La congiura del silenzio - Lettere di Michele Rinaldi  e dei suoi corrispondenti (1960-1985)
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La congiura del silenzio - Lettere di Michele Rinaldi e dei suoi corrispondenti (1960-1985)

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La congiura del silenzio - Lettere di Michele Rinaldi e dei suoi corrispondenti (1960-1985)

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…e nel 1960, Michele Rinaldi, medico ormai affermato e docente universitario, ricominciò a scrivere di poesia e letteratura con la stessa passione e lo stesso entusiasmo degli anni giovanili in cui aveva frequentato la casa di Benedetto Croce. La sua intensa militanza intellettuale – che si pose in netta controtendenza rispetto allo sperimentalismo ad oltranza, al plurilinguismo ed alla contestazione ideologica, tipici di altre esperienze come la "Neoavanguardia" o il "Gruppo 63" – fu accompagnata da una vasta rete di scambi epistolari, che costituiscono una testimonianza non marginale per ricostruire la storia culturale italiana del secondo dopoguerra. Il movimento letterario del Rinaldi e dei tanti suoi sodali, tra cui Alfredo Galletti, Carlo Saggio, Francesco Perri, Lionello Fiumi, Salvator Gotta, Ettore Cozzani, Dino Provenzal, Alessandro Cutolo, Pitigrilli, Giuseppe Morabito, fu di fatto contrastato in piccola parte con gli strumenti della critica e del tutto soffocato mediante la totale restrizione delle opportunità di accedere ad un più vasto pubblico. E tutti parlarono di una "congiura del silenzio".

