I Divoratori
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Informazioni sul libro

Caro Selvaggio, io sono una delle "divorate". Non esisto più. La mia piccola Anne-Marie mi ha divorata. Ed è giusto, ed è bello, ed è santo che sia così. Essa mi ha consumata, e io ne sono lieta. Essa mi ha annichilita e io ne sono riconoscente. Poiché è questa l'eterna legge, inesorabile e magnifica: che a queste vite date a noi, la nostra vita deve essere data. E io – come tutte le madri – estasiata e a ginocchi, do la mia vita alla creatura inconscia che la esige. «Era un Genio la sua piccola Anne-Marie? Quella creaturina tenera e gaia come un uccelletto selvatico, era essa uno dei Divoratori?».
La protagonista di questo romanzo colto e raffinato di Annie Vivanti affronta le proprie ambizioni di donna: l'emancipazione sociale, le amicizie, gli amori e il sacrificio di esser madre; ovvero la scelta di donarsi totalmente a una piccola vita nuova. Questa edizione ripubblica il romanzo originale in una nuova versione corretta e riveduta. Questa edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull'autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788891193612
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici
Annie Vivanti
I Divoratori
Libro primo
I.
La creaturina nella culla aprì gli occhi e disse: «Ho fame».
Nulla si mosse nell’ombra della camera silenziosa e l’infante ripetè il breve grido inarticolato. Allora s’udì un fruscìo di vesti, un lieve accorrere di passi: due tenere braccia lo sollevano, e lo acqueta un cinguettìo di dolci parole vane. Ecco per la puerile guancia il fresco petto materno, per la piccola bocca avida ecco la fonte di blande e bianche delizie.
Sopita e soddisfatta la creaturina ricade nel sonno.
La piccola Edith Avory tornò dalla scuola correndo, col cappello a sghembo e le treccie al vento, ed entrò ansante nella sala da pranzo della Casa grigia.
«Sono arrivate?», domandò a Florence, che stava apparecchiando la tavola per il thè.
«Sì, signorina», rispose la cameriera.
«Dove sono? Il béby com’è? Dove l’hanno portato?».
E senza aspettar risposta, la ragazzetta scappò dalla stanza e corse sgambettolando su per le scale. Giunta alla nursery, che fino allora era stata camera sua, si fermò. Attraverso la porta chiusa udì un piccolo grido querulo che le tolse il respiro. Sporse, esitando, la mano, e aprì la porta. Poi si fermò, attonita e delusa, sul limitare.
Presso la finestra, con lo sguardo noncurante rivolto alle verdi praterie del Hertfordshire, sedeva una donna, severa, quadrata, vestita di percalle rosa. Batteva con mano distratta, a colpettini leggeri e regolari, un piccolo involto di flanella che teneva sulle ginocchia. Era il béby! con la faccia in giù. Edith vedeva spuntare dalla flanella da una parte la pianta di due piedini rossi e dall’altra una piccola testa oblunga coperta di morbida lanugine nera.
«Oh Dio! esclamò – è quello il béby?».
«Prego di chiudere la porta, miss», disse la nurse.
«Ma credevo che i bambini piccoli fossero tutti biondi, e vestiti di bianco con nastri celesti», balbettò Edith.
La nurse non si degnò di rispondere. Continuò a batterellare distrattamente colla grossa mano sulla piccola schiena tonda coperta di flanella.
Edith si avvicinò, timida.
«Perché fate così?», domandò.
La donna, inarcando le sopracciglia con aria sprezzante, la guardò da capo a piedi. Poi disse brusca e subitanea: «Flatulenza! ventosità», e continuò a picchiettare.
Edith, interdetta, si domandò che cosa significasse quella risposta. Poteva riferirsi al cattivo tempo? o era forse un modo volgare di dire a Edith di star zitta?
