Nella stanza misteriosa
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"Nella stanza misteriosa" è un brevissimo racconto di Frances Hodgson Burnett pubblicato per la prima volta nel 1904 e finora inedito in lingua italiana. La narrazione ruota attorno alla figura di una bambina, Judith, la quale cresce in una periferia popolata da operai e vive in un appartamento stretto e angusto assieme ai suoi genitori. A seguito di un'offerta ricevuta dal datore di lavoro, il padre della bambina - un addetto della Ferrovia cittadina - invita tutta la sua famiglia a trasferirsi fuori città, dove la moglie avrà il compito di fare da custode a una residenza abbandonata di tutta fretta e senza alcun preavviso dai benestanti proprietari. Durante la permanenza nella villa, Judith farà la conoscenza di una ragazzina molto particolare, la quale diventerà la sua abituale compagna di giochi e con la quale tesserà nei giorni un'amicizia profonda, contraddistinta da intimità, purezza di intenti e reciproco desiderio di stare insieme. Il personaggio di Judith ha notevoli somiglianze e punti di contatto con la protagonista di un altro scritto poco conosciuto della Burnett, "Le anime bianche". Judith infatti, proprio come Ysobel, ha un temperamento mite e silenzioso e vive in una condizione di isolamento e solitudine. Questo favorisce lo sviluppo nelle due fanciulle di una spiccata sensibilità, una peculiarità caratteriale che permette loro di "vedere oltre le cose" e di "ascoltare" messaggi e voci silenziose che la gente comune non sa cogliere. Attraverso questi racconti, l'autrice anglosassone intende condurre il lettore lungo un sentiero misterioso, affrontando - con la delicatezza e la profondità che le sono proprie - temi di spessore quali la morte e ciò che attende l'uomo all'abbandono della dimensione terrena. Due racconti, dunque, brevi ma carichi di saggezza, in cui si la prosa elegante si accompagna a un linguaggio d'altri tempi, complesso ed enigmatico, ma non per questo meno affascinante. Alla fine de "Nella stanza misteriosa" è presente la sinossi del romanzo breve "Le anime bianche" e, in anteprima, il primo capitolo.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788892608887
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

Nella stanza misteriosa

("In The Closed Room")

Di Frances Hodgson Burnett




Traduzione italiana a cura di

Annarita Tranfici


Introduzione


"Nella stanza misteriosa" è un brevissimo racconto di Frances Hodgson Burnett pubblicato per la prima volta nel 1904 e finora inedito in lingua italiana.
La narrazione ruota attorno alla figura di una bambina, Judith, la quale cresce in una periferia popolata da operai e vive in un appartamento stretto e angusto assieme ai suoi genitori. A seguito di un'offerta ricevuta dal datore di lavoro, il padre della bambina - un addetto della Ferrovia cittadina - invita tutta la sua famiglia a trasferirsi fuori città, dove la moglie avrà il compito di fare da custode a una residenza abbandonata di tutta fretta e senza alcun preavviso dai benestanti proprietari.
Durante la permanenza nella villa, Judith farà la conoscenza di una ragazzina molto particolare, la quale diventerà la sua abituale compagna di giochi e con la quale tesserà nei giorni un'amicizia profonda, contraddistinta da intimità, purezza di intenti e reciproco desiderio di stare insieme.
Il personaggio di Judith ha notevoli somiglianze e punti di contatto con la protagonista di un altro scritto poco conosciuto della Burnett, "Le anime bianche". Judith infatti, proprio come Ysobel, ha un temperamento mite e silenzioso e vive in una condizione di isolamento e solitudine. Questo favorisce lo sviluppo nelle due fanciulle di una spiccata sensibilità, una peculiarità caratteriale che permette loro di “vedere oltre le cose” e di “ascoltare” messaggi e voci silenziose che la gente comune non sa cogliere.
Attraverso questi racconti, l'autrice anglosassone intende condurre il lettore lungo un sentiero misterioso, affrontando - con la delicatezza e la profondità che le sono proprie - temi di spessore quali la morte e ciò che attende l'uomo all'abbandono della dimensione terrena.
Due racconti, dunque, brevi ma carichi di saggezza, in cui si la prosa elegante si accompagna a un linguaggio d’altri tempi, complesso ed enigmatico, ma non per questo meno affascinante.
Alla fine de "Nella stanza misteriosa" è presente la sinossi del romanzo breve "Le anime bianche" e, in anteprima, il primo capitolo.
Buona lettura!