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788892639799

Epistolario

/ 1 /
Michele Rinaldi a Marco Ramperti1, Napoli, 17 febbraio 1961
Illustre Maestro,
il suo libro2 mi ha procurato un triplice godimento: conoscere Lei come uomo, conoscere la sua arte, rileggere la prosa di quel critico poderoso che è Alfredo Galletti. Miserando è lo stato di queste nostre lettere, come Ella dice: le ragioni sono complesse e profonde ma fra tante spicca la insincerità, l’ipocrisia e la sete dell’oro. Dopo D’Annunzio e forse Gozzano non v’è che involuzione. Si comprendono e si gustano con maggior facilità sette secoli di poesia italiana che non cinque così detti frammenti ermetici. Ma una cosa non ho capita e credo non capirò mai: si tenta spesso di creare paralleli tra la divina poesia di Leopardi e la scomposta accozzaglia di versi moderni senza ritmo e senza senso. Come cultore di lettere penso si tratti di degenerazione completa del gusto; come medico attribuisco il fenomeno ad una causa morbosa di ignota natura. Spero di pubblicare in proposito un lavoro critico su “L’Iride”3. Le ricambio il mio saluto cordiale e sincero e sono veramente felice di averla conosciuta. Mi creda, ringraziandola, suo Michele Rinaldi
/ 2 /
Marco Ramperti a Michele Rinaldi, Roma, 20 febbraio 1961
Egregio lettore ed Amico,
la sua diagnosi è giusta, giustissima sia dal punto di vista clinico che filosofico. Lo stato del nostro culturame è miserando. Ma, forse, le cause non sono così misteriose come Lei afferma. Le radici stanno in un antifascismo delittuoso, che ha reagito criminalmente ad un fascismo colpevole. Ecco tutto. Il guasto era nel germe; e il rimedio è riuscito peggiore del male. E adesso paghiamo tutti per un ventennio che peccò di presunzione imbecille; per un quindicennio che pretese rivendicarne gli errori con degli spropositi cento volte più marchiani. Alfredo Galletti, venerando amico mio, abita a Milano. Leggo sempre, e leggo tutte le pagine dell’Iride. E ho notato anche la lirica di Michele Rinaldi. Ma tentarne di dare un esatto parere, a distanza, mi parrebbe disonesto. Ci troveremo presto a Napoli ( ci sarà anche l’amico Lanza) e ne riparleremo. Suo aff.mo Marco Ramperti
/ 3 /
Alfredo Galletti4 a Michele Rinaldi, Milano 30 aprile 1961
Preg.mo Dottore,
se Lei pensa che dopo una malattia che fu piuttosto lunga e una non breve convalescenza, mi trovo a dover sbrigare una vasta corrispondenza che si è venuta accumulando in parecchie settimane, non si meraviglierà che io risponda in ritardo alla sua lettera del 24 aprile. Tale lettera mi è riuscita molto gradita innanzitutto per il cordiale consenso alle mie idee di un uomo della sua cultura, di un medico che ama le lettere e la poesia e ne giudica come gli suggerisce il suo buon gusto e il suo buon senso, senza preoccupazioni di beghe letterarie e di controversie estetiche. E’ questa del resto una nobile tradizione della nostra letteratura: questa partecipazione spontanea e spregiudicata dei medici alla vita intellettuale ed artistica della nazione. Tale consenso ci è di grande conforto perché non suggerito da interessi né pregiudizi di parte e perché ci dimostra che la gente di buon senso è fondamentalmente d’accordo con noi. Ho ricevuto regolarmente i numeri della rivista “Iride” che Lei mi ha fatto inviare; ho letto ciò che Lei in essa ha scritto e osservo innanzitutto che Lei, come scrittore di lingua italiana, rispetta scrupolosamente tutte quelle leggi fondamentali che distinguono un vero scrittore dai mestieranti e dagli improvvisatori odierni. Del contenuto e dell’ispirazione di tali scritti sarebbe doveroso farne un lungo discorso, che ora non mi è possibile di iniziare. Mi riservo pertanto di tornare sull’argomento e di scrivergliene più a lungo. Si abbia intanto, insieme ai miei più sentiti ringraziamenti, i più cordiali saluti Suo dev.mo Alfredo Galletti
/ 4 /
Michele Rinaldi ad Alfredo Galletti, Napoli, 12 maggio 1961
Illustre Maestro,
innanzitutto voglio sinceramente augurarmi che la presente La trovi completamente ristabilita in salute che è tanto preziosa per coloro che seguono la sana cultura. Voglia poi scusarmi se alla vasta Sua corrispondenza debbo aggiungere anche la mia ma, Le assicuro, essere considerato da Lei uno scrittore, da Lei, autore di un’opera così densa di cultura e di profonda critica, è davvero una delle poche grandi gioie della mia vita. Perché, Ella deve sapere, il Suo libro “Il Novecento”5 è stato da me studiato in profondità, non solo, ma ha rappresentato la continuazione dei miei studi preferiti di critica dopo quelli sul De Sanctis, sul Momigliani ed altri. Non le cito il Croce, la cui casa frequentai negli ormai lontani anni ‘927 – ‘929, perché del Croce mi piace più l’attività storico-aneddotica che quella critica. Ma il mio tormento maggiore ( forse simile al suo) è quello della poesia italiana in quest’ultimo cinquantennio. Che cosa è diventata questa nostra poesia? C’è poesia ai nostri giorni? O questa parola è sinonimo di dissolvimento? Purtroppo le grandi tradizioni del passato sono distrutte ed è veramente sconcertante la ridda dei corifei e degli istrioni che si sbracciano invano a far dire dai loro critici addomesticati che i loro versi sono puri anche se esprimono un bel nulla. […] Sarei felicissimo di continuare a lungo il mio colloquio con Lei ma non ho il diritto di annoiarla e perciò termino a malincuore la presente. La ringrazio e Le auguro soprattutto lunga vita in buona salute Suo Michele Rinaldi
