Giudicare l'arte attuale
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Una prefazione all'arte contemporanea dell'autore con l'esemplificazione delle sue opere più attuali, ci introducono al confronto del pubblico con i "professionisti dell'arte". La maggior parte delle persone sembra rifiutare le manifestazioni di arte contemporanea. Gli operatori del settore, come insegnanti d'arte, galleristi, curatori di mostre, artisti e collezionisti gli stessi critici - si dividono in crociate pro e contro l'arte attuale. L'autore ha raccolto i commenti del pubblico confrontandoli con "gli addetti ai lavori": insegnanti d'arte, galleristi, architetti, artisti ecc. Alcuni scrivono il proprio parere in merito all'arte contemporanea sotto la forma di un piacevole racconto, altri esprimono la propria opinione sotto forma di giudizio. Opinioni con le quali dobbiamo confrontarci anche per renderci conto del parere della maggior parte delle persone che visita le mostre e che rappresenta la parte preponderante del pensiero attuale del pubblico al quale l'arte si manifesta. Dello stesso autore sono sati pubblicati: "Per una critica alla vostra arte"; "Arte contemporanea: parere della critica e movimenti artistici"; Arte contemporanea, difficile capirla?"; "L'attività artistica di Gianfranco Missiaja, Venezia e le sue maschere, Rivisitazione della Commedia dell'arte", Original Venice mask (in lingua itliana ed inglese); History of carnival, Italian theater sec. XVII°(in lingua inglese); "Intervista a Gianfranco Missiaja un architetto artista" (in lingua italiana tradotto in inglese e francese)

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788893068178
OPINIONI DI ALCUNI OPERATORI DEL SETTORE
I testi che seguono sono stati resi spontaneamente da persone di diversa provenienza ed estrazione sociale e culturale: sono tutti operatori del settore che si interessano d’arte nei più vari aspetti della materia e di occupazione personale: chi come artista, insegnante, architetto, allestitore, curatore, gallerista o collezionista, chi come semplice appassionato intellettuale o uomo di cultura.
Per ovvi motivi di discrezione, molti conservano l’anonimato.
Per quanto eterogeneo possa essere il risultato, rappresenta un panorama attuale di ciò che pensa chi si occupa oggi nel campo artistico nelle più diverse accezioni.
Il modo in cui vengono inseriti deriva dall’ordine cronologico in cui mi sono stati consegnati i testi.
Fabrizia lacci
architetto e artista, segretaria dell’Associazione Architetti Artisti – Ligne et Couleur - Italia
“2 parole sull’arte di oggi”… dici poco…
Sono d’accordo sostanzialmente con quanto scrivi nella tua prefazione. Nell’introduzione aggiungi “per capire è necessario sapere” e concordo che spesso la chiave della comprensione e dell’apprezzamento dell’opera è la conoscenza della storia, della ricerca, del percorso artistico che porta non solo all’esito di un movimento, ma anche alla creazione della singola opera. Spesso ho apprezzato quando ho conosciuto la biografia personale e artistica dell’autore, se questi era inaccessibile, o quando ho conosciuto l’artista, e meglio se l’ho seguito nel tempo. Trovo illuminanti i video sulla vita dell’artista o la ricostruzione del loro studio, che talvolta corredano una mostra monografica.
Resta per me importante entrare in sintonia con l’artista, condividere il suo mondo di significati e simboli, la sua ricerca. E’ una sorta di empatia che ti fa entrare nell’opera. Fino al rapimento, portando l’esempio all’esasperazione, chiamato “sindrome di Stendhal”.
Trovo che l’opera d’arte debba darti un significato, un’esperienza, un’emozione che ti aiutano a vivere, a vedere la bellezza delle cose, come un concetto filosofico ti apre una visuale o una preghiera ti fa camminare avanti o un pensiero ti riempie…
E’ importante anche il contesto, dove si ambienta l’opera, addirittura la cornice, cioè l’intorno che la fa vibrare o che l’opera stessa reciprocamente va ad esaltare.
L’arte oggi certamente ha livelli di complessità che possono inibire, o all’opposto una povertà di significati mortificante. Penso che sia espressione di un momento storico culturalmente critico. E di un’epoca piena di contraddizioni, di disuguaglianze, faticosa…
C’è poi l’aspetto della fruibilità: non necessariamente un luogo devoluto (la mostra, la collezione) ti fa apprezzare ma anzi l’esperienza dell’opera d’arte è più inaspettata e più ricca quando riconosci la bellezza di un’opera isolata o casuale, quando la tua mente crea la propria opera guardando un particolare, un colore, una forma ed è ugualmente investita da un’esperienza artistica.
