Gli Spagnoli
Con l'avvento degli spagnoli alla fine del XIV secolo e la ventata di ortodossia cristiana, gli ebrei cagliaritani furono scacciati e la sinagoga distrutta: al suo posto fu eretta la basilica di Santa Croce quasi a volerne cancellare anche il ricordo.
Con gli spagnoli Castrum Calari fu chiamata Castrum De Càller e poi solo Càller mentre il dispotismo dei feudatari diventò sopruso nonostante Cagliari fosse “città regia” cioè sotto il diretto controllo della corona e non di un signore.
Il popolo non ebbe forse, neanche la forza di reagire, mentre i signori e i ricchi locali facevano a gara per conquistare impieghi di prestigio o favori da parte dei governanti.
Il parlamento sardo di stanza in città era formato da tre bracci chiamati stamenti che avevano il compito di fissare il donativo al re e si riunivano di norma ogni 10 anni: per quel periodo era una istituzione di “alta democrazia”, che purtroppo nulla poteva fare per lenire i bisogni del popolo.
Il desiderio di ottenere incarichi pubblici da parte dei signori sardi fu la causa che scatenò gli assassini del marchese di Castelvì e del viceré Camarassa nel 1668: ma la Massa rimase estranea all'episodio non avendo nulla da ottenere.
La città intanto andava assumendo una fisionomia nettamente spagnola e le tradizioni iberiche, il modo di costruire, la lingua ebbero il sopravvento impregnando e modificando la cultura autoctona, i quartieri fuori le mura andarono riempiendosi di immigrati che cercavano nella città una vita con meno stenti e lontano dalle vessazioni feudali dell'interno dell'isola.
Quando in Castello abitavano nobili e signori
Nel 1257, la città giudicale di Santa Igia filo genovese, fu distrutta dai Pisani coalizzati con gli arborensi, i galluresi e forse i logudoresi, la città fortificata di Castello fu così rioccupata dai pisani che l’avevano costruita nel 1216, su licenza dell’allora giudice di Calari Barisone.
Da quel momento il Colle che fu chiamato Castel di Calari fu l’unico erede della ormai scomparsa città Fenicio Punica e Romana di Caralis, era governato da due Castellani nominati annualmente da Pisa, coadiuvati da un consiglio di anziani eletti dal popolo diviso in compagnie a seconda della attività artigianale o commerciale esercitata.
Castello si popolò di nobili e di facoltosi commercianti mentre il popolo si stabilì nei sorgenti quartieri di La Pola (Marina), Stampace e Villa-nova.
La torre dell’Elefante e il Bastione di Santa Croce A La Pola risiedevano i lavoratori delle attività portuali, a Stampace artigiani e contadini, mentre Villanova era il regno degli agricoltori e degli allevatori.
Tutti si recavano in Castello per commerciare ed ognuno aveva la speranza di poter aprire, un giorno, bottega entro le sue mura, perché quello era il centro commerciale ed era lì che abitavano i più ricchi della città.
Nel 1326 arrivarono gli aragonesi e Castello diventò una Cittadella blindata in quanto gli iberici non permettevano ai sardi la residenza entro le mura e le porte di accesso venivano chiuse al tramonto al suono di una tromba, si racconta che i non residenti colti dopo il segnale ancora dentro le mura, fossero scaraventati senza indugio dai bastioni. Prima il governatore, poi i Viceré con il loro seguito di nobili e funzionari, fecero della rocca una residenza esclusiva, mentre il popolo languiva in logori tuguri nei tre quartieri satelliti svolgendo i lavori più umili.
Con gli spagnoli a partire della fine del 1400, il colle che oramai veniva chiamato Caller, oltre che dei nobili, diventò residenza dei signori, in cerca di titoli e onori, dell’alto clero e dei pubblici funzionari con grado più elevato.
Anche molti feudatari elessero la loro residenze entro le mura, i palazzi gentilizi si moltiplicarono mentre la nuova classe mercantile sostituiva i piccoli nobili caduti in disgrazia, un luogo esclusivo dunque dove erano concentrate tutte le strutture politiche, amministrative, giudiziarie, l’università, il teatro ed i collegi religiosi destinati ai rampolli delle famiglie più agiate.