PARTE PRIMA


Nel feroce calore di una stanzetta quadrata e mal ventilata, la piccola Judith giaceva sul letto ansimante. Suo padre e sua madre dormivano accanto a lei, annegati nel pesante torpore in cui gli operai scivolano alla fine della loro lunga giornata di lavoro. Alcune persone nell’appartamento accanto stavano litigando, probabilmente irritate da quel caldo terribile e dalla loro miserabile incapacità di combatterne gli effetti. Tutte le emissioni provenienti dalle strade della città bruciate dal sole sembravano combinarsi con i loro strepiti e il loro malcontento, salendo fino al piano in cui la bambina giaceva distesa a fissare l’oscurità che la circondava. L’appartamento si trovava a pochi metri dai binari della Ferrovia Sopraelevata e la vita sembrava pulsare assieme alla frenesia e al frastuono di quel demone che sfrecciava accanto alle finestre a intervalli frequenti. Nessuno sapeva che Judith attendesse la cosa con orrore, ma era certo che lo facesse. Aveva solo sette anni, e a quell'età non è facile dar voce ai propri pensieri, spiegandoli in un modo che possa essere comprensibile anche per gli adulti. Avrebbe potuto semplicemente dire: «Lo odio. Passa così in fretta e spesso. Fa un suono orribile, come se si stesse avvicinando un tuono. Non riesco a sfuggirgli.». Ai bambini che vivevano negli altri appartamenti, invece, il treno piaceva abbastanza. Si sporgevano fuori dalla finestra in maniera piuttosto rischiosa pur di guardare quel tuono passare e osservare le persone che lo affollavano spingersi l’una contro l’altra sui sedili, in piedi nei corridoi, o appese alle maniglie a cinghia. A volte, la sera, vi salivano viaggiatori diretti a teatro, e le signore e le ragazze più giovani indossavano abiti dai colori tenui e cappelli coperti di piume bianche e fiori. In quei momenti i bambini erano contentissimi, e Judith era solita sentire i tre che vivevano nell’appartamento accanto gridarsi l’un l’altro: «Quella è la MIA signora! Quella è la MIA signora! Quella è MIA!».
Judith non assomigliava ai coetanei che occupavano gli altri alloggi. Era una fragile, curiosa creatura, dai modi silenziosi, la voce dolce e gli occhi gentili. Le piaceva starsene a giocare da sola in un angolino della stanza e chiacchierare tra sé e sé. Nessuno sapeva di cosa parlasse, e in realtà non glielo si chiedeva mai. Sua madre era sempre troppo occupata. Quando non era impegnata a confezionare cappotti maschili con la sua rumorosa macchina da cucire, la si vedeva preparare in fretta un pasto, sempre col timore di servirlo in ritardo. Ciò accadeva per la prima colazione, che rischiava di non essere pronta prima che si alzasse il fischio del treno e il marito dovesse correre alla sua “officina”, oppure per la cena, che correva il rischio di non essere ancora in tavola quando avrebbe fatto ritorno a casa la sera. Il pasto di mezzogiorno era invece una questione insignificante, che non necessitava di alcuna preparazione particolare. Si mangiava tutto ciò che era avanzato dal pasto della sera o dalla colazione.
Il rapporto che Judith aveva con suo padre e sua madre non era molto stretto. Lavoravano troppo per avere tempo da dedicare alle intimità domestiche, e una peculiarità della loro confidenza giaceva nella consapevolezza che - sebbene nessuno dei due fosse sufficientemente eloquente da esprimerlo - il giovane e sua moglie trovassero la loro bambina piuttosto riservata. L’affetto che provavano per lei si tingeva di un qualcosa che assomigliava a un indefinito sentimento di riverenza. Era una bambina bellissima, dalla pelle particolarmente candida e occhi grandi di colore blu scuro, che sorridevano con dolcezza, orlati da ciglia nerissime. Aveva squisite dita appuntite e piedi sottili, e sebbene il signor e la signora Foster fossero - forse per fortuna – inconsapevoli del suo gradevole aspetto, ella non era stata affatto la bambina che ci si sarebbe aspettati di vedere venire alla luce in un angolo del formicaio dell’angusto appartamento di un operaio, a pochi metri dalla Ferrovia.
