Il Castello d'Ischia, corte reale e corte letteraria del Rinascimento
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Il Castello d'Ischia, corte reale e corte letteraria del Rinascimento

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Il Castello d'Ischia fu l'ultima base aragonese che, difesa da Inigo e Costanza d'Avalos, oppose una valorosa resistenza all'avanzata dei Francesi. Nello stesso periodo esso divenne il soggiorno di regine, ex regine, principesse, nobildonne. Sulla rocca isclana si creò un vero e proprio cenacolo letterario che aveva soprattutto in Vittoria Colonna l'ispiratrice e l'oggetto della produzione lirica. Sì nobile presenza fece qui confluire i poeti e i letterati del tempo che si esaltavano nella contemplazione della bellezza femminile e celebravano quelle donne che ben l'incarnavano. In questo luogo lieto e piacevole, in questa corte erudita e colta, vissero Ferrante d'Avalos e Vittoria Colonna, qui sposi nel 1509, sotto la guida della duchessa di Francavilla, Costanza, donna di notevole intelligenza e dotata di un raro amore per le belle lettere. Era bello vedere riuniti in uno spazio così ristretto di terra italiana tanti nobili spiriti. Nelle sue liriche V. Colonna cita l'isola che l'ospita con l'espressione "il caro scoglio" e non resta insensibile, pur nel dolore della perdita del "caro sposo", alle voci della natura circostante.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788891166104
Argomento
Storia

1 - Vicende storiche del regno di Napoli

Le vicende storiche del regno di Napoli, tra fine ‘400 e inizio ‘500, coinvolsero in particolar modo il re Ferdinando II (detto Ferrandino e Ferrante II), il quale appena sedicenne, dopo l'abdicazione del padre Alfonso II, contro il quale anche i baroni napoletani avevano invocato l'intervento francese, dovette affrontare la difficile situazione di un regno lacerato dai contrasti e dalle lotte interne prima ancora che dall'occupazione straniera. Vicende che sono descritte particolarmente da Francesco Guicciardini, autore di una Storia d'Italia che ha inizio proprio dalla narrazione dell'impresa di Carlo VIII contro il regno di Napoli.
Il re Ferrandino, nell'intento di riconquistare l'amore dei sudditi e di fermare l'avanzata francese, aveva rivolto un appello al popolo, proclamandosi desideroso di emendare gli errori del padre e dell'avolo Ferdinando I, detto Ferrante il Vecchio, e di essere simile ad Alfonso vecchio proavo piuttosto che a Ferrante I e ad Alfonso II.
«Non potette essere - scrive il Guicciardini - che queste parole non fussino udite con molta compassione, anzi certo è che a molti commossono le lagrime; ma era tanto odioso in tutto il popolo e quasi in tutta la nobiltà il nome de' due ultimi re, tanto il desiderio de' franzesi, che non si fermò in parte alcuna il tumulto ma, subito che questo arrivò nel castello, il popolo cominciò a saccheggiare le stalle, che erano in sulla piazza: la quale indegnità non potendo il sovrano sopportare, accompagnato da pochi corse fuori con generosità grande a proibirlo; e potette tanto nella città già ribellata la maestà del nome reale che ciascuno, fermato l'impeto, si discostò dalle stalle. Inoltre il re Ferrandino, facendo abbruciare e sommergere le navi le quali erano nel porto, poi che altrimenti non poteva privarne gli inimici, incominciò per qualche segno a sospettare che tanti tedeschi, che in numero di cinquecento stavano alla guardia del castello, pensassino di farlo prigione: però con subito consiglio donò loro le robe che là si conservavano. Le quali mentre che attendevano a dividere, egli avendo prima liberati di carcere, eccetto il principe di Rossano e il conte di Popoli, tutti i baroni avanzati alla crudeltà del padre e dell'avolo, uscito del castello per la porta del soccorso, montò in sulle galee sottili che l'aspettavano nel porto e con lui don Federigo e la