Compendio di Preistoria e Storia di Sardegna
eBook - ePub

Compendio di Preistoria e Storia di Sardegna

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Compendio di Preistoria e Storia di Sardegna

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

"Compendiodi Preistoria e Storiadi Sardegna" offre un panorama completo della lunga storia dell'isola a partire dalla sua formazionegeologica fino al periodo contemporaneo. Con uno stile scorrevole l'autore racconta, capitolo dopo capitolo, gli avvenimentiche si sono svolti in Sardegna compresi quelli ancora avvolti nel mistero. La sintesi non esclude approfondimenti dei periodi più importanti come quello nuragico e quello giudicale con particolare attenzione a quell'avvenimento decisivo che ha segnato il futuro dell'isola cioè l'istituzione del "Regnum Sardiniae et Corsicae" da parte delpapa Bonifacio VIII. Il lavoro di Sergio Atzeni quindi presenta un quadro esauriente e di facile comprensione della lunga preistoria e storia della Sardegna adatto a tutti sia per cultura personale, sia per scopi didattici.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Compendio di Preistoria e Storia di Sardegna di Sergio Atzeni in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Storia italiana. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788892629332
Argomento
Storia

La Sardegna italiana

Nasce il Regno d’Italia

Con l’armistizio di Villafranca stipulato nel mese di luglio del 1859, si concluse la II guerra d’indipendenza e il Regno di Sardegna guadagnò la Lombardia già austriaca in cambio di Nizza e della Savoia e l’annessione del Granducato di Toscana, dei ducati di Modena e Parma e dell’Emilia ex pontificia che aderirono ufficialmente con il plebiscito popolare del 1860.
Garibaldi con l’impresa dei Mille, sempre nel 1860, consegnò ai Savoia anche il Regno delle Due Sicilie e i territori pontifici delle Marche e dell’Umbria: per completare l’unità d’Italia mancavano ancora Roma, Venezia e il Veneto. Il 18 febbraio 1861 si riunirono a Torino i rappresentanti degli stati che erano confluiti nel Regno di Sardegna e il 17 marzo 1861 fu emanata la legge che così recitava:
“Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato, noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di re d’Italia”.
Nasceva così il Regno d’Italia che adottava la costituzione Albertina dell’ex Regno di Sardegna che cedeva il suo re senza cambiare ordinale.

La situazione della Sardegna

Al momento della creazione del regno d’Italia l’isola contava 588 mila abitanti ed era divisa nelle province di Cagliari e Sassari amministrate da un prefetto, che comprendevano i 371 comuni esistenti.
Le province erano divise in Circondari Cagliari, Iglesias, Lanusei e Oristano inseriti in quella di Cagliari; Alghero, Sassari, Tempio, Ozieri e Nuoro in quella di Sassari.
Nel 1927 sarà istituita la provincia di Nuoro e aboliti i Circondari, nel 1974 sarà creata la provincia di Oristano. L’euforia per la raggiunta Unità mise in secondo piano i gravi mali che affliggevano l’Italia; specialmente quelli delle regioni meridionali che, uscite di botto dal Medioevo, erano colpite da un sottosviluppo endemico che i vecchi padroni avevano trascurato.
La Sardegna era in condizioni disastrose: analfabetismo imperante, povertà diffusa, brigantaggio inarrestabile, economia e forze produttive inesistenti, malaria ed epidemie sempre presenti.
In questa situazione i governi Italiani, davanti a problemi giganteschi, non seppero da dove iniziare e abbandonarono l’isola a sè stessa.
Gli 11 deputati Sardi che sedevano in parlamento, che nel 1865 si era trasferito a Firenze che diventava capitale, presentarono una richiesta al Governo per ottenere investimenti pubblici nell’isola.
Intanto con la terza guerra d’indipendenza nel 1866 anche il Veneto entrò al neonato stato italiano.
Nel 1867, il seme del malcontento portò alla rivolta a Nuoro con i moti de “Su Connotu”, (tornare a ciò che si conosceva) in opposizione alle vendite di terreni demaniali sottraendoli alla pastorizia.
Nel 1869 giunse nell’isola una commissione, guidata dal De Pretis, per indagare sullo stato economico della Sardegna, non ci furono risultati ma solo rapporti: per risolvere i problemi ci volevano fatti e non bastavano le parole. Altre commissioni furono istituite nel 1877, 1894 e 1896 per esaminare gli enormi problemi dell’isola ma non approdarono a nessun risultato concreto.