«A volte ho quasi l'impressione che non possa essere mia figlia.», diceva la signora Foster, di tanto in tanto. «Non mi assomiglia, e non assomiglia neppure a mio marito Jem, il Signore lo sa. Non assomiglia a nessuno dei membri delle nostre famiglie, nessuno di cui io abbia mai sentito parlare, fatta eccezione forse per sua zia Hester, che però è morta molto prima che io nascessi.».
«Soltanto mia madre parlava di lei. Era una ragazza terribilmente bella. Mamma diceva che aveva la pelle candida come un giglio e lunghe dita sottili, talmente flessibili da poterle curvare indietro quasi fossero snodate. I suoi occhi erano grandi e aveva le ciglia curve e lunghe, ma marroni. Mamma diceva che non assomigliava a nessun altro tipo di ragazza si vedesse in giro, e pensa che Judith possa diventare come lei. Aveva soltanto quindici anni quando è morta. Non si era mai ammalata nel corso della vita, ma una mattina non scese giù per la colazione, e quando salirono a chiamarla, la trovarono seduta alla finestra con il mento poggiato sulla mano e il viso sorridente, come se stesse parlando con qualcuno. Il medico disse che era successo ore prima, quando si era avvicinata alla finestra per guardare le stelle. Un modo semplice per andarsene, non credete?».
Judith aveva sentito parlare di sua zia Hester, ma sapeva soltanto che aveva le mani come le sue e che era morta quando era molto giovane. La signora Foster era troppo occupata con le fatiche della vita per rimuginare sul trapasso delle anime e sentiva Hester troppo distante per concepirla come una persona del tutto reale. Tuttavia, trovava le leggende sulla sua bellezza e sulla dissomiglianza con le altre ragazze davvero affascinanti.
Allo stesso modo in cui la donna non era a conoscenza di quanto Judith odiasse la Ferrovia, non sapeva neppure quanto la bambina fosse affezionata alla lontana zia dalle lunghe dita appuntite, così flessibili da poterle curvare all'indietro. Non sapeva che quando giocava nel suo angolino della stanza - dove era solita accomodarsi su una sediolina con il viso rivolto verso il muro - spesso sedeva curvando le piccole dita lunghe all’indietro e parlare tra sé e sé di zia Hester. Questa cosa - così come molte altre - era del tutto vera. Non era un segreto che la bambina si astenesse dal parlarne; lei stessa non avrebbe potuto spiegare le ragioni del suo silenzio. Inoltre, non era mai capitato che qualcuno ritenesse necessario prestare ascolto alle sue spiegazioni o alle sue motivazioni. Il suo atteggiamento mentale era quello di una bambina che, conoscendo un certo linguaggio, non lo utilizzava con persone che non ne avevano mai sentito parlare o che ne fossero completamente all’oscuro. Conosceva sua zia Hester, a differenza della madre. L’aveva vista spesso nelle sue rêverie e nutriva in sé la fantasia segreta di poterla incontrare in sogno ogni qualvolta ne avesse avuto voglia. Le piaceva molto. I luoghi in cui era solita imbattersi in lei erano posti strani e incantevoli, dove l'aria che si respirava odorava di fiori e tutto era bello in un modo nuovo, e quando ci si spostava, ci si sentiva talmente leggeri che ogni movimento appariva delizioso. Al risveglio non si riusciva a smettere di pensare a quella sensazione di inconsistenza e per qualche istante si aveva la sensazione di galleggiare fuori dal letto.
Gli energici giovani genitori della bambin...

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