STATUTI E CAPITOLI DE PERRINALDO
1580
La forma degli statuti
Il manoscritto è stato rinvenuto eccezionalmente e inaspettatamente all’interno dei protocolli del notaio Paolo Laura 661, che venne incaricato dai consoli di Perinaldo di redigere il nuovo statuto emendato dal parlamento locale il 24 aprile 1580 662.
Questa è la copia che il notaio mise agli atti, consegnando l’originale alle autorità perinaldesi che si doveva conservare nella capsa comunitatis, cioè nell’archivio comunale a titolo di summa legge per la vita sociale della comunità. A seguito del conflitto scoppiato tra genovesi e piemontesi di fine Seicento, l’intero archivio è andato completamente distrutto 663, e con esso sia la documentazione antica, sia la raccolta statutaria. Questa è l’unica copia sfuggita alla distruzione che fortunatamente seguì il notaio Laura, insieme ai suoi atti, durante gli spostamenti che fece attraverso il Ponente Ligure, per essere infine depositato, dopo la sua morte, e dopo diversi passaggi di mano, nella conservatoria notarile di Taggia.
Dobbiamo ringraziare il caso se oggi possiamo di nuovo leggere quelle antiche ordinanze, in quanto se lo statuto fosse stato trascritto da un notaio di Perinaldo, questo sarebbe andato sicuramente distrutto insieme a tutti gli atti notarili della piazza perinaldese. La versione del 1580 è l’unico documento statutario di Perinaldo giunto fino a noi.
Girolamo Rossi, nel suo studio sugli “Antichi Statuti della Liguria”, per Perinaldo individuò soltanto un riferimento, probabilmente rinvenuto nell’archivio dei Doria, nel quale si menziona un’approvazione degli stessi da parte di Giulio Doria nel 1567, e a cui fecero seguito delle aggiunte solo nel 1727 664.
Il Rossi evidentemente interpreta male la data del documento, in quanto nel 1567 era titolare del feudo Stefano Doria a cui subentrerà il cugino Giulio solo nel 1580, anno in cui approva effettivamente il corpo legislativo. È chiaro che, essendo stato emendato, lo statuto è la forma ampliata di un corpo di leggi ancora più antico, che ha probabilmente seguito l’evoluzione di quelli della vicina Apricale, che fanno risalire i propri al 1267, considerati a pieno titolo i più antichi statuti della Liguria. Ed il fatto che i due statuti siano in qualche modo collegati, è riscontrabile su due particolari capitoli che sono uno la copia dell’altro. O i due sono stati copiati l’uno dall’altro, oppure ambe due gli statuti hanno fatto riferimento ad un terzo statuto, che potrebbe essere quello di Dolceacqua, capoluogo della signoria, andato attualmente disperso 665.
Già in alcuni atti del notaio Ludovico Balbo sono presenti dei riferimenti che attestano la presenza degli statuti ad inizio Cinquecento, soprattutto in occasione di dispute relative alla vendita di beni immobili, in cui i procuratori portarono ad esempio il relativo capitolo.
Ne è un esempio la disputa sorta nel 1520, che vide protagonista Antonio Crovesio, il quale, appellandosi al diritto agnatizio, fece annullare la vendita di un mulino fatta dal nipote Bernardo. Nell’atto è espressamente indicato il capitolo De venditione in agnatos potius quam in alios facienda contenuto negli statuti 666.
Ritroviamo, qualche anno prima, nel 1512, nella causa intercorsa tra Giovanni Pizio e Stefano Oberto, il richiamo alla stessa rubrica: De venditione in confines potius quam in alios facienda 667.
Bartolomeo Doria, nel 1473, li menziona nel giuramento che i perinaldesi prestano nelle sue mani, e nel quale si impegna a rispettare i capitoli statutari che furono in antico concessi alla comunità 668.
Ancora più anticamente, ritroviamo, nella già citata convenzione del 1451 tra Perinaldo e Sanremo, il richiamo agli statuti conservati nelle rispettive comunità: expresse ex forma capitulorum et statutorum dictorum locorum Sancti Romuli et Podii Rainaldi 669.
Ma il più antico riferimento della presenza di un organo comunale, che possa essere ricondotto ad una primitiva regolamentazione statutaria, è il documento del 1220, nel quale Perinaldo è identificato come comune e nel quale compaiono, per la prima volta, i suoi rappresentanti: i consoli 670. Purtroppo non è stato possibile andare ulteriormente indietro nel tempo, per la mancanza di documenti più antichi, come più volte ricordato, ma questo dovrebbe bastare a provare l’antichità del corpus legislativo locale.
Il manoscritto si presenta come un piccolo registro, largo 11,5 cm e alto 31,5 cm, costituito da tre fascicoli rilegati insieme con spago e cuoio, per un totale di 90 fogli scritti su ambo le pagine. Non ha copertina rigida, e la prima pagina riporta il titolo “Statuti e Capitoli de Perrinaldo”.
È in ottimo stato di conservazione, e le ultime pagine sono state lasciate in bianco, segno che il documento è completo e non menomato di alcuna parte. Purtroppo, essendo l’unica versione, non è possibile effettuare un confronto e stabilire allo stato attuale, se il notaio trascrisse in tutte le sue parti i relativi capitoli originali. Il manoscritto termina con lo statuto della confraternita del Santo Spirito, che farebbe supporre la conclusione dei capitoli civili ordinari.
In origine il manoscritto aveva i primi 25 fogli legati insieme mediante una cucitura perimetrale che ne secretava il contenuto. Tolta la cucitura si è visto che in quelle pagine erano riportati i primi capitoli scritti in latino. È ipotizzabile che il notaio, originario di Baiardo, comunità della Repubblica di Genova, avesse incominciato a stendere la copia degli statuti in latino, così come era in uso nelle cancellerie genovesi.
Ma Perinaldo gravitava nell’orbita del ducato sabaudo, e nel 1562 Emanuele Filiberto aveva istituito l’obbligo di redigere gli atti pubblici in italiano. Così avvenne per quelli di Pigna emendati nel 1575, seguirono quelli di Perinaldo del 1580, e quattro anni più tardi quelli di Rocchetta Nervina (1584). Probabilmente furono gli stessi consoli di Perinaldo che si accorsero dell’errore, e imposero...