Direi che oggi l’arte ha meno categorie e confini, ma per apprezzarla ha forse più bisogno di cultura e/o di una mente aperta alle emozioni e libera.
Sandro Galante
Graphic designer, Fotografo, Formazione presso Libero Professionista, Docente presso ARTIOFFICINA
DIVAGAZIONI SULL’ARTE CONTEMPORANEA:
UN PERCORSO PER LA SUA
(POSSIBILE) COMPRENSIONE
“ El me par piturà a petoni “ (…mi sembra dipinto a macchie); così si esprimeva un piccolo studente di una scuola elementare veneziana, interrogato dalla maestra per dire la sua opinione dopo aver sentito la guida che spiegava La Tempesta di Giorgione.
Correva l’anno 1978 e a Venezia, alle Gallerie dell’Accademia, era allestita la grande mostra sul cinquecentesimo anniversario della nascita del maestro di Castelfranco. Sentii quella innocente frase durante una visita con una mia classe, ma sentii anche il rimbrotto forte e arrabbiato della maestra. Lasciai passare qualche minuto in attesa di un momento opportuno perché volevo dire a quella collega, senza farmi sentire dai suoi e dai miei studenti, la mia opinione in merito a quell’ingenua esclamazione.
Che dissi? Che forse il suo scolaro aveva inconsciamente intuito una sicura verità della pittura giorgionesca che, contrariamente alla coeva pittura timbrica toscana, era fatta di continue e costanti campiture di colore che non avendo contorno, bordo definito, potevano benissimo essere viste da quel giovane occhio come macchie, in virtù di quella pittura atmosferica che vedeva il nostro artista quale caposcuola.
Forse avrebbe potuto soffermarsi - giusto un po’ - su come Giorgione aveva trattato il fogliame, le rive di quel fiumiciattolo; ma anche il cielo, la veste rossa dell’uomo sulla sinistra o il volto della nuda che, mentre ci guarda, allatta il bimbo. Avrebbe anche potuto confrontare la natura dipinta da Botticelli nella Primavera o quella della Vergine delle Rocce di Leonardo e scoprirne così la grande differenza: trovare e/o ritrovare i “petoni” nelle opere di Giorgione e il dettaglio timbrico, toscano, in quelle di Botticelli, Leonardo e in altre opere di quella scuola, culla dell’arte dell’Umanesimo.
Ma cosa ha a che fare tutto ciò con il pensiero sull’arte contemporanea? È per dire che sono sempre stato convinto che il gap che s’è creato tra noi e la contemporaneità è certamente dovuto al naturale mutamento generazionale (è sempre stato così); ma è fortemente aggravato dalla mancata divulgazione/formazione che la scuola non riesce più a fare, soprattutto oggi, visto che ultimamente i Ministri succedutisi al Dicastero dell’Istruzione, si sono distinti più per ciò che hanno tolto piuttosto per ciò che hanno aggiunto.
Oggi lo studio delle arti, del fare artistico, è qualcosa che in termini di ore-scuola è paragonabile al passatempo, allo spot pubblicitario, alla somministrazione omeopatica del principio attivo. I laboratori negli Istituti d’arte sono totalmente spariti o quasi; quella che era chiamata, prima Educazione Artistica poi Arte e Immagine, è oggi una sorta di cenerentola buona da tirar fuori dal cassetto quando si vuol far partecipare i ragazzi a questa o a quella manifestazione, fatta forse più per accontentare gli organizzatori e famiglie, piuttosto che per far maturare i giovani su questo o quell’argomento.
Nei miei ultimi anni d’insegnamento, quando intervistavo i nuovi arrivati - ne ho intervistati centinaia - per sapere, capire, cosa avessero fatto, studiato, eseguito, sperimentato, durante i tre anni delle scuole medie, raramente ricordo di aver avuto risposte da ascrivere alla sfera della positività. Ricordi vaghi e nebulosi per quanto riguardava le esperienze dello studio della storia dell’arte “…che noiosa!”; più vicini all’idea del disimpegno “caciaroso”, scomposto o privo di regole, quello riferibile alla sfera della produzione iconica: “… “facevamo sempre quello che volevamo”.