Roma capitale

Il 20 settembre del 1870, Roma fu liberata con un semplice colpo di mano e i problemi Italiani furono messi da parte per dedicarsi alla edificazione di una capitale che dava ai Savoia un trono finalmente in una degna cornice, sulle spalle di tutti gli Italiani che avevano fatto la nazione.
Cinque ore di cannoneggiamento, poche decine di morti, questa fu la campagna che “liberò” Roma. Il 2 Ottobre il plebiscito sancì l’adesione all’Italia con 46.790 voti a favore e 46 contrari, nel 1871 Roma fu proclamata capitale d’Italia.
Quella piccola città del 1870, decadente che serbava un immenso patrimonio fornitogli dal mondo o commissionato dai pontefici, fu pian piano distrutta dagli interventi di costruzione e ammodernamento dei palazzi signorili che oggi conosciamo come Chigi, Madama, Quirinale, Barberini, etc.
I pochi Romani residenti in breve tempo diventarono minoranza data l’immigrazione di funzionari, ambasciatori, militari, commercianti, muratori dal resto dell’Italia.
Tutte le risorse finanziarie furono dirottate verso la nuova capitale che come un’idrovora assorbì il sudore del giovane Stato italiano. Mentre i capitali affluivano nell’urbe, la Sardegna raccoglieva solo briciole, con completamento di strade e reti ferroviarie già vecchie al momento della nascita: fu inaugurato anche il collegamento settimanale via mare con Genova, ben poca cosa rispetto al necessario.
Le miniere del Sulcis erano le uniche industrie presenti che non trasformavano la materia prima e non fornivano quindi valore aggiunto remunerativo. Solo i piccoli commerci consentivano di sbarcare il lunario nelle città, mentre l’agricoltura antiquata e la pastorizia nomade e arcaica fornivano solo il necessario per sopravvivere.
Alla fine dell’800 una febbre di rinnovamento contagiò anche le città sarde, furono distrutti bastioni e opere architettoniche di valore storico come le mura di Cagliari e Sassari: per dare spazio a civili abitazioni fu eliminato così un patrimonio storico che oggi sarebbe stato motivo di turismo culturale e quindi di benessere.

