Capitolo secondo
Dal fondamentalismo ai ‘fondamentalismi’
I. L’evoluzione americana
Il fronte fondamentalista, così come lo abbiamo sinora descritto, si trovò ad affrontare, almeno a partire dalla fine degli anni ’20, uno stato di tensione interno. La presa di coscienza dell’impraticabilità di asservire le denominazioni storiche ai propri diktat teologici, e il fallimento della campagna anti-evoluzionista (a partire, nonostante l’esito favorevole della sentenza, dal processo Scopes), provocarono una spaccatura tra quanti ancora credevano di poter operare dall’interno e quanti, invece, reclamavano la creazione di nuove istituzioni autonome. Se i primi sembravano intenzionati a riformulare ed ammorbidire le proprie posizioni in nome di un più aperto evangelicalismo, i secondi, forti dell’insegnamento dispensazionalista per cui le maggiori chiese sarebbero cadute nell’apostasia, proclamavano un rigido separatismo72. Di fatto, il primo segnale in tal senso si ebbe nel 1941, quando Carl McIntire istituì l’ “American Council of Christian Churches”, che proibiva categoricamente ai suoi membri di intrattenere rapporti con il “Federal Council of Churches”73; chi permetteva contatti con quest’ultimo era invece l’organizzazione avversaria, la “National Association of Evangelicals” (NAE), fondata nel 1942, che riuniva, fra gli altri, anche i Pentecostali.
Del resto, la situazione non era ancora del tutto compromessa. Coloro che si richiamavano ai Fundamentals, che fossero separatisti o meno, trovarono infatti nell’azione evangelizzatrice un punto di contatto. A tale scopo, nel 1945, nacque l’associazione “Youth for Christ” che, dispiegando i suoi capitoli per tutta la nazione, andò ad affiancare quel network di agenzie (indipendenti da qualsiasi affiliazione denominazionale) e di Bible Institutes che costituivano da tempo centri importanti per la formazione degli evangelizzatori e dei missionari. Di tale organizzazione venne chiamato a far parte, alla fine della guerra, Billy Graham, pastore della Southern Baptist Church. Fondamentalista per educazione e convinzione (alle sue istanze aderì consapevolmente nel 1949), Graham fu in realtà un pragmatico e un fautore della Realpolitik. Politicamente conservatore e anticomunista74, simpatizzava per Martin Luther King e manteneva contatti con la Chiesa ortodossa russa: niente di più lontano dall’intransigente settarismo di altre fazioni.
Fu proprio questa sua predisposizione al dialogo, questa sua paradossale (tenuto conto del sostrato teologico in cui si era forgiato) disponibilità nei confronti degli altri cristiani a provocare, involontariamente, lo strappo definitivo tra le due parti in gioco. Nel 1957, durante una delle sue ‘crociate’ evangelistiche a New York, accettò la collaborazione di alcuni leader liberali, organizzati nel City Council of Churches, attirandosi così gli anatemi di separatisti quali Bob Jones, Sr. (fondatore della Bob Jones University) e Carl McIntire, che arrivarono a chiamarlo traditore. Da quel momento il gruppo che gravitava intorno alle idee di Graham abbandonò l’appellativo di ‘fondamentalista’, e iniziò a definirsi ‘evangelical’. A buona ragione, quindi, il 1957 può essere indicato come il secondo spartiacque (dopo il 1925) nella storia del fondamentalismo protestante. I tentativi di riorganizzarsi dopo la batosta inferta e dall’opinione pubblica e dal mainstream confessionale erano falliti miseramente. Senza più voce, ripiegato esclusivamente sulla salvezza delle anime, il fondamentalismo sarebbe riapparso sulla scena pubblica solo negli anni ’70, notevolmente trasformato, irriconoscibile.