In quei trentasette anni di insegnamento, ma non solo, mi sono costantemente imbattuto con il tema di sempre; alludendo al fatto che: “… l’arte moderna no xe capisse: far quatro spegassi, che xo bon farli anca mi, no ghe vol grandi studi. In do e do quattro i xe boni far un quadro e po’ i dixe che i ga fato un’opera d’arte! Ti vol metter ‘na volta…” (L’arte moderna non si capisce. Per fare quattro scarabocchi, che so realizzare anch’io, non c’è bisogno di uno studio serio, approfondito. In un battibaleno realizzano un quadro che poi pretendono che consideriamo opera d’arte! Come può, tutto ciò, essere messo a confronto con la pittura di una volta…).
Gli strali dell’indignazione, siano stati espressi dai giovani della scuola media, dai meno giovani del liceo o dai più anziani dei corsi post diploma o laurea, li prendeva in primis, sempre e comunque, Picasso. Quando si voleva indicare qualcosa di negativo nell’arte detta moderna – in realtà contemporanea - il primo nome che saltava fuori era sempre il suo.
Sull’argomento le mie prime mosse erano quelle di predisporre la classe all’ascolto di cose che non sono sempre facili da assimilare perché hanno bisogno di momenti di riflessione, di analisi del momento storico, di sforzo intellettivo ma, soprattutto, di umiltà e pazienza nell’ascoltare e nel vedere cose, magari già viste e/o conosciute, sotto una luce diversa.
Era necessario superare il pregiudizio che l’arte figurativa, impegnando in primis l’organo della vista doveva, da sempre, pagare quel pesantissimo scotto dell’aderenza al soggetto che rappresenta. Gli argomenti da discutere erano sempre quelli: la verosimiglianza, il bello e il brutto, il gusto.
Con me c’erano sempre il fido diaproiettore Rollei e le riproduzioni di opere d’arte che realizzavo per illustrare quegli argomenti. In pochi secondi l’aula si trasformava in sala di proiezione - mai però al buio completo - perché bisognava prendere appunti ma anche vedere, per capire, l’espressione degli studenti mentre raccontavo quelle cose.
Le cento e più diapositive mi permettevano di passare e illustrare opere di epoche diversissime, ma sicuramente utili a far capire questo o quel concetto. “… Comunque prof. quell’opera non mi piace… e, quale rafforzativo, il sempiterno: “perché, non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”. E questo ce lo ricorda anche l’amico Gianfranco Missiaja nell’introduzione di questo libro.
All’immancabile affermazione, che scaturiva dopo minuti di discussione, rispondevo che quello era l’adagio volgarizzato di un pensiero assai nobile, alto, che arrivava direttamente da Kant il quale diceva che: “ il bello non è una cosa bella ma una bella rappresentazione di una cosa”. Dopo la spiegazione e l’analisi della differenza che esiste tra la prima affermazione, quella popolare e l’originale, si passava solitamente ad affermazioni che andavano tutte nella direzione del concetto di gusto; altro grosso macigno da rimuovere.
Anche in questo caso mi rivolgevo al pensiero del filosofo tedesco e a quanto ebbe a scrivere nella sua Critica del giudizio. “Il gusto, che giudica se un’opera sia bella o no, ha la pretesa che il suo giudizio sia universale senza che esso possa tuttavia fornire la dimostrazione razionale della giustezza del suo giudizio”. Trovo che l’uso del verbo pretendere sia bellissimo!
La spiegazione di come si doveva interpretare questo grande concetto solitamente mi occupava molto tempo anche perché le domande, a fronte delle immagini proiettate, diventavano meno banali o timide e coinvolgevano più studenti. La curiosità di sapere, capire, si allargava e contagiava l’intera classe.
Accanto a quest’attività prettamente d’analisi e critica, c’era quella della copia dal vero dell’opera d’arte così da permettere a tutti quelli che dicevano della facilità di fare scarabocchi o di mettere degli occhi al posto delle orecchie, di cimentarsi con quella presunta capacità! Prima l’esercitazione prevedeva la copia di un’opera antica - non dal libro - bensì dalla proiezione della diapositiva sul muro possibilmente alle misure reali dell’opera. fatta questa copia si passava a quella di un’opera classica della modernità: una qualsiasi, meglio se dello stesso Picasso o di Klee, Kandinskij.
