CAPITOLO 1
Apro la finestra e, mentre lei suona, consegno il mio volto accaldato al vento che fulmineo mi porta un’ondata di freschezza. È il quarto anno che vengo in questa casa a dare lezione di pianoforte alla figlia dell’Ing. Bertani. Vengo tutti i martedì, arrivo alle 17,00 aspetto che Maria finisca il suo thè con biscotti e poi andiamo in camera sua ed iniziamo a provare brani.
Beethoven, sonata per pianoforte opera 2 n°1. Chiudo gli occhi. Niente per me è più rilassante dell’ascoltare Maria che suona; è come rifarsi in una botta sola le canne che mi sono fumata in cinque anni di scuola alle superiori. Come farà a suonare così? È molto più brava di me che sono la sua insegnante da quando ancora non sapeva che il pianoforte avesse i tasti neri oltre a quelli bianchi.
Un colpo di vento più deciso ed un attimo dopo la musica si interrompe bruscamente. Mi volto e il mio sguardo si posa sullo spartito che fluttuando abbandona il pianoforte per poi atterrare sotto l’armadio posto sulla stessa parete dove spadroneggia il poster di una boy band.
- Stai Maria! Te lo prendo io … -
- No, ferma. Lascia stare, tanto non ho più voglia oggi -.
La guardo mentre si alza in piedi, è buffa! Non si è abbottonata bene la camicia che infatti le pende più lunga da una parte, al polso ha un prezioso orologio a lancette che non le serve a niente perché lo ha messo alla rovescia e così non riuscirà a leggerlo; quell’orologio, Maria, lo porta come se fosse solo un bel bracciale ed anche se l’avesse posizionato nel giusto verso, per lei non farebbe alcuna differenza.
Per sapere l’ora, Maria deve chiederla a qualcuno oppure leggerla su un orologio digitale o sul cellulare.
- Dai! Maria! Non sei più una bambina della scuola primaria! Smetti di fare le bizze. Suona ancora un pochino. Tra l’altro il prossimo mese ci sarà un concorso. È importante! E’ internazionale … vorrei tanto che tu partecipassi, ne ho già parlato anche con tua madre -
- No! No no. Non ci penso proprio. Non ci sperare -.
Maria mi risponde senza guardarmi, mentre ripone i suoi spartiti in una cartella.
- Maria, guardami Maria! Perché non vuoi fare il concorso? Non dirmi che non credi di essere all’altezza? Non ho mai avuto un’allieva brava quanto te! Giuro che è vero, non lo dico per farti un complimento -.
Maria continua a non guardarmi in faccia e mi risponde con sarcasmo facendo altro, mentre l’amarezza le disegna sul volto un sorriso beffardo.
- Chissà quanta gente ci sarà meglio di me. Non ci penso proprio a muovermi da casa per andare a fare una figura di merda. Ne faccio già tante a scuola … sai? -
- Si, so come ti senti! -
- No, non lo sai; anzi, non c’è niente da sapere. Non se ne parla proprio. Chiuso il discorso -
- Ma Maria … -.
Non riesco a dire altro, lei è già vicina alla porta.
- Io vado. Passa a prendermi la mamma di una mia compagna di classe, vado ad un compleanno. Tu resta pure qui, fumati una sigaretta e aspetta mia madre; ha detto di dirti che oggi ti paga anche le lezioni delle ultime tre settimane. Ti conviene aspettarla, non dovrebbe tardare molto. Vado. Ciao Benedetta, ci vediamo martedì prossimo -
- Brava, brava Maria, scappa. Ma ricorda che nella vita alla gente piacerà di te soltanto quello che tu per prima riuscirai ad apprezzare di te stessa -.
Forse ho toccato un nervo scoperto, Maria alza la cartellina degli spartiti, per poi sbatterla a terra, mentre con la voce rotta da un pianto represso urla che lei non deve dimostrare niente a nessuno e che non si misurerà con se stessa o con altri.
Mi lascia sola, sbattendo la porta. Accendo una sigaretta e mi avvicino nuovamente alla finestra aperta per non lasciare tracce di fumo nella stanza. Decido di seguire il consiglio di Maria e di aspettare sua madre. Mi mantengo dando lezioni di equitazione e di musica e questo mese sono a corto.
Il vento si è calmato. Un tuono che si amalgama al mio stato d’animo annuncia un temporale imminente. Mi sento avvilita; si, è questa la sensazione che provo e che mi fa essere parte di questo cielo nero, inquieto e sul punto di piangere. È dura avere a che fare con Maria! Per chiunque la conosca è soltanto una ragazzina antipatica, scontrosa, asociale e pure limitata e anche poco talentuosa, ovviamente per tutto quello che non concerne la musica; ma per me no, non è così.
Conosco troppo bene quello che prova Maria: le sue sensazioni e le sue paure, il perché delle sue insicurezze e del suo sguardo perennemente accigliato che le sta tatuando una ruga sulla fronte, nonostante la tenera età. Per me è un libro aperto e quelle pagine di dolore io le ho scritte prima di lei. So perfettamente quello che è stato il suo percorso ed ho assoluta consapevolezza di quello che rischia.
Quando penso a Maria, è come se fossi davanti ad uno specchio e l’immagine che vedo riflessa è la mia, di quando anch’io ero una ragazzina. Sento nuovamente quel senso di pesantezza che ho percepito alla presenza del bivio di fronte al quale mi sono trovata e così, sento la responsabilità di contribuire a fare in modo che, neanche adesso, venga scelta la strada sbagliata.