In effetti, lo spessore del coinvolgimento politico e sociale dei nuovi predicatori marcò, come vedremo, una sostanziale differenza rispetto sia ai primi passi del movimento che alle più avanzate battaglie anti-liberal. Va anche detto che nel frattempo di cose ne erano successe: la marcia di Washington del 1963, guidata da Martin Luther King, e i race riots di New York (1964) e Los Angeles (1965), da cui emerse il leader Malcolm X, a proposito della lotta per i diritti civili dei neri; il festival di Woodstock nel 1968, manifestazione culminante delle contestazioni studentesche e della cultura hippy; l’attivismo femminista, dal 1966 strutturato nella National Organization for Women, che riuscì (naturalmente in mezzo a tante altre conquiste), grazie ad una sentenza della Corte Suprema del 1973, ad ottenere il diritto all’aborto; la disastrosa guerra in Vietnam; lo scandalo Watergate del 1972. Tutti questi elementi contribuirono ad accrescere, in coloro che si ritenevano custodi dei valori tradizionali, la percezione di una società sempre più anomica e secolarizzata. In reazione a questa «terza deistituzionalizzazione»75 si organizzò, quindi, una coalizione politico-religiosa che prese il nome di Nuova Destra Cristiana: essa creò una convergenza tra alcuni leader ‘fondamentalisti’ e il Partito Repubblicano (almeno i settori più conservatori di esso).
Trascinata dalla verve dei telepredicatori76, e soprattutto dal carisma del pastore battista Jerry Falwell, fondatore della Moral Majority nel 1979, la Nuova Destra si proponeva di recuperare al voto fasce della popolazione allontanatesi dalla politica, risvegliandone le coscienze per mezzo di un programma dai chiari contenuti reazionari: l’esaltazione della libera impresa, il taglio alle politiche di welfare, l’ostilità nei confronti delle minoranze, dell’emancipazione femminile, dell’aborto e degli omosessuali, il sostegno alla famiglia patriarcale tradizionale e la critica all’impianto laico del sistema educativo americano, costituivano i fondamenti di una controffensiva in piena regola alle iniziative liberal-progressiste dei governi degli anni Sessanta. Un simile concerto di idee raccolse i primi risultati alle elezioni presidenziali del 1980, quando Reagan sconfisse l’uscente Carter77. In realtà, il margine di vittoria non fu così alto (51% contro il 41 di Carter e il 7 dell’indipendente J.B.Anderson), e resta difficile stabilire l’incidenza concreta del movimento; è altresì vero, però, che Reagan ne cavalcò a proprio vantaggio la diffusione e gli argomenti, incrementando, nel 1984, la percentuale di voti di due punti.
L’esperienza dei telepredicatori fu, in ogni caso, breve. Quando nel 1987, un anno dopo lo scioglimento della Moral Majority, Falwell decise di abbandonare la politica per dedicarsi unicamente ai problemi della sua chiesa – la Thomas Road Baptist Church, a Lynchburg, Virginia – il movimento, già in crisi, ricevette un duro colpo. Progressivamente vennero alla luce tutte le debolezze: l’essenza mediatica dell’operazione, l’inconsistenza politica del soggetto, troppo legato all’esplicito sostegno della Casa Bianca per sopravvivere alla scadenza del secondo mandato di Reagan (1988), gli attacchi dei ‘fondamentalisti’ separatisti, convinti che i cristiani non dovessero coinvolgersi negli affari dello Stato78. La stagione dei preachers televisivi conosceva il suo tramonto, relegando fuori dalla scena uomini come Jimmy Swaggart, Jimmy Bakker, ma soprattutto Oral Roberts, una gloria della televangelizzazione.