Il banditismo sardo nella storia

La piaga del banditismo nell’isola si perde nella notte dei tempi, in un primo momento i banditi sono coloro che si oppongono alla conquista dell’isola da parte dei Cartaginesi e poi dei Romani che definiscono “barbari” tutti quelli che non comprendono la loro lingua e cercano di contrastare le loro legioni e “Barbaria” la terra da loro abitata.
Una resistenza all’invasore che pone quelle genti dell’interno come ribelli che, pur battendosi per una causa giusta, sono considerati delinquenti. La sfiducia verso i vari conquistatori dell’isola e verso le istituzioni, lo stato di vita precario, la prepotenza dei feudatari hanno forgiato, nel corso dei secoli, migliaia di popolani che, per un motivo o per un altro, si danno alla macchia costituendo bande armate temibili quanto inafferrabili.
Quella massa di diseredati che tutti chiamavano banditi, costituiva una forza che molti nobili usavano per terrorizzare e seminare il panico tra gli abitanti dei loro feudi e tenerli così in soggezione.
Quel fenomeno diventa pian piano inarrestabile e, quando la Sardegna passa ai Piemontesi nel 1720, la situazione nell’isola è giunta a uno stadio irreversibile.
Le bande infestano l’interno della Sardegna, le strade sono insicure e la forza pubblica nulla può fare contro quella moltitudine priva di scrupoli che conosce il territorio e che colpisce dileguandosi senza lasciare alcuna traccia.
Il fenomeno è talmente organizzato che i Piemontesi hanno il sospetto che le bande siano sponsorizzate dagli Spagnoli con l’intento di preparare il terreno per un loro eventuale ritorno.
Nel 1738, un nutrito contingente di soldati al comando del viceré marchese di Rivarolo, setaccia tutti i territori dell’interno facendo un gran numero di prigionieri tra i latitanti: ma è tutto inutile perché le bande si moltiplicano in quanto tanti sono i soprusi e le ingiustizie che si abbattono sulla povera gente alla quale non rimane altra via che scappare e unirsi ai latitanti.
Inizia anche la rivalità tra le bande che cercano di occupare un zona e non permettono ad altri di violarla.
Una proprietà terriera non ufficiale nella quale si compiono tutti i generi di reato con la connivenza delle popolazioni che per la paura, non solo non denunciano i reati subiti, ma scagionano gli imputati per timore di rappresaglie: l’omertà entra prepotentemente nelle abitudini dei Sardi. Alla fine del ‘700 il banditismo è ormai radicato nell’isola e a nulla valgono le grandi forze messe in campo dal governo piemontese e la moltitudine di leggi per tentare di arginare il fenomeno come il divieto di portare la barba, segno distintivo dei fuorilegge.
Anche lo sforzo per controllare le strade o scortare le carrozze adibite ai collegamenti, si rivela inutile così come le severe pene comminate a quei pochi che cadono nelle mani dei militari.
Sul finire del XVIII secolo, centinaia sono i banditi già giudicati ancora alla macchia ai quali si devono aggiungere altrettanti non ancora processati.
Rapine, omicidi, furti di bestiame sono i delitti più comuni che colpiscono un po’ tutti tanto che le autorità, per porre un freno all’attività criminosa, decidono di condonare la pena a coloro che faranno arrestare un bandito già condannato a pena uguale o superiore.
Si scatena una lotta intestina tra gli stessi malviventi che coinvolge anche le loro famiglie e, nel tentativo di ottenere l’impunità sulle spalle dei loro colleghi, si scatenano delle faide destinate a durare per decine d’anni fino allo sterminio di interi nuclei familiari.
I risultati che si ottengono sono però modesti e pericolosi delinquenti, grazie alla legge sulle catture, possono circolare liberi nei paesi d’origine creando ulteriori paure e insicurezza agli onesti cittadini. Per poter riconoscere i latitanti, viene distribuito alle forze dell’ordine un completo dossier con il ritratto e le condanne di ciascun bandito per facilitare la loro identificazione durante i sempre più frequenti rastrellamenti.
Vengono controllati tutti i vagabondi e coloro che non hanno una occupazione, con l’intento di togliere la manodopera necessaria ai rifornimenti e ai collegamenti indispensabili per sopravvivere alla macchia. Nonostante lo sforzo delle autorità, all’inizio dell’ottocento, i banditi spadroneggiano ancora indisturbati nelle zone interne e nessuno può azzardarsi di intraprendere un viaggio da solo, ma neanche con le carrozze pubbliche che, se non scortate dalla cavalleria, sono preda certe delle bande.
Nel 1820, con “l’Editto delle Chiudende”, la situazione si aggrava ulteriormente perché molti contadini e piccoli allevatori sono costretti ad abbandonare il proprio lavoro per le prepotenze dei colleghi più facoltosi che recintano grandi quantità di terre e li costringono a pagare esose gabelle per attingere acqua o per il semplice passaggio.
Le bande si ingrossano e questa volta il loro principale obiettivo sono i proprietari terrieri che iniziano a subire la violenza delinquenziale sulle loro persone e sui loro averi. I latitanti a metà ‘800 sono più di mille seguiti da altrettanti accoliti che impongono la loro terribile legge e imperversano nel nuorese terrorizzando interi paesi.
Le bande sono ormai organizzate come veri battaglioni d’assalto e si permettono di isolare interi paesi e saccheggiarli: le famigerate “bardane” irrompono così improvvisamente nella storia della delinquenza isolana.