reina vecchia, moglie già dell'avolo, con Giovanna sua figliuola; e seguitato da pochissimi de' suoi navigò all'isola d'Ischia, detta dagli antichi Enaria, vicina a Napoli a trenta miglia, replicando spesso con alta voce, mentre che aveva innanzi agli occhi il prospetto di Napoli, il versetto del salmo del profeta che contiene essere vane le vigilie di coloro che custodiscono la città la quale da Dio non è custodita». Ischia doveva essere una base provvisoria, perché la destinazione finale era la Sicilia e la speranza l'aiuto della Spagna. Lungo il viaggio ci fu una sosta di qualche giorno a Procida, come risulta da una lettera del re, datata appunto da quest'isola il 28 febbraio, ed inviata alla regina di Spagna, dalla quale si viene a conoscenza che un'altra lettera era stata inviata al re Ferdinando: «Serendissima [sic] S. Regina, S.ra et madre colendissima: per non dare molestia a V. M.tà non me stendo per questa in narrarli tucte le mie adversitate. Solo la prego voglia intendere la lictera che ho scripta a M.tà del S. Re marito de la M.tà V.; et per che in l'uno et l'altro ho collocato tucta la mia sperancza, suplico la M.tà V. voglia abraczare, favorire et adjutare le cose mie, per modo che non resta io ingandato [sic] de la sperancza mia et monstra V. M.tà la grandeza del animo suo, de manera che io possa essere sulo a V. M.tà oblicato de havere recuperato el regno mio. Ad questo la oblica la conionctione et lo proprio honore».
L'arrivo ad Ischia non fu accogliente e facile: «Ma non se gli rappresentando ormai altro che difficoltà - ricorda il Guicciardini - ebbe a fare in Ischia esperienza della sua virtù, e della ingratitudine e infedeltà che si scuopre contro a coloro i quali sono percossi dalla fortuna, perché non volendo il castellano della rocca riceverlo se non con uno compagno solo, egli come fu dentro se gli gittò addosso con tanto impegno che con la ferocia e con la memoria dell'antichità regia, spaventò in modo gli altri che in potestà sua ridusse subito il castellano e la rocca».
Carlo VIII entrò in Napoli il 22 febbraio 1494 e, per dare perfezione alla vittoria, attendeva a due cose principalmente: «l'una, a espugnare Castelnuovo e Castel dell'Uovo, fortezze di Napoli le quali si tenevano ancora per Ferdinando, perché con piccola difficoltà aveva ottenuta la Torre di San Vincenzio, edificata per guardia del porto; l'altra, a ridurre a ubbidienza sua tutto il reame: nelle quali cose la fortuna la medesima benignità gli dimostrava. Perché Castelnuovo, abitazione de' re, posto in sul lito del mare, per la viltà e avarizia de' cinquecento tedeschi che v'erano a guardia, fatta leggiera difesa, s'arrendé, con condizione che n'uscissino salvi, con tutta la roba che essi medesimi potessino portarne; nel quale essendo copia grandissima di vettovaglie, Carlo, senza considerazione di quello che potesse succedere, le donò ad alcuni de' suoi; e Castel dell'Uovo, il quale, fondato dentro al mare su un masso già contiguo alla terra, ma separatone anticamente per opere di Lucullo, si congiunge con uno stretto ponte al lito poco lontano da Napoli, battuto continuamente dall'artiglierie franzesi, benché potessino offendere la muraglia ma non il vivo del masso, si convenne dopo non molti dì d'arrendersi, in caso che fra otto giorni non fusse soccorso. E a' capitani e alle genti d'arme, i baroni e i sindichi delle comunità, facendo a gara tra loro d'essere i primi a ricevergli, e con tanta o inclinazione o terrore di ciascuno che i castellani delle fortezze quasi tutti senza resistenza le dettono; e la rocca di Gaeta, che era bene proveduta, combattuta leggiermente, s'arrendé a discrezione. In modo che in pochissimi dì, con inestimabile facilità, tutto il regno si ridusse in potestà di Carlo: eccetto l'isola d'Ischia, e le fortezze di Brindisi e di Galipoli in Puglia, e in Calavria la fortezza di Reggio» (Guicciardini).