Dopo il 1720, con l’arrivo dei piemontesi, il borgo fu popolato da uno stuolo di cortigiani, e funzionari con i loro familiari e tutti gli edifici disponibili furono occupati, se ne costruirono anche dei nuovi che sostituirono le vetuste abitazioni.
Per quasi 170 anni con i piemontesi Castello fu il centro degli affari e residenza dei notabili, nel 1799 ospitò anche la corte dei Savoia, reali compresi, scacciati dal Piemonte da Napoleone, poi a fine ‘800 il consiglio comunale decise di trasferire la sede del Palazzo Civico in via Roma decretando la fuga dei signori che cercarono lussuose abitazioni in pianura.
Castello fu così popolato dai ceti meno abbienti e le sue abitazioni e lo stesso quartiere lentamente si avviarono a quel degrado che ancora oggi appare inarrestabile.
L’inquisizione a Cagliari
Nel 1492 il tribunale spagnolo dell'inquisizione con compiti di perseguire e giudicare i reati di fede, autorizzato dal papa Sisto IV, si stabilisce a Cagliari suscitando timore nella cittadinanza.
L'inquisitore per la Sardegna, Sancho Marin stabilì la sua sede in una zona chiamata “ Is stelladas” nei pressi dell'attuale viale Ciusa, occupandosi dei giudizi contro i cittadini accusati di deviazioni di fede, di bigamia, stregoneria
Via Fossario dove erano ubicate le carceri
ecclesiastiche I sospettati dopo l'arresto subivano un interrogatorio da parte dell'inquisitore con le “pressioni” per una piena ammissione delle colpe e l'invito a nominare un difensore, difficile a trovarsi, per la paura di incappare, a sua volta in accuse di eresia, nell'esercizio del proprio ufficio; nei casi più fortunati l'avvocato cercava di convincere il suo assistito alla piena confessione.
Per coloro che non riconoscevano i propri reati scattava la tortura, che era una prassi consueta ed era applicata anche dai tribunali penali normali: stiramento degli arti, Il ferro rovente, lo strappo delle unghie, questi i sistemi di convinzione più usati.
Dopo l'inevitabile confessione del malcapitato e la relativa condanna per eresia; l'esecuzione era preceduta da una cerimonia chiamata “autodafé” che iniziava con una lunga messa dopo la quale il condannato passava tra la folla preceduto dalla croce che recava il segno del lutto. Il morituro scalzo vestiva un grezzo saio ed apriva il lungo corteo seguito da soldati, religiosi e dagli appartenenti alla confraternita della buonamorte.
Giunti sul luogo della sentenza il reo veniva consegnato al carnefice con una preghiera da parte dell'inquisitore che era formulata come segue: “Ti preghiamo di non far del male all'anima e al corpo di questo fratello peccatore”.Nei casi più fortunati la condanna al remo nelle galere era considerata una pena clemente, mentre per i religiosi, la condanna più frequente era il lavoro coatto presso un ospedale o un lazzaretto.
Anche a Cagliari a delazione e la denuncia anonima diventarono un mezzo per eliminare nemici o contendenti, persino la mogli del viceré, Antonio de Carbona, fu accusata di eresia da e portata in giudizio dall'inquisitore Andrea Sanna che, davanti a persone potenti, preferì investire del fatto il supremo consiglio dell'inquisizione di Spagna.
Il Viceré dimostrò l'infondatezza delle accuse rivolte alla moglie, che fu assolta mentre i suoi accusatori, rei di conseguenza di falsa testimonianza, furono condannati inesorabilmente.
Le divergenze tra inquisizione e poteri pubblici diventarono man mano sempre più aspre e in Sardegna fu inviato, nel 1562, un nuovo inquisitore Diego Calvo che operò in modo repressivo.