La lotta alla criminalità del nuovo Stato

Dopo l’unità d’Italia il governo cerca di arginare con energia la criminalità organizzata del sud concentrata nella Campania, Puglia, Basilicata e Calabria, patrocinata da numerosi nobili e da sovrani in esilio, che vede come un tentativo di restaurazione e pertanto da combattere strenuamente, ma tralascia il fenomeno sardo che classifica come comune e che quindi può aspettare perché non è un pericolo per lo stato: errore fondamentale anche questo che produrrà conseguenze devastanti.
La situazione diventa così talmente grave che il governo nomina, nel 1869, una commissione d’inchiesta che però non approda a nulla se non alla constatazione della gravissima situazione sarda.
Oltre il fenomeno delinquenziale, le popolazioni subiscono continuamente soprusi e violenze anche da parte delle classi più agiate e i ricchi accumulano sempre più denaro mentre i poveri sono alla disperazione e, non potendo contare su un lavoro che gli consenta di procurare almeno un pasto al giorno per la famiglia, si vedono costretti a unirsi alla malavita alla macchia diventando delinquenti essi stessi.

Calo momentaneo della delinquenza

Nel primo decennio del ‘900 il banditismo sembra ridimensionarsi, le campagne e i paesi dell’interno godono di una inusuale pace, i reati sono rari e solo il furto del bestiame continua con un ritmo sostenuto, ma la solita crisi economica legata al crollo dei prezzi di alcuni prodotti che vengono esportati come il latte e la carne, favorisce una ripresa del fenomeno che però non raggiunge l’intensità dell’ultimo ‘800.
La prima guerra mondiale, a causa dell’arruolamento in massa dei giovani, contribuisce all’isolamento dei latitanti che non possono contare su nuove leve o sul malcontento giovanile che ha altri problemi dietro le trincee, il fenomeno subisce così un arresto contingente destinato e ridestarsi alla fine del conflitto per le difficoltà della moltitudine di ex combattenti che è alle prese con una forte crisi economica e con la assoluta mancanza di lavoro.

La piaga delle faide

I vari governi non sottovalutarono pericolosi segnali di recrudescenza della delinquenza e aumentò notevolmente le taglie sui latitanti inviando nuovi contingenti di militari per controllare quotidianamente i territori a rischio, sono i furti di bestiame che diventarono la piaga del momento, pericolosi perché colpirono i poveracci e li costringono a improvvisarsi investigatori arrivando a farsi giustizia da sé, rubando a loro volta i capi del presunto colpevole.
Nascono nuove rivalità tra famiglie di uno stesso paese (faide) che si trascineranno nel tempo e costeranno decine di morti in una catena inarrestabile che ancora oggi mostra le conseguenze.
Ancora una volta lo scoppio della guerra (seconda conflitto mondiale) porta il banditismo a una pausa forzata, ma alla sua conclusione la situazione diventa un’altra volta allarmante.
Complice come sempre la crisi economica e lo stato di malessere delle popolazioni isolane che hanno perso tutto e non hanno nessuna prospettiva per alleviare il loro triste stato, la delinquenza riassume proporzioni gigantesche, il sequestro di persona diventa il reato più comune, alcune volte in mano ai banditi sono anche quattro sequestrati, e le forze dell’ordine devono battersi contro un vero esercito che possiede armi più potenti e moderne delle loro.