In Ischia s'era portato anche Alfonso Davalo, marchese di Pescara, che era stato prima lasciato da Ferdinando in Castelnuovo. Il re Carlo VIII intanto voleva ottenere per via di concordia quanto a Ferdinando restava nel reame e, tramite Federigo, gli offerse stati ed entrate grandi in Francia. Ma «essendogli nota la deliberazione del nipote di non accettare partito alcuno se non restandogli la Calavria, Federigo si partì discorde dal re di Francia. E Ferdinando, poiché furono arrendute le castella, se n'andò con quattordici galee sottili male armate, con le quali s'era partito da Napoli, in Sicilia, per essere parato a ogni occasione, lasciato a guardia della rocca d'Ischia Inico Davalo fratello di Alfonso, uomini amendue di virtù e di fede egregia verso il loro signore. Ma Carlo, per privare gl'inimici di quello ricettacolo, molto opportuno a turbare il reame, vi mandò l'armata, che finalmente era arrivata nel porto di Napoli; la quale, trovata la terra abbandonata, non combatté la rocca, disperandosi di poterla ottenere: però deliberò il re far venire altri legni di Provenza e da Genova per pigliare Ischia, e assicurare il mare infestato qualche volta da Ferdinando».
L'insuccesso francese viene attribuito alla "poca diligenza" dei francesi, "non pari alla fortuna", in quanto «governandosi tutte le cose freddamente e con grandissima negligenza e confusione; perché i franzesi, diventati per tanta prosperità più insolenti che 'l solito, lasciando portare al caso le cose di momento, non attendevano ad altro che al festeggiare e a' piaceri; e quegli che erano grandi appresso al re, a cavare privatamente della vittoria più frutto speravano, senza considerazione alcuna della degnità o dell'unità del suo principe». Anche il Commynes dice che, se fossero stati mandati ad Ischia quattro cannoni, questa sarebbe stata presa, così come sarebbe stato per le altre piazze che resistevano.
Intanto incominciavano a paventarsi negli altri stati italiani, e principalmente da parte di Lodovico Sforza e di Venezia, le negative conseguenze del crescente dominio di Carlo VIII, visto che questi come una folgore, senza resistenza alcuna, per tutta Italia discorreva.
Così il 31 marzo 1495 si formava a Venezia una confederazione tra la Serenissima, il papa, Massimiliano, i sovrani di Spagna e Milano «per la salvaguardia della pace e la tranquillità dell'Italia, per la salvezza della Cristianità, per la conservazione della dignità e autorità della Santa Sede, per la garanzia del diritto dell'Impero e per la difesa e conservazione dei predetti stati italiani, contro la potenza che allora occupava uno stato in Italia, che era chiamata la Francia». Inoltre bisognava aiutare Ferdinando di Aragona a riconquistare il suo reame. Anche a Napoli la riputazione de' franzesi cominciava a diminuire molto, «perché la nobiltà non fu raccolta né con umanità né con premi, non fatta distinzione da uomo a uomo, non riconosciuti se non a caso i meriti delle persone, non confermati gli animi di coloro che naturalmente erano alieni dalla casa d'Aragona, interposte molte difficoltà e lunghezze alla restituzione degli stati e de' beni della fazione angioina e degli altri baroni che erano stati scacciati da Ferdinando vecchio….. Aggiungevasi il fasto naturale de' franzesi, accresciuto per la facilità della vittoria, per la quale tanto di sé stessi conceputo aveano che teneano tutti gl'italiani in niuna estimazione; la insolenza e impeto loro nell'alloggiare, non manco in Napoli che nell'altre parti del regno dove erano distribuite le genti d'arme, le quali per tutto facevano pessimi trattamenti: in modo che l'ardente desiderio che avevano avuto gli uomini di loro era già convertito in ardente odio; e per contro, in luogo dell'odio contro agli Aragonesi era sottentrata la compassione di Ferdinando, l'espettazione avutasi sempre generalmente della sua virtù, la memoria di quel dì che con tanta mansuetudine e costanza avea, innanzi si partisse, parlato a' napoletani. Donde e quella città e quasi tutto il reame non con minore desiderio aspettavano occasione di potere richiamare gli Aragonesi che pochissimi mesi innanzi avessino desiderato la loro distruzione. Anzi cominciava già a essere grato il nome tanto odioso d'Alfonso, chiamando giusta severità quella che, insino quando vivente il padre attendeva alle cose domestiche del regno, solevano chiamare crudeltà, e sincerità d'animo veridico quella che molt'anni avevano chiamata superbia e alterezza» (Guicciardini).
