Scegliere il candidato
Una delle questioni più controverse nel dibattito sui sistemi elettorali in Italia è certamente quello delle preferenze.
Allo stato attuale in Italia le preferenze sono utilizzate sia a livello comunale sia a livello regionale.
Negli ultimi anni è stata introdotta anche la doppia preferenza di genere, vale a dire la possibilità per l'elettore dei comuni al di sopra dei 5000 abitanti di poter esprimere due preferenze nell'elezione dei consigli comunali, purché di genere diverso (Legge 23 novembre 2012, n. 215) sulla stregua di un'analoga legge elettorale approvata dal Consiglio Regionale della Campania (legge 27 marzo 2009, n. 4). Tali norme hanno avuto come risultato immediato l'aumento del numero delle donne elette nei consigli.
Sulle preferenze si è sviluppata negli ultimi anni una vera e propria demonizzazione assai discutibile perché frutto, essenzialmente, della vecchia tendenza a scambiare la causa con l'effetto.
Nel sistema elettorale vigente fino al 1990 l'elettore italiano per eleggere la Camera dei deputati aveva avuto a disposizione un certo numero di preferenze, che poteva esprimere anche indicando sulla scheda il numero d'ordine del candidato nella lista. Con il referendum del 9 e 10 giugno 1991 le preferenze furono ridotte ad una e con l'obbligo di scrivere il nome del candidato sulla scheda.
In realtà questo referendum era l'unico sopravvissuto al vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale di un pacchetto lanciato dal cosiddetto Manifesto dei 31 26 il cui esponente più rappresentativo era il deputato democristiano Mario Segni.
I referendum proposti, infatti, erano tre: quello già citato che proponeva l'eliminazione delle preferenze plurime, un altro che proponeva di eliminare dalla legge elettorale per il Senato la norma che rendeva i collegi uninominali effettivi solo se un candidato raggiungeva il 65% dei voti e infine un terzo che proponeva di estendere il sistema elettorale maggioritario del comuni inferiori a 5000 abitanti anche a quelli superiori.
Un disegno organico che tendeva, essenzialmente, alla trasformazione del sistema proporzionale plurinominale in un maggioritario uninominale a doppio turno. Come abbiamo visto le riforme elettorali che sono state poi effettivamente realizzate hanno preso un percorso del tutto diverso.
In questo quadro va collocata la questione centrale che sottende ogni sistema elettorale, vale a dire il grado di libertà che l’elettore ha nella scelta della rappresentanza politica. Questa libertà sarà tanto più ampia se minore è il grado di quella scelta affidato ad una mediazione successiva.
Per comprenderci l’elettore avrà il massimo grado di libertà di scelta se:
1) può scegliere il governo del suo Paese e il leader che dovrà attuare il programma di quel governo;
2) può scegliere il partito e/o la coalizione di partiti che dovrà formare la maggioranza parlamentare di quel governo;
3) può scegliere il rappresentante o i rappresentanti, espressione del territorio in cui l’elettore vive, che dovranno comporre la maggioranza parlamentare della coalizione di governo che ha scelto per governare tutto il Paese.
Queste tre condizioni si verificano, generalmente, in tutti i Paesi europei di cui abbiamo esaminato i sistemi elettorali. In Italia, con la legge Calderoli si sono verificate solo le prime due condizioni, mentre la terza è rimasta affidata alla mediazione dei partiti e in particolare dei suoi gruppi dirigenti nazionali. Le liste bloccate su circoscrizioni così ampie hanno interrotto il rapporto tra elettore ed eletti e tra eletti e territorio.
E' stato proprio questo vulnus a produrre guasti assai profondi nel rapporto tra cittadini e rappresentanza politica, che è certamente solo un aspetto della più generale crisi del sistema politico italiano anche se non il solo.
Il cosiddetto porcellum è stato una legge che traeva la sua origine culturale da una visione leaderistica e plebiscitaria, che è stata introdotta certamente dal berlusconismo ma che ha pervaso tutte le formazioni politiche, anche di centrosinistra. In questa visione la rappresentanza politica è considerata come la risultante di una delega del leader, per cui l’elettore è chiamato alla pura ratifica di decisioni prese centralmente.
Ora, l’unico sistema che consente di scegliere il candidato in una lista (lunga o breve che sia) è quello che prevede le preferenze o il cosiddetto voto limitato.
Scegliendo all’interno di una lista l’elettore sceglie un candidato e un possibile eletto, “preferendolo” ad altri candidati dello stesso partito.
Alle preferenze si imputa soprattutto il difetto di spostare la competizione tra candidati all’interno del partito e della lista e di far lievitare in maniera esorbitante i costi della politica e quindi, implicitamente, di favorire la corruzione politica.
Per quanto riguarda la prima argomentazione è facile obiettare che la storia delle competizioni elettorali in Italia ha dimostrato come il ricorso alle preferenze non ha impedito (e non impedisce laddove questo sistema è vigente a livello regionale e locale) la competizione tra partiti e schieramenti alternativi. Infatti “il voto di preferenza (…) non altera la struttura di votazione categorica (la scelta netta, cioè inequivocabile a favore di una determinata lista o candidato, N.d.A.), in quanto indica solitamente un’ulteriore preferenza nell’ambito dell’elenco di nomi dell’opzione prescelta (lista di partito). Ma per il fatto di introdurre l’ordinalità può essere uno strumento importante di rafforzamento della rappresentatività” 27.
In merito alla seconda obiezione è facile osservare come la degenerazione della politica sia un problema essenzialmente politico che, del resto, si è presentato abbastanza frequentemente nella storia italiana (e di cui non sono esenti neppure gli altri Paesi a cui guardiamo spesso con un eccesso di provincialismo) a prescindere dal sistema elettorale. Sul problema dei costi e del finanziamento della politica, che in tutte le democrazie sono regolati per legge in maniera meno ipocrita e più trasparente che nel nostro, la questione non può essere risolta soltanto dalla legge elettorale ma da tutta una serie di norme che garantiscano il non sforamento di “tetti” ben definiti, per i quali prevedere un sistema di controlli più stringenti e sanzioni tali (come l’annullamento dell’elezione) da scoraggiare il ricorso a certi metodi come avviene in tutte le democrazie avanzate.
D’altro canto, come dimostra la storia recente, la degenerazione politica (corruzione, collusione con organizzazioni criminali, conflitti d’interesse con gruppi di potere economico e politico, ecc.) non è affatto scomparsa nelle Camere “nominate” con le liste bloccate nelle legislature del 2006 e del 2008, anzi.
Persino la tendenza cosiddetta “trasformistica”, il passare cioè da un gruppo parlamentare ad un altro per motivazioni spesso tutt’altro che nobili, non è affatto diminuita ma in qualche modo si è addirittura accentuata proprio per le ragioni sovra esposte.
Ad ogni modo, la scelta del candidato costituisce un'esigenza aperta sia nei sistemi plurinominali sia in quelli uninominali.
Nei sistemi maggioritari uninominali (soprattutto quelli a turno unico) il problema è stato risolto affidandosi alle primarie interne ai partiti, segno che questo tema è tutt’altro che esiziale anche in paesi abituati da tempo a questo sistema.
E’ sempre apparso politicamente censurabile, infatti, il sottrarre la scelta dei candidati alla volontà degli elettori e sostenitori di quella forza politica.
Ora l’unico Paese dove le primarie sono regolate per legge sono gli USA in base ad una tradizione nata nel 1842 nello Stato della Pennsylvania. Esse si svolgono chiamando ad esprimere la propria preferenza tutti coloro che si iscrivono preventivamente in apposite liste predisposte dai due partiti, il repubblicano e il democratico. Le liste sono aggiornate tra un’elezione ed un’altra attraverso un lavoro che è affidato proprio ai partiti, i quali non hanno le stesse caratteristiche di quelli europei non essendo concepiti come organismi “permanenti” nei quali si elaborano e si sviluppano le proposte politiche che i rappresentanti istituzionali saranno chiamati a realizzare una volta eletti.
I partiti in USA sono organizzazioni “leggere” in cui gli "iscritti" e i militanti sono chiamati essenzialmente a svolgere la funzione di selezione delle candidature, mentre gran parte dell’attività politica è completamente demandata agli eletti.
Tale modello non trova riscontro, come abbiamo visto, neanche in Inghilterra dove i partiti sono invece organizzazioni ben strutturate, d...