I delinquenti diventano famosi

Il banditismo a partire dagli anni ‘50, è caratterizzato da momenti di pausa e da grandi riprese, i delinquenti tradizionali sono sostituiti da personaggi che entrano nella cronaca nera prepotentemente.
Dopo la scomparsa di crudeli latitanti, caduti nelle maglie della giustizia, come Bachisio Falconi, G. Battista Liandru, fa il suo ingresso nella scena Graziano Mesina, Orgolese proiettato nel mondo malavitoso dalla faida in corso nel suo paese. Alla fine degli anni ‘60, riesplode il fenomeno delinquenziale che ora guarda ai sequestri di persona con particolare accanimento, con la novità che le bande, grazie ai basisti, ora colpiscono in tutto il territorio anche se gli ostaggi vengono tenuti prigionieri in grotte o anfratti nei territori tradizionali barbaricini.
Le bande ora dispongono di armi e attrezzature moderne e si servono di auto per il trasferimento, mettono in piedi una vera impresa criminale con dei ruoli ben distinti e specializzati che comprendono i basisti, gli autori materiali del crimine, i custodi, gli addetti ai rifornimenti e coloro che hanno il compito di contattare i parenti dei sequestrati per chiedere e ottenere il riscatto.
Le forze dell’ordine si trovano quindi davanti a un fenomeno che investe tutto il territorio isolano e che è difficile da controllarsi perché le bande si servono di molte persone incensurate che hanno una doppia vita e che vivono regolarmente nei propri paesi.
Naturalmente continuano anche gli omicidi e le rapine che giornalmente rimbalzano in quel mezzo di diffusione popolare che è la televisione e il banditismo sardo viene conosciuto nei suoi dettagli da una platea enorme che vede la Sardegna come covo di delinquenti.

Le imprese criminali

Si perfeziona il nuovo organigramma delle bande che ora hanno una organizzazione piramidale con all’apice l’ideatore del sequestro che appartiene a classi culturalmente preparate che si avvalgono di segnalatori che non di rado sono impiegati o uscieri, i latitanti o giovani in cerca di “fortuna” custodiscono invece il malcapitato.
Una vera impresa che grazie alla omertà è difficile da smascherare ma che subisce un duro colpo quando viene arrestato Graziano Mesina, in quello stesso anno, il 1972, vengono pubblicati gli atti della ennesima commissione d’inchiesta istituita con decreto nel 1969, presieduta dal senatore Giuseppe Medici.
L’indagine attribuisce le cause del banditismo alla stato di arretratezza economica e sociale dell’isola e non fa certo delle grandi scoperte perché tutti conoscono da decenni le cause del fenomeno, nessuno però pensa a porvi un rimedio con l’unica medicina efficace:...

Indice dei contenuti

  1. PREISTORIA E STORIA DI SARDEGNA
  2. Indice
  3. INTRODUZIONE
  4. L’Età del Rame o Calcolitico 2700 - 1800 a.C.
  5. Il Periodo Nuragico 1800 - 500 a.C.
  6. I FENICI X SECOLO - 550 A.C.
  7. CARTAGINE PRIMA DOMINAZIONE DELLA SARDEGNA 509 - 238 A.C.
  8. LA SARDEGNA ROMANA 238 A.C. - 456 D.C.
  9. Dalle persecuzioni in Sardegna all’arrivo dei Vandali 456 - 534 d.C.
  10. LA SARDEGNA BIZANTINA 534 - 850/900
  11. LE INCURSIONI MUSULMANE E BARBARESCHE IN SARDEGNA
  12. I GIUDICATI (REGNI SARDI MEDIEVALI)
  13. I Possedimenti Signorili e i Territori Pisani in Sardegna
  14. GLI ARAGONESI E GLI SPAGNOLI 1323 - 1708
  15. I PIEMONTESI 1720 - 1861
  16. La cacciata dei Piemontesi (Sa die de sa Sardigna)
  17. La Sardegna italiana
  18. La Sardegna del dopoguerra
  19. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE