La musica delle scritture - Versione completa
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Questo libro affronta e incrocia il linguaggio teologico e biblico depositato nella tradizione cristiana col linguaggio musicale insito nel sistema armonico-tonale. Rendendo ragione e cercando di esprimere con altre 'parole' quanto espresso dal linguaggio filosofico-teologico. Risulta impressionante scoprire come la musica esprima con una precisione disarmante quanto la riflessione filosofico-teologica ha espresso in secoli e come la musica precisi e dirima quelle divergenze teologiche, vedi ad esempio la formula del Filioque, che hanno contribuito a separare il mondo cattolico da quello ortodosso e non solo. Alcune pagine inoltre sono dedicate a qualche riflessione inerente il colore e la teologia.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788893064828

CAPITOLO IV

LA MUSICA DELLE SCRITTURE

(Testi Biblici)


0 Il canto di Gesù e la sinfonia di D-o

Nei libri del Testamento Primo, in particolare nei vangeli, la musica esplicita, quella indicata da verbi che non lasciano alcun dubbio a riguardo della loro musicalità, è rarissima. Essa, infatti, compare solamente una volta in quel passo sinottico (Mc 14,26; Mt 26,30) che narra l’episodio dell’ultima cena seguito dal canto dell’inno pasquale mnéo da parte dei “Tredici”, Gesù più i Dodici apostoli. Tale versetto di canto riassume tutto lo spirito musicale presente nel Primo Testamento, infatti, il canto è un’espressione di gioia che viene sempre indirizzata verso D-o ed il momento pasquale è il cardine di tutta la fede sia ebraica sia cristiana. Nei libri che seguono il vangelo il canto si ripete più spesso, anche se non risulta essere frequentissimo, un canto che in alcuni casi, ma non a caso, viene affiancata in maniera inscindibile dalla preghiera (At 16,25), ribadendo come esso sia una salita di voce verso l’Altissimo.
Quanto detto finora non aggiunge nulla alla musica rivelata nei libri che precedono l’avvento di Gesù, ciò invece che sorprende è l’altro versetto in cui compare della musica esplicita, apparizione che si incarna in passo sinottico “negativo” (Mt 11,17; Lc 7,32). In tali righe gli evangelisti utilizzano il suono del flauto come “impotente”, cioè come incapace a produrre la danza, anche se tale uso è propedeutico al significato proverbiale, specificato da Luca, che serve a sottolineare un uso “strumentale” della musica che non può ottenere l’effetto che dovrebbe essergli proprio. Un effetto di flauto presente maestosamente nel solo precedente primotestamentario esistente (1Re 1,40), accompagnato da una lezione “acustica” da parte di Paolo ai Corinzi nel Testamento Primo (1Cor 14,7). In realtà, non c’è da stupirsi se la danza non prenda corpo dal flauto, infatti, nei vangeli la danza è legata a fatti negativi, riconducibili ad esempio alla figlia di Erodiade che tramuta la propria danza nella testa del Battista (Mt 14,6 e ss). Per assumere un significato musicale buono e bello, la danza dev’essere dunque associata ad un altro tipo di musica, anzi alla musica stessa, cioè alla symfonía che il figlio maggiore del Padre Buono sente al suo ritorno a casa a causa della festa in atto per il ritorno di suo fratello (Lc 15,25). Quest’ultima è la vera musica, quella che trova posto nel regno dei cieli insieme alla danza come espressione di gioia. Ciò è talmente vero che il versetto di Luca è apax nel Testamento Primo e la musica siffatta compare solamente in tale epilogo di felicità per il figlio ritrovato. È interessante anche notare come la stessa radice greca significhi anche “essere d’accordo” o “essere in armonia”, in altre parole cantare insieme senza creare dissonanze, ma armonicamente, come i componenti di un coro. Ecco allora che il canto di Gesù è la voce che muove verso la sinfonia del regno dei cieli e la preghiera cantata va letta in tal senso, attribuendole quel valore musicale senza cui non giunge alla vera bellezza.
L’armonia musicale appena citata compare nella traduzione greca dei LXX solamente in due passi, uno riguarda la conclusione dei quattro libri dei Maccabei (4Mac 14,3) e l’altro concerne una visione escatologica narrata nel libro di Daniele (Dn 3,5). Per un confronto col testo masoretico dobbiamo affidarci dunque al versetto di Daniele, in quanto nel canone ebraico non è presente il quarto libro dei Maccabei. Per quanto concerne Daniele possiamo dire che il termine ebraico soggiacente alla “sinfonia” greca, cioè qeren, riguarda esclusivamente gli strumenti musicali, tutti gli strumenti musicali, dunque il suono di una sinfonia moderna, quella che nasce strutturata grazie a J. Haydn e che si perfeziona in Beethoven, raggiungendo la presenza corale nella Nona Sinfonia. Ciò non è biblicamente casuale, infatti, proprio il passo di Luca, cui ho accennato, riassume la sinfonia più piena che, unita al canto citato a proposito dell’ultima cena vissuta da Gesù, esprime biblicamente quanto espresso molti secoli più tardi dall’indagine musicale occidentale. Un’altra precisazione importante, con riferimento al discorso dell’unicità della musica polifonica cristiana, riguarda il contesto escatologico in cui la “sinfonia” compare nel Primo Testamento, così come nel Testamento Primo. Un’escatologia che in qualche modo conferma l’escatologia stessa della musica cristiana, attribuendo a quest’ultima un punto di arrivo insuperabile, almeno per quanto concerne la relazione con le Scritture, essendo nel contempo consapevoli che anche le Scritture passeranno quando giungerà il nuovo inizio con l’avvento definitivo del regno della Bellezza di D-o.

0.1 L’altro canto

Nel paragrafo precedente ho speso delle parole riguardo al canto di Gesù, un canto inscindibile dalla preghiera, un canto che nel suo significato greco mnéo è di fatto una preghiera in musica. Esiste però un altro verbo che indica esplicitamente il cantare nel Testamento Primo, un verbo che si trova solamente nel libro che chiude la biblioteca costituita dall’insieme di libri che compongono la Bibbia. Tale libro è l’Apocalisse e nei capitoli che formano il libro della Rivelazione troviamo comparire tre volte il verbo ádo (Ap 5,9; 14,3; 15,3), il quale trova la sua espressione nel canto prodotto da tale azione ovvero . È curioso notare come anche in quest’ultimo caso tale canto resti di esclusiva “apocalittica” e non si riveli afferrabile dagli altri testi del Testamento Primo. In realtà però Giovanni, il discepolo amato di Gesù, non fa altro che raccogliere il canto presente nei libri che incardinano la fede da cui anche lui proviene, tanto che il verbo in questione, corrispondente al greco ádo, altro non è che il verbo con cui la LXX traduce il cantare ebraico espresso dalla radice shyr, la stessa radice che regge il Cantico dei Cantici. Evidentemente esistono diversi modi di cantare e diversi significati biblici ad essi legati, tra questi è molto importante l’azione definita dal verbo psalô, cioè dal verbo che sostiene il libro dei Salmi, il libro maestro del cantare pregante rivolto a D-o; un verbo che nel suo significato di nome traduce l’ebraico mizemor che significa melodia. Tale traduzione è fondamentale, perché indica un aspetto musicale orizzontale della musica, che però non include quell’armonia rivelativa di cui ho trattato nelle pagine dei capitoli precedenti. È interessante notare anche a questo proposito come il verbo psalô, insieme ai nomi che da esso derivano, è presente nei vangeli solamente in Luca ed esclusivamente come citazione del libro dei Salmi, cioè come rimando a tale libro riguardo al nesso profetico espressovi con riferimento a Gesù (Lc 20,42; 24,44); mentre è usato come verbo di canto diretto solamente da Paolo (Ef 5,19; Col 3,16; Cor 14,15). Se estendiamo i vangeli agli Atti degli Apostoli, considerando quest’ultimo come seconda parte del medesimo vangelo lucano, vi sono ulteriori conferme a quanto affermato derivanti da due episodi (At 1,20 e 13,33). In altre parole sembra proprio che gli evangelisti conoscano bene la musica nuova rivelata da Gesù, tanto da utilizzare e distinguere perfettamente i verbi che indicano una “semplice” melodia rispetto ad una più perfetta armonia. Chiudo questo breve paragrafo tornando all’inizio del discorso sul canto per aggiungere qualche parola riguardo al verbo mnéo. Quest’ultimo, infatti, è il verbo di canto che segna momenti di giustizia escatologica per il popolo ebraico, momenti in cui la presenza di D-o è evidente nell’epilogo di una storia che sembrava impossibile da capovolgere nei suoi esiti negativi. Un inneggiare che segue l’azione di Giuditta (Gdt 15,3 e 16,13) o una vittoria presente nel libro dei Giudici (Gd 16,24) e che traduce dall’ebraico sia shyr sia hll, dunque sia il cantare sia il pregare in momenti che determinano l’escatologia del popolo d’Israele. Un’escatologia che ...

Indice dei contenuti

  1. LA MUSICA DELLE SCRITTURE
  2. (La Tradizione)
  3. BREVE NOTA INTRODUTTIVA
  4. INTRODUZIONE
  5. Capitolo 0 - LA MODALITÁ
  6. Capitolo I - LA TONALITÁ
  7. Capitolo II - L’ARMONIA CRISTIANA
  8. Capitolo III - IL COLORE IN RELAZIONE MUSICALE
  9. Capitolo IV - LA MUSICA DELLE SCRITTURE
  10. Appendice - IL QUINTO VANGELO
  11. CONCLUSIONI
  12. OLTRE L’ARMONIA OVVERO DELL’APOCALISSE
  13. BREVE NOTA CONCLUSIVA
  14. INDICE DEI TESTI CITATI