Finito quel lavoro, la copia dell’uno passava anonimamente ad altri e così lo studente A si trovava sul banco il disegno di F mentre F aveva quello di C.; e così via. Il passo successivo prevedeva la correzione del lavoro del compagno (solo io sapevo di chi era la singola copia) da farsi rigorosamente, con matita colorata sul disegno stesso; questo permetteva di rilevare immediatamente quali errori di copia avesse rilevato A sul lavoro di F, F su quello di C, ecc.
Alla fine invece di venticinque lavori ne avevi cinquanta e, il bello del bello, era che A nella correzione di F non aveva prodotto un facsimile del suo lavoro ma, come facilmente intuibile, ne aveva creato un altro fortemente condizionato da ciò che aveva disegnato il compagno.
Ora immaginatevi la cosa quando l’identica procedura si trasferiva alla copia di un’opera della contemporaneità. Quasi all’improvviso, prima timidamente poi sempre più dichiaratamente, emergeva la grande difficoltà di copiare quello che sino a qualche tempo prima si dichiarava come di facile realizzazione quasi irridendo quella facilità d’attuazione: “… non sarà mica difficile disegnare un piatto e una bottiglia che sembrano non stare su quel tavolo…”. E se a tutto questo aggiungevo la riflessione che l’artista l’aveva realizzata ben prima del nostro giudizio, e che mai e poi mai ci sarebbe venuto in mente di pensarla perché, per idearla, bisogna essere quell’artista! Che dal nulla non nasca nulla non è solo una regola della fisica.
Capire che il nostro atteggiamento negativo verso l’opera si formalizzava solo nel momento che la vedevo e che quel giudizio negativo era formulato solo in base al gusto (vedi sopra) era l’altra grande tappa di avvicinamento verso la contemporaneità.
Ecco che allora, e solo allora, anche il diavolo Picasso (o Kandinskij, Klee, Pollok, o chi volete voi) assumeva altra dimensione ed era visto sotto un’altra luce. Se poi facevo vedere che anche quei dèmoni sapevano disegnare figurativamente… Beh, apriti cielo, lo stupore era la regola. Infine, la riflessione che tagliava la testa al toro all’idea che l’arte contemporanea non si capisce perché è in gran parte concettuale, informale, ermetica, comunque difficile da capire, si otteneva facendo dei paragoni tra la difficoltà di leggere alcune cose dell’arte antica e quelle della modernità.
Cosa c’è di più ermetico dell’Allegoria Sacra di Giovanni Bellini (Firenze, Galleria degli Uffizi) dove il trono della Vergine è ruotato di novanta gradi rispetto l’asse usuale e che Lei, rispetto a noi che guardiamo l’opera, si pone di fianco? Perché la scena si svolge in una terrazza aperta su un paesaggio e la figura accanto alla Madonna è leggermente sollevata da terra? In quest’opera, come in mille altre, gli interrogativi si sprecano e sarà compito degli storici, dei critici dare le giuste risposte affinché anche noi ne possiamo godere.
Pertanto, se è vero che l’arte concettuale (Stati Uniti anni sessanta) vuole mettere in luce le idee espressive come qualcosa di più importante dello stesso risultato estetico dell’opera, allora mi chiedo se il gioco delle mani della Vergine e dell’angelo-gentiluomo nella leonardesca Vergine delle rocce (versione del Louvre) è meno concettuale di “Una e tre sedie” di Joseph Kosuth o di “Fontana” di Duchamp? Perché quell’angelo, guardandoci, ci indica il Battista-bambino mentre la mano sinistra della Vergine, protesa in avanti, la sovrasta? E quale arcano nasconde quella mano indicante il cielo sia nella figura di Platone nella Scuola d’Atene, di Raffaello nelle Stanze Vaticane a Roma -, sia nel cartone della Sant’Anna, la Vergine, il Bambino e san Giovannino di Leonardo (National Gallery)? Certamente quei gesti non sono meno concettuali delle opere della contemporaneità. E ancora, vogliamo ricordare la dozzina di denominazioni che la “Tempesta” di Giorgione (Gallerie dell’Accademia di Venezia) ha avuto nei secoli perché si voleva dargli un titolo plausibile nella speranza che quello portasse alla luc...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Prefazione
  6. Introduzione
  7. Il parere di alcuni operatori del settore artistico
  8. Pensieri del pubblico intorno all’arte contemporanea