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LA BISTECCA AGLI ORMONI DEL FIORENTINO MATTEO RENZI
1 - Con il Ttip anche la fiorentina diventerebbe una bistecca agli ormoni Usa: è questo che vuole propinarci Matteo Renzi?
Visto che ci tiene tanto al contatto con il popolo di internet, il premier Matteo Renzi dovrebbe dare un’occhiata al sito dell’agenzia Ansa che, alcuni giorni fa, ha dato la notizia della sua partecipazione a un convegno sul Ttip (Transatlantic trade and investment partnership), il trattato per un grande accordo commerciale tra Europa e Stati Uniti. Alla presenza dell’ambasciatore Usa in Italia, John R. Phillips, il premier ha detto che il governo italiano e lui personalmente garantiscono “l’appoggio totale e incondizionato” al Ttip, che rappresenta “una scelta strategica, culturale prima ancora che economica”. A commento della notizia, l’Ansa riporta dieci post inviati da lettori, tutti a dir poco imbufaliti con Renzi.
E’ probabile che quelli più insultanti siano stati bloccati, come è giusto, per fare posto solo a quelli che dicono no al Ttip con argomentazioni informate. Il premier farebbe bene a leggerli. In uno di questi post, Raimondo Barbera, un giovanotto che si firma anche con la propria foto, come va di moda sui social network, chiede: “Come fa Renzi a firmare il Ttip se non l’ha neppure letto?”. Un’osservazione difficile da contestare, visto che finora, dopo un anno di negoziati a porte chiuse, le bozze del trattato sono coperte da segreto, accessibili – per la parte europea - soltanto ai burocrati di Bruxelles incaricati della trattativa. Quel poco che si conosce, infatti, proviene dalle indiscrezioni fatte trapelare dai 600 consulenti che le multinazionali Usa, molto interessate al trattato, hanno messo in campo.
E’ probabile che lo stesso Renzi non si aspettasse un’accoglienza trionfale per il suo “endorsement” al Ttip. Tanto è vero che il sito della Presidenza del Consiglio, nel dare notizia della sua partecipazione al convegno, si è limitato a un link con il video del breve intervento di Renzi, postato su Youtube. Il filmato è accompagnato da una didascalia insolita: “I commenti sono disabilitati per questo video”. Che delusione! Proprio il premier che ha fatto del web un’arma personale per comunicare e dialogare in modo diretto con la gente, saltando con i suoi twitter la mediazione dei giornali, chiude la porta in faccia a chi non la pensa come lui su un trattato che, se sarà ratificato, condizionerà i commerci e gli investimenti almeno per i prossimi venti anni. E la chiude, questa porta di dialogo, proprio su una materia che per la sua rilevanza economica e sociale dovrebbe richiedere il massimo consenso sul piano democratico, perfino – chiedono alcune Ogn (Organizzazioni non governative) - con un referendum. Ma oggi questo consenso popolare sul Ttip non c’è, anzi: sia in Italia che in Europa dilagano le critiche, di cui Italia Oggi, quasi in solitudine, ha dato conto ai lettori più volte.
Ora, dopo l’intervento di Renzi, il tema sembra diventato popolare perfino in tv. Su Raitre, domenica scorsa, la trasmissione Report di Milena Gabanelli ha spiegato con numerose interviste, fatte sia in Europa che in America, che il Congresso Usa ratificherà il Ttip soltanto se introdurrà una liberalizzazione completa nel settore agro-alimentare. Ciò significa, per esempio, che i prodotti Usa che imitano i cibi italiani di qualità (formaggi, salumi, vini, carni) potranno essere esportati in Europa senza più ostacoli. Oggi l’obbligo europeo dell’etichettatura sui prodotti enogastronomici, con l’indicazione dei contenuti e della provenienza, costituisce una difesa dei consumatori, oltre che della qualità dei prodotti. Ma le multinazionali Usa si sono sempre opposte all’etichettatura, soprattutto quelle che producono cibi contenenti Ogm (organi geneticamente modificati), oppure carni di animali trattati con ormoni e antibiotici per accelerarne lo sviluppo, ma anche latte arricchito con sostanze chimiche. Prodotti simili, oggi sono vietati in Europa. Ma con il Ttip, anche la tradizionale bistecca fiorentina diventerebbe una bistecca agli ormoni: è questo che vuole il premier?