Mentre anche Carlo VIII meditava il ritorno in Francia, Ferdinando preparava la riscossa. In questo tempo si tenevano per Ferdinando l'isola d'Ischia e l'isole di Lipari, membro, benché propinque alla Sicilia, del regno di Napoli, Reggio, e in Calavria Terranuova con alcun'altre fortezze e luoghi circostanti.
Il 22 maggio 1495 Carlo VIII lasciava Napoli, ma prima «ricevé solennemente nella chiesa cattedrale, con grandissima pompa e celebrità secondo il costume de' re napoletani le insegne reali, e gli onori e i giuramenti consueti prestarsi a' nuovi re» (Pontano).
Intanto Ferdinando attendeva, dopo aver preso Reggio, a recuperare i luoghi circostanti, avendo con sé circa seimila uomini, tra quegli del paese e di Sicilia che volontariamente lo seguivano, e i cavalli e fanti spagnoli de' quali era capitano Consalvo Ernades di casa d'Aghilar, detto Gran Capitano. A questo esercito si fecero incontro, a Seminara, le truppe francesi al comando di Obignì, le quali, meglio esercitate ed ordinate, prevalsero su italiani, spagnoli e siciliani con poca esperienza della guerra. «Nondimeno si combatté per alquanto spazio di tempo ferocemente, perché la virtù e l'autorità de' capitani sosteneva quegli che per ogn'altro conto erano inferiori. E sopra gli altri Ferdinando, combattendo come si conveniva al suo valore, ed essendogli stato ammazzato il cavallo sotto, sarebbe senza dubbio restato o morto o prigione se Giovanni di Capua smontato del suo cavallo non avesse fatto salirvi sopra lui, a prezzo della sua vita».
Ferdinando fece di nuovo ritorno a Messina, donde, raccolti, oltre alle galee che aveva condotte d'Ischia e quelle quattro con le quali s'era partito da Napoli Alfonso suo padre, si mosse ancora una volta per arrivare a Napoli. Qui il re attese invano che nella città si facesse qualche sollevazione, sicché fu costretto a volteggiare due giorni nel golfo; e il terzo si allargò in mare per ritirarsi a Ischia, saldamente tenuta dagli Aragonesi. Il presidio del castello infatti, comandato da Rodrigo d'Avalos, conte di Monteodorisio, aveva vittoriosamente respinto l'11 giugno l'ultimo tentativo francese di conquista guidato dal principe di Salerno.
