grande a Locarno avvenuto il 7 giugno 2014. Erano accompagnati dall’Orchestra Sinfonica G.Rossini di Pesaro, composta da 72 elementi e diretta dal maestro Marcello Rota.
L’identità sonora
Il potere dei suoni passa attraverso la nostra memoria e il fissarsi in essa di eventi sonori, semplici o complessi, che concorrono in modo diverso, a costituire la nostra identità e la nostra storia di vita sonora. Un’identità sonora, per significare il forte legame che i suoni sono capaci di costituire nella nostra formazione personale, la loro capacità di integrarsi con tutti i momenti della nostra vita e interagire con altri eventi; infine di entrare in modo fondamentale nella nostra costruzione identitaria. Inoltre, nel suono organizzato dall’uomo, essa avviene attraverso le esperienze e i vissuti musicali.
Ognuno di noi ha una propria identità musicale che si affianca e interagisce con le nostre altre identità (affettiva, professionale, religiosa, politica ed altre); essa matura continuamente, mese per mese, anno per anno sin dalla più tenera età, anzi prima!
La familiarizzazione prenatale può favorire la sensibilità e la preferenza verso un interlocutore (per esempio la madre) o sviluppare l’attenzione verso determinati suoni, sequenze melodiche o per la lingua materna e l’imprinting sonoro può rendere familiari certi suoni, farli amare oppure allontanarci da loro. La prima conoscenza del mondo (conoscenza della nostra realtà e della nostra cultura) prima di nascere, è quasi esclusivamente sonora!
La voce
Il percorso di questo laboratorio autobiografico è dedicato alla musica, anzi meglio, all’ambiente sonoro e dunque ad ogni suono nel senso proprio del termine.
Così, dopo la musica e le emozioni, abbiamo seguito un itinerario che dalla canzone ci ha portati al canto ed ora alla voce!
Il tema della voce è anche una delle “istantanee da un laboratorio di scrittura autobiografica” raccolte nel libro Riflessioni sul corpo parlante (Ascari, 2009, p. 67) che presenta anche due brani tratti da Sotto il sole giaguaro1 di Italo Calvino:
[…] Quella voce viene certamente da una persona unica, irripetibile come ogni persona, però una voce non è una persona, è qualcosa di sospeso nell’aria, staccato dalla solidità delle cose. Anche la voce è unica e irripetibile, ma forse in un altro modo da quello della persona: potrebbero, voce e persona, non assomigliarsi.
Oppure assomigliarsi in un modo segreto, che non si vede a prima vista: la voce potrebbe essere l’equivalente di quanto la persona ha di più nascosto e di più vero. È un te stesso senza corpo che ascolta quella voce senza corpo? Allora tu che la oda veramente o la ricordi o la immagini, non fa differenza. […]
[…] Una voce significa questo: c’è una persona viva, gola, torace, sentimenti, che spinge nell’aria questa voce diversa da tutte le altre voci. Una voce mette in gioco l’ugola, la saliva, l’infanzia, la patina della vita vissuta, le intenzioni della mente, il piacere di dare una propria forma alle onde sonore.
Ciò che ti attira è il piacere che questa voce mette nell’esistere: nell’esistere come voce, ma questo piacere ti porta a immaginare il modo in cui la persona potrebbe essere diversa da ogni altra quanto è diversa la voce. […]
La voce della madre
Anzieu2 (1976) ha formulato un concetto fondamentale per comprendere il senso inconscio della voce materna in quanto elemento strutturante dell’esperienza del tempo e organizzatore delle capacità musicali: si tratta del concetto di involucro sonoro del sé (enveloppe sonore du soi).
Anzieu definisce il Sé come il primo embrione della personalità sentita come unità e come individualità. In questo stadio ancora iniziale della vita psichica il bambino non ha ancora coscienza della sua persona e non definisce esattamente l’Io e l’Altro, è tuttavia capace di attribuire a una sua, pur confusa identità, le sensazioni e gli stimoli che provengono dall’ambiente.
Siccome l’esperienza sonora precede nel tempo le altre, è dunque ovvio che il primo involucro del sé non può che essere di tipo sonoro.
Altri teorici insistono invece sull’importanza dei primi contatti visivi ma, dal momento che quando il bambino inizia a fissare il viso dell’adulto, la sua attenzione è maggiore quando quest’ultimo gli parla… possiamo dire che nello sviluppo del bambino una fase importante è fondata sugli scambi vocali con la madre che potremmo definire di ‘specchio sonoro’. È ciò che possiamo immaginare guardando il quadro di Klimt’3 Madre e figlia (dettaglio da Le tre età della donna ~ 1905).
Dipingere la voce
La voce va collegata naturalmente ai concetti di colore e di timbro4. Il timbro, in effetti, è quella particolare qualità del suono che permette di distinguere due suoni con uguale intensità e altezza e rappresenta, dunque, quell’attributo della sensazione uditiva che consente all’ascoltatore di identificare la fonte sonora, rendendola distinguibile da ogni altra.