Accendo una sigaretta mentre mi affaccio ad occhi chiusi e fantasticare sul chiasso della città; è quello che faccio da sempre nei momenti bui, difficili o comunque tristi della mia vita: mi isolo, chiudo gli occhi e lascio che la fantasia mi salvi.
Dopo tre squilli, per non essere disturbata dal rumore del traffico, prendo il cellulare e rispondo spostandomi di un paio di metri dalla finestra. Prima di rispondere guardo il display, lo faccio sempre quando mi squilla il cellulare, lo faccio per curiosità e perché non gradisco le sorprese. Spesso, vedendo in anticipo chi mi sta cercando, riesco a predispormi per quello che di li a poco sarà oggetto di conversazione.
Beny, semplicemente “Beny” è il nome che appare sul cellulare.
- Pronto nonna! -
- Ciao Benedetta, come stai? -
- Bene, grazie! E tu, nonna? Come va con il mal di schiena? -
- Meglio cara … meglio. Faccio molta fisioterapia e sto un pochino meglio … per quello che l’età mi consente, ovvio! -
- Bene, sono contenta. Dimmi tutto -
- Si, se ben ricordo, avevamo deciso che quest’anno avremmo passato il natale insieme, vero? -
- Si, nonna. Sarei dovuta venire da te anche lo scorso natale, ma tu …. Ricordi? All’ultimo, hai deciso di andare dallo zio Francesco a N.Y perché lui non poteva muoversi da lì … e quindi, per il terzo anno consecutivo ho passato la vigilia, natale e S. Stefano a casa di Eva -
- Hai ragione tesoro, ti avevo promesso che quest’anno l’avremmo festeggiato insieme … io, te e la zia Margherita, però la mia amica Alessandra mi ha invitato a Parigi per passare il natale con lei e la sua famiglia; hanno preso un appartamento in affitto per novembre e dicembre a Le Marais -.
Resto in silenzio, mentre nonna tace in attesa della mia approvazione che la farebbe sentire ripulita nella coscienza ed assolta dalla sua stronzaggine.
- Cosa vuoi che ti dica nonna? -
- Niente cara, hai ragione, dirò ad Alessandra che la ringrazio molto ma che avevo già preso un impegno con te e non posso andare -
- No. No nonna, vai pure a Parigi. Non preoccuparti per me, andrò a casa di Eva anche quest’anno. Divertiti e buon Natale … se non ci sentiamo prima -
- Ooohhh grazie! Sei tanto una cara ragazza … ma certo che ci sentiamo! Partirò il 20 dicembre, ti chiamo qualche giorno prima, così, se poi non riusciamo a vederci, ti lascio in casa dei soldi e ti compri un regalino da parte mia. Preferisco lasciarti i soldi, sai che io non ho molta fantasia per i regali -
- Ok. Grazie nonna. A presto -.
È trascorso soltanto un minuto da quando ho spento l’ultima sigaretta, ne accendo subito un’altra e torno ad affacciarmi alla finestra della camera di Maria.
In lontananza si scorge la casa di Eva e io, che in pieno temporale mi sporgo il più possibile per far sì che il fumo non entri in casa, in una doccia di pioggia e tristezza, inizio a viaggiare nel tempo e nel mondo dei ricordi.
Otto! avevo otto anni in quel periodo e per me il mondo era soltanto uno schifoso complotto nei miei confronti; sentivo di esserci per errore.
Forse, alla nascita ero stata catapultata sul pianeta sbagliato, un pianeta popolato da “cattivi” e i cattivi vedono solo cose brutte negli altri. Mi sentivo sempre così diversa, così inopportuna. Camminavo titubante in punta di piedi ed in punta di piedi avrei voluto andarmene.
Il vissuto mi torna così nitidamente che rivivo i particolari.
CAPITOLO 2
È una piovosa giornata di novembre, la scuola è una decadente, inquietante ed al contempo maestosa ed affascinante struttura ottocentesca; in passato è stata una signorile residenza situata all’interno di un enorme parco, con alberi imponenti e con una storia talmente lunga da aver assistito all’evoluzione ed al passaggio di almeno cinque generazioni. Mia zia Margherita suona al citofono per farsi aprire dalla custode.
- Sono la zia di un’alunna della terza F, mi avete contattata telefonicamente, perché mia nipote non si sente bene. Sono venuta a prenderla -
- Si, le apro. Entri pure! -.
Il massiccio portone si apre scricchiolando e Margherita percorre il lungo corridoio violandone il silenzio con il rumore dei tacchi; è la stessa scuola che frequentava lei e prima di lei suo fratello e sua sorella. Come quando era piccola, ogni volta che passa da quel corridoio, non può fare a meno di dare sfogo alla fantasia ed immaginare come sarebbe potuto essere al tempo in cui ci viveva una facoltosa e nobile famiglia della zona; lo immagina percorso da signore in lunghi abiti ottocenteschi, mentre, guardando fuori dalle gigantesche finestre, ne immagina altre che a piccoli gruppetti si raccontano pettegolezzi, ridendo e portandosi il ventaglio davanti alla bocca per non rischiare di essere giudicate volgari o poco dignitose. Margherita immagina carrozze parcheggiate vicino alle stalle e cani da caccia che aspettano di partire con gli uomini, per una battuta a cavallo nei boschi circostanti … forse esagera un pochino, ma a lei piace pensare che quella scuola abbia avuto un passato degno di una reggia.
Arrivata in fondo al corridoio l’aspetta una monumentale scalinata di marmo, la stessa dalla quale, a nove anni, sua sorella Marta cadde, rotolando gli ul...