Israeliani e palestinesi. Le ragioni degli altri
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Israeliani e palestinesi. Le ragioni degli altri

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Israeliani e palestinesi. Le ragioni degli altri

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Vengono ripercorse le tappe principali del conflitto arabo-israeliano, a partire dalla nascita del nazionalismo arabo e del sionismo a fine '800 fino ad arrivare, in questa seconda edizione, alla Primavera araba, la guerra in Siria e le ultime elezioni israeliane di marzo 2015.
La questione israelo-palestinese ha provocato e continua a provocare accesi dibattiti e manifestazioni infuocate a difesa dell'una o dell'altra parte. Eppure la conoscenza dei fatti che caratterizzano questa vicenda è, in molti casi, superficiale, fagocitata dalle convinzioni ideologiche. Questo libro si rivolge a chi è invece interessato ad approfondire, negli elementi e fatti essenziali del contrasto, questa conoscenza, ma soprattutto non sia interessato a identificare "chi" ha ragione bensì a comprendere da dove nascono le ragioni degli uni e degli altri.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788891190734

LE PRIMAVERE ARABE E IL LUNGO INVERNO PALESTINESE

Le Primavere Arabe

Il 18 dicembre 2010 Mohamed Bouazizi, giovane ambulante tunisino esasperato per le disperate condizioni economiche in cui versa e le vessazioni della polizia, acquistata una tanica di benzina, con gli ultimi soldi rimastigli si dà fuoco nell’ufficio del governatore di Sidi Bouzid. Il gesto è frutto della disperazione personale del giovane ventisettenne che non appartiene ad alcun gruppo politico od organizzazione, ma diventa immediatamente il simbolo di una condizione vissuta da migliaia di connazionali e il valore simbolico di quel drammatico gesto si estende rapidamente al di fuori dei confini tunisini, dilagando in quella che è stata definita la Primavera Araba.
Nei 12 mesi successivi cadono come birilli i capi di Stato di Tunisia, Egitto, Libia e Yemen. Ma si apre anche il triste capitolo della guerra in Siria.
Tunisia - Il 14 gennaio 2011 Zine El-Abidine Ben Ali è costretto alla fuga e trova rifugio in Arabia Saudita.
Ben Ali era presidente della Tunisia dal 1987 quando aveva convinto i medici di Habib Bourguiba a dichiarare che il "Presidente a vita" era inabile e incapace di adempiere i doveri della presidenza. L’azione di Ben Ali è stata definita un colpo di stato “medico”, anche se l’era della modernizzazione e della laicizzazione del paese promossa dall’eroe dell’indipendenza tunisina Bourguiba era ormai in un fase di regressione e il paese si trovava sull’orlo del disastro economico e della guerra civile, contestuali a una forte crescita dell’islamismo radicale.
Un’analisi approfondita delle condizioni economiche, sociali e politiche della Tunisia esula dagli obiettivi di questo libro, ci limitiamo quindi a evidenziare che mentre il regime di Ben Ali ottiene in materia economica riconoscimenti dalle istituzioni mondiali (il World Economic Forum classifica nel 2007 la Tunisia al primo posto del continente africano per competitività economica), le condizioni di vita della popolazione subiscono un costante peggioramento (dal 2006 al 2008 i prezzi dei maggiori beni di prima necessità, inclusi riso, grano e mais, aumentano del doppio o del triplo e nel 2010 il prezzo di zucchero, grano e olio di semi raggiunge livelli insostenibili per la maggior parte della popolazione), la corruzione dilaga rapidamente allinterno di un regime che si era contraddistinto fin da subito per la repressione dei diritti civili, linclinazione verso la dittatura e gli attacchi alla libertà di stampa.
Il suicidio di Mohamed Bouazizi scatena una serie di proteste di massa in un crescendo che porterà il Primo ministro Mohamed Ghannouchi, dopo aver decretato lo stato di emergenza, a dichiarare decaduto Ben Alì.
Egitto L’11 febbraio 2011 annunciando le dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica Egiziana Hosni Mubarak pone fine a quasi 30 anni di potere assoluto (aveva assunto l’incarico dopo l’assassinio di Anwar el Sadat nel 1981).
Più che per le condizioni economiche, la domanda di cambiamento che, contagiata dalle sommosse in Tunisia e Algeria, si trasforma in una protesta incontenibile all’inizio del 2011 è focalizzata sulle condizioni sociali, sulla mancanza di libertà, sulla corruzione ed è guidata fondamentalmente da giovani della classe media. La protesta scoppia il 25 gennaio quando 25.000 manifestanti si radunano in piazza Tahrir, che diviene preso luogo simbolo della protesta; le manifestazioni vengono duramente represse, ma la rivolta dilaga e Mubarak è costretto alle dimissioni. Non bisogna però dimenticare che l’Egitto è anche la patria dei Fratelli Musulmani, organizzazione nata nel 1928 proprio a Il Cairo e promotrice di una visione politica dell’Islam, i quali mantengono una posizione piuttosto defilata durante le proteste di piazza, ma che di queste raccoglieranno i frutti vincendo le elezioni presidenziali del 2012.
Libia – Mu’ammar Gheddafi, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, viene catturato e ucciso dai “ribelli” il 20 ottobre 2011.
Cercare di riassumere in poche righe la storia della Libia dal 1° settembre 1969, quando il colpo di stato di soldati nasseriani depose re Idris portando al potere il colonnello Mu’ammar al Gheddafi, al 17 febbraio 2011, giorno della manifestazione di Bengasi che ha segnato l’inizio della rivoluzione libica (o guerra civile a seconda dei punti di vista), non è semplice: sarebbe facile liquidare Gheddafi come un feroce dittatore, perverso violentatore, egocentrico e pazzo, concentrandosi sugli aspetti mediatici della sua figura, ma sarebbe una semplificazione che non basterebbe a spiegare la sua permanenza al potere per 42 anni, di cui 20 “pericolosamente” vissuti come nemico pubblico numero 1 degli USA.
Sebbene quello di Gheddafi sia stato un regime che non ha esitato a compiere vere e proprie stragi nei confronti delle opposizioni (il 29 giugno 1996 vengono uccisi 1.270 prigionieri nel carcere di massima sicurezza Abu Salim dopo una protesta sulle condizioni disumane del carcere), dove il potere economico e politico era concentrato nelle mani dello stretto entourage del Colonnello e la corruzione diffusa, era anche il paese con il più alto reddito pro capite del Nord Africa (12.375 US$ nel 2010 contro i 4.349 dell’Algeria e i 2.803 dell’Egitto) e la vita media superiore di 5 anni rispetto a quella dei vicini. In un’economia totalmente basata sui ricchi proventi del petrolio, il regime poteva permettersi una imposizione fiscale molto bassa e, nel contempo, poteva garantire quel minimo welfare (comunque strettamente dipendente dalla fedeltà al regime) che portava la popolazione libica a vivere non certo in una situazione di benessere, ma sicuramente meglio delle popolazioni confinanti, al punto che nonostante la disoccupazione fosse intorno al 30%, in Libia vi era una consistente immigrazione dai paesi dell’Africa sub sahariana per svolgere i lavori più umili.
Istrionico manipolatore, Gheddafi ha poi saputo utilizzare la scena internazionale per rinsaldare lo spirito nazionale e mettere a tacere, più o meno violentemente, ogni forma di opposizione interna. Naturalmente anche Gheddafi, come hanno fatto tutti i capi di stato arabi, si è ciclicamente professato “il” difensore della causa palestinese, prima appoggiando l’OLP di Arafat e poi finanziando le frange più estreme della galassia di organizzazioni palestinesi, ma la politica estera gheddafiana è tutt’altro che lineare e può essere schematicamente riassunta per decadi.
Gli anni ‘70 sono il decennio del nazionalismo arabo, quelli in cui Gheddafi cerca di assumere il ruolo di erede di Nasser (soprattutto dopo il “tradimento” di Sadat del 1974) alla guida di un panarabismo ormai al tramonto.
Negli anni ‘80 sposa, in chiave anti-americana, anti-britannica e anti-israeliana, la causa del terrorismo appoggiando gruppi insurrezionalisti, come l’IRA irlandese, e viene accusato dagli USA di essere il finanziatore di vari attentati fra cui quello, il 5 aprile 1986, a una discoteca di Berlino frequentata da soldati USA: ne segue il bombardamento americano su Tripoli e la risposta di Gheddafi con lancio di missili sulla base americana di Sigonella in Sicilia.
Ma il fatto più grave è sicuramente il coinvolgimento del leader libico nell’esplosione, il 21 dicembre 1988, di un aereo passeggeri sopra la cittadina scozzese di Lockerbie, dove periscono tutte le 259 persone a bordo oltre a 11 cittadini di Lockerbie. Ed è sempre negli anni ‘80 che il Colonnello porta all’estero la repressione dell’opposizione interna ordinando una serie di omicidi mirati nei confronti di cittadini libici rifugiatisi in Europa.
Negli anni ‘90 Gheddafi si affaccia alla scena internazionale con un volto completamente diverso: condanna l’invasione dell’Iraq ai danni del Kuwait nel 1990; sostiene le trattative di pace tra Etiopia ed Eritrea; appoggia il Sud Africa di Nelson Mandela; abbandona definitivamente il nazionalismo arabo per propugnare l’idea di uno stato panafricano (anche se ne diventerà fervente sostenitore solo nel decennio successivo).
Il primo decennio del nuovo millennio vede il leader libico ancora più impegnato nel rifarsi una verginità a livello internazionale. Gheddafi si riavvicina agli USA e alle democrazie europee (al punto che George W. Busch toglie la Libia dalla lista degli “stati canaglia”); annuncia pubblicamente di voler eliminare tutti i programmi in essere riguardanti le armi di distruzione di massa e ordina la distruzione degli arsenali chimici esistenti entro la fine del 2004. Nel contempo, il figlio Saif al-Islam Gheddafi costituisce la Fondazione Gheddafi per la Carità e lo Sviluppo, unica ONG libica riconosciuta dall’ONU, presentandosi come il nuovo volto, moderno, colto, apparentemente in contrasto con il padre sul processo di democratizzazione del paese di cui si fa propugnatore, ma in realtà attore di un gioco di ruolo ben definito per dimostrare che in Libia dibattito e opposizione sono possibili. Infatti né la clamorosa uscita dalla scena politica dell’agosto 2008 ("perché sarebbero sorti problemi se avessi continuato", aveva dichiarato dopo uno dei tanti “insanabili” scontri con il padre) né l’altrettanto clamoroso rientro reclamato a gran voce qualche mese dopo da 5.000 giovani libici scesi in piazza in suo appoggio al grido di “tu sei il nostro futuro” hanno mai messo in pericolo la sua posizione di delfino del padre (il problema, semmai, era la contesa del ruolo con il fratello Mutassim). In realtà sono tutti atti di un commedia incentrata su quella coreografia gheddafiana della mistificazione di cui Mu’ammar è maestro.
Sempre con l’intenzione di dimostrare la buona fede del regime, sarà affidato proprio alla Fondazione Gheddafi il compito di mediare tra le istituzioni e il comitato dei familiari delle vittime di Abu Salim che chiedono giustizia per la strage commessa nel 1996. E sarà proprio questo comitato che, rivolgendosi a una popolazione contagiata dai venti “primaverili” di Tunisia e Egitto, promuoverà a Bengasi la manifestazione del 17 febbraio 2011. Durissima la reazione del regime, alla quale la popolazione della Cirenaica risponderà con una rivolta che sfocerà in una vera e propria guerra: i ribelli (ai quali si uniscono forze dell’esercito regolare) raggiungono rapidamente Tripoli, ma l’utilizzo di artiglieria pesante e dell’aviazione consente all’esercito regolare di riconquistare quasi tutti i centri caduti nelle mani dei ribelli. Mentre le forze di Gheddafi stanno per sferrare l’ultimo attacco contro Bengasi, l’ONU approva la risoluzione che autorizza l’imposizione di una no fly zone sulla Libia "con tutti i mezzi a disposizione", incluso il ricorso all’uso della forza. A metà marzo, inizialmente da Francia, Gran Bretagna e USA in modo autonomo poi nell’ambito di un’operazione Nato, le forze di Gheddafi vengono attaccate per imporre il rispetto della risoluzione ONU, impedendo di fatto l’annientamento delle forze dei ribelli. Terminato l’intervento Nato seguono scontri durissimi tra le forze in campo (battaglia di Tripoli, assedio di Misurata) fino all’epilogo con la strenua difesa di Sirte da parte dei fedeli di Gheddafi e la cattura e uccisione del Colonnello il 20 ottobre 2011.
Yemen - Al comando dal 1978 della Repubblica dello Yemen del Nord, riunificatasi nel 1990 con la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen del Sud per formare la Repubblica Araba dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, che del nuovo stato si era autonominato presidente, il 27 febbraio 2012 deve lasciare il potere che detiene da 34 anni.
Uno dei più antichi centri di civilizzazione del mondo, lo Yemen, che della sua storia vanta gloriose vestigia, gode anche di condizioni naturali particolarmente favorevoli che nel passato ne hanno fatto uno dei principali produttori di caffè e incenso. Non manca il petrolio (anche se in misura decisamente insignificante rispetto al resto della Penisola Arabica) e nel sottosuolo si trovano giacimenti di rame, piombo, zinco, oro ecc. Eppure lo Yemen è uno dei paesi meno sviluppati del mondo (all’87° posto per PIL e al 149° per reddito pro-capite), con il 40% della popolazione che vive con 2, o anche meno, dollari al giorno.
Dopo l’unificazione, lo Yemen ha dovuto fare i conti con tentativi di secessione delle regioni filomarxiste del Sud e i rapimenti di turisti da parte di tribù che intendevano in questo modo fare pressione sul governo per rivendicare aiuti statali. Ma il regime di Ali Abdullah Saleh riesce a mantenersi al potere, sostenuto anche dagli Stati Uniti che trovano nel presidente un prezioso alleato contro le cellule di al Qaida infiltratesi nel paese nella seconda metà degli anni 2000.
Influenzata dagli avvenimenti tunisini ed egiziani, segnata da una povertà cronica, la popolazione organizza il 18 gennaio 2011 le prime manifestazioni che si diffondono rapidamente in tutto il paese; numerose le vittime degli scontri che si susseguono nei mesi successivi fino al 3 giugno 2011 quando Saleh viene gravemente ferito in un attentato e si rifugia in Arabia Saudita. Rientrato nel paese, accetta di ritirarsi dal potere in cambio dell’immunità e nel febbraio 2012 cede il potere al suo vice Abd Rabbo Mansour Hadi, candidato unico alle elezioni presidenziali.
Altri paesi - Questi i paesi, ai quali si aggiunge la Siria cui dedichiamo un capitolo a parte, che escono completamente stravolti dalla Primavera Araba (anche se con epiloghi ben diversi dalla speranze espresse nel 2011), ma il vento di protesta ha attraversato, più o meno intensamente, tutti i paesi arabi.
L’Algeria si rivolta contro il regime di Abdelaziz Bouteflika il 28 dicembre 2010, ma il presidente, discusso personaggio passato indenne dalla tumultuosa storia algerina post coloniale, rimane saldamente al potere.
Chiedono un ridimensionamento del potere del re Mohammed VI le proteste in Marocco, che si estendono anche al Sahara Occidentale dando nuovo risalto alle rivendicazioni del popolo saharawi che chiede l’indipendenza dell’ex colonia spagnola annessa dal Marocco nel 1975; nel giugno 2011, con un’affluenza alle urne del 72,65%, i marocchini approvano il referendum costituzionale che limita i poteri del re e nelle elezioni di ottobre assegnano la maggioranza relativa al partito islamico moderato Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (anche se solo il 45% degli aventi diritto partecipa al voto).
Povertà, disoccupazione, corruzione sono nel mirino delle proteste in Giordania...

Indice dei contenuti

  1. PREMESSA
  2. IL NAZIONALISMO ARABO E IL “NAZIONALISMO” EBRAICO
  3. LA “TERRA TROPPO PROMESSA”
  4. LA NASCITA DELLO STATO DI ISRAELE E LA NAKBA PALESTINESE
  5. DALLA GUERRA DEI 6 GIORNI ALL’OPERAZIONE “PACE IN GALILEA”
  6. LA PRIMA INTIFADA E GLI ACCORDI DI OSLO
  7. IL DIFFICILE PERCORSO DEL PROCESSO DI PACE
  8. DALLA SECONDA INTIFADA ALL’ISOLAMENTO DI GAZA
  9. LE PRIMAVERE ARABE E IL LUNGO INVERNO PALESTINESE
  10. LE QUESTIONI APERTE
  11. BIBLIOGRAFIA COMMENTATA
  12. NEL WEB
  13. NOTE