Il timbro - spesso è indicato fra i ‘parametri’ del suono musicale, insieme all’altezza, all’intensità e alla durata - suggerisce numerose analogie con il colore per quanto riguarda la percezione visiva. Infatti, il timbro viene designato come colore del suono tanto in inglese (tone-colour) quanto in tedesco (Klangfarbe).
Se la voce ha un colore, allora la possiamo dipingere? Beh, non mi avventuro su strade difficili e mi accontento qui di proporre il dipinto di Degas5, Cantante con guanto.
Il timbro della voce, che identifica ogni persona come un’impronta digitale, non possiede alcun corrispettivo fisico nell’onda sonora, come il volume con l’intensità o l’altezza con la frequenza, ma dipende ugualmente da certe sue caratteristiche ed è la qualità che corrisponde al colore della musica. Si può descrivere usando moltissimi aggettivi: dolce, secco, aspro, squillante, esile...
Ecco, appunto, gli aggettivi: ne possiamo trovare altri per arricchire il testo autobiografico che sta per nascere? Certamente! Allora, una voce potrebbe essere acuta, aggraziata, allegra, bella, calda, calma, cantilenante, carezzevole, cavernosa, chiara, cristallina, dolce, femminile, ferma, fievole, flebile, forte, fredda, gracchiante, grave, gutturale, inconfondibile, infantile, intonata, invitante, ipnotica, ipnotizzante, isterica, leggera, lieve, melliflua, mielata, misteriosa, musicale, nasale, pacata, passionale, pastosa, potente, profonda, rabbiosa, rauca, roca, secca, seducente, sensuale, sinistra, stonata, stridula, suadente, tagliente, tetra, tranquilla, triste, vellutata?
O chioccia? Sì, la voce può anche essere chioccia, infatti - si noti che nell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri la parola ‘voce’ ricorre settantuno volte – è questo l’aggettivo che Dante accosta alla voce di Pluto in tre terzine del Settimo Canto6:
“Pape Satàn, pape Satàn aleppe!”,
cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,
disse per confortarmi: “Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch’elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia”.
Poi si rivolse a quella ‘nfiata labbia,
e disse: “Taci, maladetto lupo!
consuma dentro te con la tua rabbia.
Scrivere la voce
Di nuovo un compito a casa! Ebbene sì: ho gentilmente invitato i partecipanti al laboratorio di scrittura di sé a sviluppare un testo il cui tema principale fosse la voce, nei ricordi, nella nostra memoria.
I temi possibili erano: la mia voce, la voce di una persona che ricordo, la voce di una persona che incontro (o con la quale vivo) oggi ancora, una voce radiofonica, ecc. Il titolo del frammento autobiografico era libero, a scelta, con l’invito a volerlo pensare eventualmente dopo aver concluso il momento di scrittura.
Di chi poteva essere la voce ricordata? Di un genitore, dei nonni, dei figli, degli abbiatici, dei nipoti, di una maestra, di un cantante, di un attore di teatro o di cinema (magari doppiato), di un medico, di un sacerdote, di un apparecchio automatico, di una giovane mamma che sta addormentando un bambino piccolo, di una persona che richiama un animale domestico, ecc. A quale periodo della nostra vita ci si poteva riferire? Uno qualsiasi, dall’infanzia in poi sino ad oggi.
Compito eseguito! Bravissimi, impegnati e collaborativi! Così è arrivato il momento della condivisione e qui di seguito ho inserito i preziosi contributi dei partecipanti:
Nostalgia di voci lontane
La prima voce che ricordo è quella di mia nonna che quando io ne avevo quattro, lei aveva 90 anni ed era diventata cieca a poco a poco dal tempo della menopausa. Viveva con noi ed io dormivo accanto a lei nel lettone. Si svegliava a metà della notte e gridava con voce isterica: Mariaaa! Mariaaa! Attigliuuu! Attigliuuu!
I miei genitori accorrevano entrambi e la voce di mio padre, calma, profonda, un po’ assonnata, tranquilla: - Che vuoi mamma. - Lei, piagnucolante: - Non posso dormire, mi duole la schiena, ho bisogno del vaso. – Mia mamma le passava il vaso da notte, il mio papà le rifaceva il letto. Poi tornavamo tutti a dormire. Non ho mai sentito qualcuno della mia famiglia lamentarsi per quel disagio notturno.
La mattina mi svegliava il belare delle pecore e delle capre che passavano davanti a casa. Il pastore le conduceva al pascolo. In un attimo tutte le porte si aprivano, le donne uscivano in strada con un recipiente in mano e chiamavano con voce imperiosa: - Carusu, Carusu, ehi, ieni quai! – Una voleva un litro, l’altra mezzo litro di latte a seconda delle necessità della famiglia. Lui (lu carusu) acchiappava le bestie una dopo l’altra, le mungeva e vendeva il latte. Alla fine della strada tutte le pecore erano state munte. Il ...