Fra i pochi a comprendere in tempo, prima d’esserne a sua volta travolto, la diversificazione del contesto operativo fu Pat Robertson, divenuto celebre grazie ad un programma, il 700 Club, trasmesso sulla CBN (Christian Broadcasting Network). Candidatosi alle primarie del partito repubblicano, per le elezioni presidenziali del 1988, contro George Bush, la sconfitta gli palesò che era necessario aprire una nuova fase della Destra religiosa, che si caratterizzasse per una maggiore pressione sui membri del Congresso, al fine di vincolarli (sulla decisione di voto) al suo manifesto programmatico (rimasto, nella sostanza, lo stesso degli anni precedenti). «La sfida che stava di fronte a Pat Robertson ed alla destra religiosa che si doveva riorganizzare era quella di passare da moral majoritya political majority, da movimento d’opinione eticamente rilevante ma politicamente inefficace a soggetto politico in grado di contare nei circoli di Washington»79. Da siffatto proposito prese piede la realizzazione della Christian Coalition, di cui il metodista Ralph Reed, sotto la tutela del più anziano Robertson, divenne l’abile stratega sino al 1998. L’ascendente all’interno del GOP (Grand Old Party) dovette via via crescere, vista la quota di voti raccolta a suo favore (40%, grazie anche all’aiuto di altre organizzazioni politico-religiose quali la Catholic Alliance, lo Eagles Forum e il Policy Research Council) nelle consultazioni elettorali di metà mandato del 1994, che gli permisero di conquistare la maggioranza in entrambe le Camere. Il democratico Bill Clinton, alla guida del paese dal 1992, si trovò pertanto a fare i conti con un Parlamento decisamente spostato a destra che, nella persona di Newt Gingrich (speaker della Camera dei rappresentanti) e del suo “Contratto con l’America”, vide emergere proposte estreme, alcune delle quali esplicitamente attinte dal repertorio ‘fondamentalista’80. Ma il successo ha le ali bagnate. Nel 1996 Clinton, grazie anche ad una congiuntura economica favorevole, venne rieletto, e la coalizione entrò in una fase di riflusso. Da allora, nessun altro movimento sarà capace di invertire la tendenza, e la Destra religiosa subirà un drastico ridimensionamento dei propri spazi di manovra81.
La narrazione dei fatti fin qui svolta, con tutti i limiti della sintetizzazione, mi obbliga a cedere il passo a qualche riflessione. Innanzitutto, preme rimarcare la progressiva compromissione con la politica di alcuni gruppi richiamantisi ad un programma dai contenuti ‘fondamentalisti’. Il ponte gettato tra le due sponde, in quel lasso di tempo compreso (come abbiamo visto) fra l’elezione a presidente di Reagan e la fine del primo mandato di Clinton, corruppe la natura originaria del movimento nato, ricordiamolo, in reazione alle istanze moderniste della New Theology. Come detto nel capitolo precedente, già negli anni Venti alcune organizzazioni fondamentaliste (la World’s Christian Fundamentals Association in primis) avevano cercato di ottenere risoluzioni governative (o statali) in merito alla proibizione dell’insegnamento dell’evoluzionismo nelle scuole pubbliche, ma lo avevano fatto, per così dire, dall’esterno; con la Nuova Destra Cristiana, il campo d’azione si sposta all’interno. C’è da precisare, in ogni caso, che la separazione fra Stato e Chiesa (stabilita dalla Costituzione) è stata sempre, almeno nelle intenzioni espresse, rispettata, e che nessun protagonista di quegli anni ha mai manifestato il desiderio di instaurare una teocrazia. Lo stesso Falwell, in The Fundamentalist Phenomenon (curato insieme ad E. Dobson ed E. Hinson), afferma, a proposito della Moral Majority, che: «We simply desire to influence government – not control government»82.
In secondo luogo, sembra di poter ravvisare, lungo la parabola del fondamentalismo protestante, un crescente interessamento alle problematiche sociali, un riordino delle priorità, che va di pari passo con le metamorfosi strutturali del movimento. Se infatti i “Cinque principi fondamentali” stesi a Niagara Falls nel 1895 sono di carattere squisitamente teologico, concepiti come risposta alle innovative teorie liberal, altrettanto non si può dire di quelli che hanno ispirato l’azione dei televangelisti contro l’aborto, l’omosessualita e la pornografia. La caccia al demonio, dal recinto sacro della Chiesa, si trasferisce nel tessuto sociale della nazione.
In terzo luogo, questa nuova missione favorì, in determinate circostanze, l’istituirsi di un fronte di azione comune con altri gruppi religiosi (Protestanti liberal, Cattolici Romani, Ebrei Ortodossi, Mormoni), come per la crociata newyorkese di Falwell del 1957, o, più in generale, per la composizione della Nuova Destra. Il verso della medaglia fu un’ondata di moti scissori, scatenata da...