Dopo un po’, osò domandare:
«La sua mamma – e additò l’involto – è arrivata anche lei?».
«Sissignora», rispose la nurse. «E quando ve ne andrete, abbiate la cortesia di chiudere la porta dietro di voi».
Edith mortificata e attonita obbedì.
Udendo delle voci nella camera di sua madre, guardò dentro, e vide una giovinetta vestita di nero, con capelli neri come quelli del béby, seduta sul sofà, accanto a sua madre. L’estranea piangeva, tutta scossa da singhiozzi, colla faccia nascosta in un piccolo fazzoletto a orli neri.
«Vieni, vieni, Edith», disse la madre. «Vieni, guarda! Questa è tua cognata Valeria. Dàlle tanti baci e dille di non piangere».
«Ma dov’è la mamma del bambino?», disse Edith, per guadagnar tempo prima di baciare quel lacrimoso viso sconosciuto.
La giovinetta in lutto alzò gli occhi dal fazzoletto – occhi oscuri inondati di lacrime.
«Son io», disse, con un rapido sorriso luminoso, e una lacrima, cadendo, le si fermò in una fossetta della guancia. «Ma non è un bambino, sai; è una bambina. Che cara! – soggiunse, baciando Edith – che cara ragazzina che potrà giocare col mio angioletto!».
«Oh, ma è troppa piccola quella lì, per giocare», disse Edith con disprezzo. «E poi – soggiunse – ho visto quella donna che la batteva».
«La batteva!», esclamò la ragazza in lutto, balzando in piedi.
«La batteva!», gridò la madre di Edith.
Ed entrambe uscirono precipitosamente.
Edith, rimasta sola, volse lo sguardo per la camera familiare. Sul letto di sua madre giaceva una piccola coperta di flanella ricamata, uguale a quella che avvolgeva il béby; e una cuffietta minuscola; e degli scalfarotti; e un sonaglino di gomma. Sopra una seggiola vide una giacchetta nera, e un cappello nero guarnito di crespo e di grosse ciliegie, nere e opache.
Edith ne schiacciò una fra le dita, e la ciliegia si ruppe, vitrea e glutinosa. Poi la ragazzetta andò allo specchio e si provò il cappello. Le piacque vedere il suo piccolo viso lungo sotto quella acconciatura caliginosa, e la fece traballare, tentennando il capo in qua e in là.
«Quando sarò vedova – disse tra sé – porterò anch’io un cappello come questo». Poi lo fece cadere dalla sua testa sopra la seggiola. Schiacciò rapidamente un’altra ciliegia, e uscì per andare a vedere la bambina.
La trovò nella nursery tra le braccia della nonna, che la faceva ballare in su e in giù. La creaturina teneva il pugno in bocca, e i larghi occhi guardavano nel vuoto. La ragazza in lutto, le stava davanti in ginocchio, battendo le mani e cantando: «Cara! cara! cara!… bella! bella! bella!», mentre Wilson, la nurse, voltando le larghe spalle indifferenti, vuotava i tiretti del cassettone di Edith, piegando le sue cose e mettendole da parte per portarle disopra nella cameretta che doveva d’or innanzi servire alla ragazzina; poiché della camera di Edith aveva bisogno il béby.
Edith si stancò presto di star lì, e scese in giardino a cercare del “Brown Boy”, il ragazzo del giardiniere. Lo trovò nell’orto intento a tagliare i germogli delle piante di fragola. Era tutto colore del terriccio, e ne aveva come sempre sulle mani, sulla faccia e nei capelli. Perciò più che per la sua parentela, si chiamava il “Brown Boy”.
«Buona sera», disse Edith fermandosi davanti a lui con le mani dietro la schiena.
«Buona sera», disse Jim Brown, senza smettere il suo lavoro.
«Sono arrivate! Sono già lì tutt’e due», disse la ragazzetta.
«...

Indice dei contenuti

  1. Descrizione
  2. Biografia
  3. Indice
  4. Prefazione
  5. I Divoratori