I Francesi, assediati in Castel Nuovo, il 4 ottobre sottoscrissero una proposta di resa: avrebbero dato a Ferdinando il castello, dove erano assediati già da tre mesi, e sarebbero partiti per la Provenza, salvo la roba e le persone di tutti quegli che v'erano dentro, se non arrivati soccorsi entro trenta giorni; per l'osservanza dettero tre o più ostaggi che furono portati tutti a Ischia. L'8 dicembre si arrese Castel Nuovo: 300 francesi furono fatti imbarcare su una nave e mandati via. Il 17 febbraio 1496 si arrendeva anche Castel dell'Ovo. Ferrandino per rinsaldare vieppiù l'amicizia con la Spagna, scelse per moglie, con la dispensa del pontefice, Giovanna sua zia, nata di Ferdinando suo avo e di Giovanna sorella del detto re. Le nozze civili furono celebrate, a Somma, alla fine dell'agosto 1496, in attesa che in tempi migliori si facessero feste solenni a Napoli. Ma Ferrandino, già sofferente per la malaria contratta nelle tante campagne, sposò in Castel Nuovo, con sacramento della Chiesa, Giovanna, mentre era a letto morente, e che circa un mese dopo morì.
In mancanza di eredi diretti il trono passò a Federico, zio di Ferrandino, già maturo negli anni, “dal carattere mite e gentile, poco portato agli intrighi del governo e alle fatiche della guerra” (Gleijeses) il quale continuò la riconquista avviata dal nipote, ma poi dovette contrastare ancora una volta le mire espansionistiche di Francia e Spagna, che decisero l'occupazione del regno di Napoli e farne la seguente spartizione: alla Spagna sarebbero andate la Puglia e la Calabria e alla Francia la Campania, l'Abruzzo e il Molise. L'accordo con gli Spagnoli fu concluso dal successore di Carlo VIII (morto nell'aprile del 1498), Luigi, duca d'Orléans che prese il nome di Luigi XII, anche se in effetti ne seguì una guerra tra Francia e Spagna, alla fine della quale nel gennaio 1504 avremo che il regno di Napoli diventa una provincia spagnola.
Luigi XII rivendicava diritti sia sul ducato di Milano che sul regno di Napoli: aveva sempre procurato di fare un accordo col re de' romani, per il quale oltre a ottenere da lui l'investitura del ducato di Milano gli fusse lecito assaltare il regno di Napoli». E il papa Alessandro VI si dimostrava ben disposto a detronizzare Federico d'Aragona.
Contro questi movimenti il re Federigo, non sapendo che l'armi spagnuole fussino sotto specie di amicizia preparate contro a lui, sollecitava Consalvo Ferrando e sperava, congiunto che fusse Consalvo con l'esercito suo, aver esercito potente a resistere, senza essere necessitato a rinchiudersi per le terre, a' franzesi: (…) e si fermò a San Germano; ove aspettando gli aiuti spagnoli e le genti che gli conducevano i Colonnesi, sperava d'avere con più felice successo a difendere l'entrata del regno che non aveva, nella venuta di Carlo, fatto Ferdinando suo nipote.
Ben presto la realtà si presentò chiara, quando i francesi nel luglio del 1500 occuparono Capua e poi Aversa e Nola, ed infine entrarono trionfalmente in Napoli il 25 luglio.
«Federigo, abbandonata la città, si ritirò in Castelnuovo; e poco tempo dopo convenne con Obignì di consegnargli fra sei giorni tutte le terre e le fortezze che si tenevano per lui, ritenendosi solamente l'isola d'Ischia per sei mesi: nel quale spazio di tempo gli fusse lecit...

Indice dei contenuti

  1. Pagina titolo
  2. Prefazione
  3. 1 - Vicende storiche del regno di Napoli
  4. 2 - Il Castello d’Ischia “corte reale” e “corte letteraria”
  5. 3 - Le famiglie Colonna e D’Avalos
  6. 4 - Regine, ex regine, principesse, nobildonne
  7. 5 - Vittoria Colonna
  8. 6 - Intorno a Costanza d’Avalos e Vittoria Colonna
  9. 7 – Poeti e rimatori
  10. Il “caro scoglio” di Vittoria Colona
  11. Bibliografia