Famoso fu il procedimento contro i fratelli Gallo di Iglesias accusati di calvinismo, che però riuscirono a fuggire all'estero e quello contro il francescano Arcangelo Bellit reo di aver negato l'esistenza del purgatorio e della presenza di Cristo nell'ostia, che riconoscendo i suoi delitti, fu condannato al carcere avita.
il Bellit fu uno degli accusatori di Sigismondo Arquer, avvocato fiscale di Cagliari, ed in seguito ottenne la diminuzione della pena a 3 anni trasformati poi in un rilievo di biasimo.
il libro “Sardiniae Brevis Historia et Descriptio” scritto dall'Arquer e sfortunatamente inserito dal luterano Sebastiano Munster nella sua “Cosmographia Universalis” furono decisivi per la sua incriminazione, arrestato fu trasferito in Spagna dove fu condannato e giustiziato a Toledo nel 1571.
Nel 1563, senza apparenti motivi, Diego Calvo trasferisce con grande tempismo la sede della inquisizione a Sassari, forse perché nel capoluogo era pronta una insurrezione ed evitava così i pericoli per la sua persona.
L’Università cagliaritana
Cagliari agli inizi del secolo XVII era una città profondamente iberizzata, con il monopolio della istruzione unica prerogativa del clero in generale e dei Gesuiti in particolare.
Conseguire una laurea era l'ambizione dei figli dei ricchi e dei nobili, ai quali però era vietato, almeno in teoria, frequentare le scuole italiane, di conseguenza non rimaneva altro che trasferirsi in Spagna per seguire i corsi di studio.
Ma le spese da sopportare erano enormi cosi come i sacrifici ed era forte l'esigenza di avere in città una università che allora veniva chiamata “Studio generale”.
Durante la celebrazione del Parlamento del 1602, i tre stamenti ( bracci che formavano il parlamento ), chiesero formalmente al Re di
L’università di Cagliari Spagna l'istituzione dello studio generale e, contrariamente al diniego che la stessa proposta aveva rice-vuto nel 1543, questa volta il Sovrano Filippo III diede il suo consenso e, il viceré conte di Elda, poté passare quindi alla preparazione dei decreti per la realizzazione che furono emanati l'anno seguente.
Ma il cammino formale per la creazione del più alto ordine di studi era quanto mai lungo, necessitava infatti di un beneplacito pontificio e, per ultimo, del privilegio reale che dava il via alla istituzione dell'ateneo.
I problemi finanziari furono nel frattempo risolti dagli stamenti che promisero la somma di mille ducati ciascuno; fu anche scelto il luogo dove erigere il nuovo complesso: attuale piazza Indipendenza, di fronte alla torre di S. Pancrazio.
Nel 1607 arrivò l'approvazione del Papa Paolo V attraverso una bolla pontificia, ma forse, per gelosie interne della classe dirigente e dei nobili, mancò parte della somma a sua tempo promessa: infatti due degli stamenti, quello militare e quello ecclesiastico, non versarono i 1000 ducati annui ed i lavori di costruzione subirono lunghe pause tanto che il sovrano fu costretto a richiamare i parlamentari ed esortarli a tenere fede agli impegni.
Il privilegio reale, ultimo atto formale necessario alla istituzione dello studio generale, fu emanato il 31 ottobre 1620, dal Re Filippo III di Spagna e prevedeva l'apertura delle facoltà di giurisprudenza, filosofia, medicina e teologia che rilasciavano i titoli di baccelliere, con quattro anni di corso e di dottore con cinque; due le autorità accademiche preposte alla direzione: il cancelliere ed il rettore.
La prima carica doveva essere ricoperta dall'arcivescovo di Cagliari, mentre la seconda era riservata necessariamente ad un ecclesiastico che di norma veniva scelto tra gli insegnanti di teologia o di diritto.
La costruzione dell'edificio andava però ancora a rilento e, con molta probabilità, intervennero gli aristocratici con dei finanziamenti tra i quali quello cospicuo della nota famiglia Brondo.
Ultimo atto, prima dell'effettiva apertura della nuova istituzione, fu la creazione del regolamento di funzionamento del quale fu incaricato il famoso giurista Giovanni Dexart che...