Renzi, nell’intervento al convegno, ha ammesso che il Ttip non sarà firmato entro il 2014, come lui sperava: purtroppo, ha aggiunto, si sono frapporti dei ritardi, che impediranno al semestre europeo a guida italiana di concludersi con la sua firma su un trattato storico. Più che di ritardi, per la verità, si dovrebbe parlare di opposizioni sempre più forti. Ben 400 associazioni europee, per lo più Ong (organizzazioni non governative), l’11 ottobre hanno protestato in piazza, nelle maggiori capitali, contro il Ttip. E con loro si è schierato anche un Nobel dell’Economia, l’americano Joseph Stiglitz, che in una lectio magistralis tenuta di recente a Roma ha invitato l’Ue a non firmare il Ttip, da lui definito “un accordo iniquo”, volto a “eliminare come presunti ostacoli al libero commercio le regole a tutela dell’ambiente, della salute, dei consumatori e dei lavoratori”.
Stglitz è un economista autorevole e stimato, un pensatore libero, non un attivista da due soldi. E Renzi, prima di dare il suo “appoggio incondizionato” al Ttip, farebbe bene a documentarsi, chiedendo la revoca del segreto sulle trattative. Questa sì che sarebbe una scelta strategica.
(21 ottobre 2014)
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2 - Per convincere l’Europa ad accettare gli Ogm nel trattato Ttip gli Usa faranno di tutto e di più. Come già avvenne con Berlusconi.
Anche se il negoziato Usa-Eu sul trattato Ttip si è svolto finora nel massimo riserbo, è trapelato quanto basta per capire che uno degli ostacoli maggiori è costituito dagli Ogm (organismi geneticamente modificati), soprattutto dalle colture agricole biotech, dove alcune multinazionali Usa (Monsanto e Pioneer Dupont in testa) hanno interessi colossali. La loro tesi è che le colture Ogm assicurano raccolti più abbondanti, e perciò più redditizi, senza rischi per la salute. Tesi condivisa dall’amministrazione Usa, guidata da Barack Obama.
Di parere opposto, in Europa, sono gli ambientalisti e le associazioni agricole, che giudicano le colture biotech incompatibili con le produzioni agricolo-alimentari di qualità, poco convenienti (gli Ogm non consentono di avere sementi, che vanno riacquistate ogni anno presso le multinazionali, che così lucrano profitti), e dannose per la salute umana. Con loro, sono schierati 19 dei 28 governi che fanno parte dell’Unione europea, e l’Italia di Matteo Renzi è tra questi. Una decisione definitiva, in sede Ue, dovrà essere presa dalla nuova Commissione guidata da Jean Claude Juncker, ma le multinazionali Usa del biotech non sembrano affatto rassegnate a una sconfitta. Dalla loro parte sanno di avere l’intero apparato diplomatico Usa, che in passato ha dimostrato di interferire non poco sulle decisioni dei governi europei.
In proposito, è illuminante la rilettura di alcuni cablo riservati dell’ambasciata Usa a Roma durante il governo Berlusconi 2001-2005, rivelati dallo scandalo Wikileaks e pubblicati allora in un saggio (Mimmo Franzinelli e Alessandro Giacone, La Provincia e l’Impero; Feltrinelli). A differenza dei governi precedenti, tutti contrari alle coltivazioni Ogm, quello di Berlusconi fece subito sperare agli Usa in un cambio di rotta. Il Cavaliere e l’allora presidente Usa, George W. Bush, avevano infatti concordato una politica a favore degli Ogm: una svolta italiana che il vice consigliere Usa per la sicurezza si affrettò a ricordare a Giovanni Castellaneta, consigliere diplomatico di Berlusconi, subito dopo avere accertato che nel governo italiano c’era un ministro che remava contro. Si trattava di Gianni Alemanno, responsabile dell’Agricoltura, che da sempre si era schierato contro gli Ogm, e per questo era entrato in diretta polemica con l’oncologo Umberto Veronesi, che invece si era detto favorevole. Non solo. A sostegno della sua posizione, Alemanno aveva consultato le principali associazioni agricole (Coldiretti in testa), ottenendo il loro sostegno, salvo quello della Confagricoltura, favorevole ad alcuni tipi di “sementi non contaminate da Ogm”(!).
La reazione della diplomazia Usa fu riassunta in un cablo riservato: “Il nostro obiettivo è di seppellire il documento Alemanno nella commissione nazionale delle biotecnologie”. E se sarà approvato, Berlusconi subirà “una forte pressione per spostare l’Italia verso una politica più amichevole rispetto ai nostri interessi”. Ma Alemanno non cedette, e un nuovo cablo dell’ambasciatore, Mel Sembler, avvertì Washington: “Non possiamo permettere ad Alemanno di andare avanti senza ostacoli”. Scattò subito la ricerca di ministri filo-Usa, da schierare contro quello dell’Agricoltura. Quello dell’Industria, Antonio Marzano, non si fece pregare e in un appello pro-Ogm, sostenne che “l’opposizione non era basata su prove scientifiche, ma su sentimenti anti-americani”. Uno speech preparatogli da un direttore generale del ministero, Amedeo Teti, che nei cablo Usa venne subito indicato come persona da “proteggere strettamente”.
Ma Alemanno tirò dritto. E quando la Regione Piemonte iniziò a distruggere le coltivazioni di mais biotech, si dichiarò d’accordo, presentando un decreto legge restrittivo sugli Ogm. Per protestare, l’ambasciatore Sembler si fiondò a Palazzo Chigi da Gianni Letta, che si disse all’oscuro di tutto e, per placare l’ospite, lo collegò in viva voce al telefono con Berlusconi, che si trovava ad Arcore. La sintesi della telefonata è in un cablo: “Dopo avere espresso il suo continuo supporto agli sforzi statunitensi del presidente Bush per diffondere la democrazia, Berlusconi ha promesso che non avrebbe fatto passare la bozza di decreto del ministro Alemanno, così come gli era stata descritta, al Consiglio dei ministri”. Ma di litigare con Alemanno, in realtà, Berlusconi non aveva nessuna voglia, come spiegò al ministro della Salute, Girolamo Sirchia, pure lui filo-Usa e pro-Ogm: “Il partito di Alemanno è una componente preziosa del governo”.
Di lì a poco la questione degli Ogm passò in secondo piano, scavalcata per importanza dall’inizio della guerra in Iraq contro Saddam Hussein, dove il contributo militare dell’Italia era per l’ambasciata Usa un tema prevalente su tutti gli altri. E Sembler, per giustificare a Washington l’opportunità di mollare la presa sugli Ogm e non suscitare polemiche eccessive sulla stampa, scrisse in un cablo: “Dobbiamo ammazzare un drago per volta”. Così, grazie ad Alemanno (discutibile come sindaco di Roma, ma valido ministro dell’Agricoltura), gli Ogm non passarono e sono tuttora vietati.
(11 settembre 2014)
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3 - E’ inaccettabile il segreto che circonda il nuovo trattato Usa-Ue. Deciderà il futuro dei nostri figli, ma nessuno in Italia se ne cura.
Pochi giorni fa Massimo Bordin, voce storica di Radio Radicale, durante un talk show su La 7 faceva notare che il tratto dominante dell’attuale fase politica sembra essere l’incompetenza. Si riferiva a Maria Elena Boschi, che a soli 33 anni, senza essere stata prima in Parlamento, è diventata ministro delle Riforme e ora, dovendo presiedere alla riscrittura di interi pezzi della Costituzione, scopre di non avere la competenza necessaria. Sulla scarsa competenza che alligna ai piani alti di Palazzo Chigi e in alcuni ministeri chiave ha più volte richiamato l’attenzione anche Domenico Cacopardo, consigliere di Stato e firma autorevole di Italia Oggi, sconcertato dal fatto che la riforma della pubblica amministrazione sia stata affidata a Marianna Madia, per sua stessa ammissione digiuna della materia. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: leggi scritte con i piedi, riforme della Costituzione e del sistema elettorale prima magnificate e poi accantonate per evidente incostituzionalità, norme taglia-spesa velleitarie e inapplicabili, addirittura imposte retroattive. Ma questa è solo l’incompetenza che si vede, alla luce del sole.
Poi c’è un’incompetenza nascosta, che si nota meno, o non si nota affatto, ma rischia di avere conseguenze ancora più gravi della prima. Un esempio? Da due anni è in discussione un importante trattato sui futuri rapporti commerciali, economici e sociali tra gli Stati Uniti e l’Unione europea. La sua sigla è Ttip, e sta per Transatlantic Trade and Investment Partnership. Si tratta di un dossier di migliaia di pagine che, sul piano formale, mira a istituire un Partenariato Usa-Eu sul commercio e sugli investimenti, facendo degli Stati Uniti e dell’Unione europea un unico grande mercato comune, una “free zone” di merci e servizi, eliminando non solo le residue barriere tariffarie, ma anche le “barriere non tariffarie”, vale a dire le differenti normative che rendono difficili gli scambi economici tra le due sponde dell’Atlantico.
In particolare, si tratta di quelle regole che riguardano gli standard di sicurezza e di qualità della vita presenti nei 28 Paesi dell’Unione europea, frutto di oltre un secolo di politiche di welfare. Normative che non esistono negli Stati Uniti e sono considerate, soprattutto dalle multinazionali Usa, sempre più un ostacolo all’affermarsi di un liberismo economico senza regole, dalla finanza alle banche, dalla salute all’agricoltura, dall’energia ai servizi pubblici, fino alle pensioni e ai diritti del lavoro. Mantenere in vita o abolire per il futuro certe “barriere non tariffarie” quali sono agli occhi delle multinazionali gli attuali sistemi pensionistici europei, i servizi sanitari universali, i livelli salariali dignitosi, le norme anti-Ogm per la tutela dell’agricoltura, dei vini e degli alimenti prodotti con metodi che ne certificano la qualità, dipenderà da questo nuovo trattato, che in buona sostanza finirà per incidere sulla vita di circa 800 milioni di persone, sommando quelle che vivono nei 28 Paesi dell’Ue e negli Usa. Dunque, un Trattato di importanza storica, la cui bozza finale - a sentire alcune fonti - potrebbe essere pronta per la ratifica verso al fine di quest’anno.
Gli Stati Uniti non vedono l’ora di firmarlo. Il presidente Usa, Barack Obama, nel suo recente viaggio in Europa, avrebbe caldeggiato una rapida conclusione delle trattative. Nulla si sa, invece, di cosa ne pensino i governi dei maggiori Paesi europei e la Commissione Ue, che formalmente è stata incaricata della trattativa con gli Usa. Quanto al Parlamento europeo, che sarà tenuto alla ratifica finale, si può soltanto dire che finora non se n’è mai occupato. Una ignoranza a dir poco irresponsabile, che sta trovando piena conferma nell’attuale vigilia del rinnovo del Parlamento europeo: in Italia non c’è un solo leader politico, né un uomo di governo – compreso il premier Matteo Renzi - che abbia mai fatto riferimento a questo tema, sia pure di sfuggita, in vista del voto del 25 maggio.
A loro parziale giustificazione, c’è che il dossier Ttip è un segreto tra i meglio custoditi in Europa. Secondo una recente ricostruzione di Paolo Raffone sul sito illsussidiario.net, la conduzione del negoziato è stata assai diversa sulle due sponde dell’Atlantico. La delegazione Usa ha schierato più di 600 consulenti delegati dalle multinazionali, i quali dispongono dell’accesso ai documenti preparatori e ne possono così condizionare la stesura finale. Per l’Ue invece il negoziato sarebbe condotto da un ristretto gruppo di lavoro di 6-7 persone (nessun italiano), guidato dal tedesco Paul Nemitz, che fa parte della Direzione Generale Giustizia della Commissione Ue. Anche se può sembrare incredibile, Nemitz è l’unico autorizzato ad avere voce in capitolo, tanto che nessun membro del gabinetto di Manuel Barroso è stato autorizzato a partecipare alle riunioni bilaterali. Non solo. Nemitz si sarebbe finora preoccupato di salvaguardare soprattutto gli interessi tedeschi, in stretto raccordo con il governo di Angela Merkel a Berlino, senza mai rivelare ad altri esponenti europei i contenu...