/ 5 /
Alfredo Galletti a Michele Rinaldi, Milano, 13 dicembre 1961
Preg. Sig. Rinaldi,
mi è arrivato il suo scritto sulla retorica di Ungaretti6 e l’ho letto consentendo e plaudendo toto corde. Vorrei anche commentare e rafforzare questo mio consenso con alcuni commenti e adiecta ma sono sopraffatto dalla necessità di rispondere al più presto a molti auguri, a molte domande intorno alla mia salute e ad alcune di quelle missive, che, pur essendo molto convenzionali, in tempo di ferie, non possono essere lasciate senza una sollecita risposta. Conto di scriverle più a lungo, intanto la ringrazio delle sue sollecite ed affettuose interrogazioni intorno allo stato della mia salute e senza peccare di ottimismo Le dico che in questi ultimi giorni sono in complesso migliorato. Le ricambio i più fausti auguri per le prossime ferie ed anche per il prossimo anno.
Suo dev.mo Alfredo Galletti
/ 6 /
Saverio Broussard7 a Michele Rinaldi, Locri, 18 dicembre 1961
Egregio Dottore,
ho ricevuto il suo scritto critico su Ungaretti e la ringrazio assai. Appena ho finito di leggerlo, ho detto: finalmente ho incontrato uno che la pensa come me. Nel 1950 ho mandato allo scrittore Francesco Perri8 un mio lavoruccio in versi endecasillabi, che ebbe la fortuna di vedere anche l’estero e di essere recensito in una rivista del Belgio. Lo scrittore Perri mi rispose così: “finalmente ho letto dei versi armoniosi dopo tanta poesia epilettica che si spaccia per poesia nuova”. Le ho voluto dir ciò, non per parlarle di me, ma per significarle che l’attributo epilettica è quello che meglio si attaglia alla poesia di Ungaretti, Montale, Quasimodo e compagnia. Anche prima del 1950 il poeta dilettante Roberto Mandel9 mi scrisse da Milano, chiedendomi dei versi. Io gli mandai quattro sonetti che egli volle pubblicare in una antologia poetica intitolata: “Poesia del nostro tempo”, della quale conservo una sola copia. Vi erano versi di molti dilettanti come me, ma nulla di quei tre sommi. Una sera, trovandosi il Mandel in compagnia di Marinetti10, gli volle leggere i miei sonetti e il futurista Marinetti disse che io sono un passatista. […..] Le auguro un felice anno nuovo suo Saverio Broussard
/ 7 /
Michele Rinaldi a Saverio Broussard, Napoli, 29 dicembre 1961
Illustre Avvocato ed Amico,
rispondo con un po’ di ritardo alla sua gradita lettera perché sono tutto preso da un nuovo studio sul Quasimodo. Non siamo solamente noi due a pensarla nella stessa maniera. Posso assicurarla che le lettere che mi giungono di consenso da parte di numerosi letterati italiani quali il Galletti, il Ramperti, l’Allori ed altri, che per brevità ometto, stanno a dimostrare che molta parte della sana cultura italiana è ormai satura di quest’arte bislacca e che da molte parti si sente il bisogno di un rinnovamento. […] Una cordiale stretta di mano suo Michele Rinaldi
/ 8 /
Pasquale Maffeo11 a Michele Rinaldi, Marina di Minturno, 2 gennaio 1962
Illustre Scrittore,
nei giorni scorsi ho avuto tra le mani il suo pregevole lavoro “La retorica di Ungaretti”, che ho letto con vivo piacere. Le mie idee, in fatto di poesia, si accordano con le sue, come vedrà da un mio volume di versi che le spedirò in questi giorni. Non posso quindi non plaudire al suo lavoro, chiaro nella impostazione e salutare nel contenuto. [….] Le auguro intanto un anno nuovo fecondo di opere e lieto di maggiori affermazioni, grato e onorato se vorrà esprimermi le impressioni che le susciteranno i miei poveri versi. Suo dev.mo Pasquale Maffeo
/ 9 /
Michele Rinaldi a Pasquale Maffeo, Napoli, gennaio 1962
Mio carissimo, giovane poeta e conterraneo,
vi dirò che ho letto con vivo interesse tutti i vostri canti: cuore caldo e cilentano il vostro e tanto vicino al mio se pur più vecchio. Certamente la vostra è vera poesia: è la poesia di Maffeo anche se, come dice Sparagna12, in qualche canto si sente la voce crepuscolare o quella leopardiana, o quella pascoliana. Ciò conta poco. Quel che conta invece è il bulino. I vostri canti, alcuni dei quali hanno un’apertura fresca e toccante, debbono essere sottoposti al lavoro della lima che è poi il tormento di tutti i veri grandi poeti. Fatelo pure voi con tenacia e passione questo lavoro lungo e tormentoso: vedrete che alla fine ne sarete contento. Se potessi permettermi di dare un consiglio vi direi: non scrivete troppe poesie; scrivetele solo quando la vostra carica emotiva sta per scoppiare. Difatti ho notato che i vostri canti si aprono tutti con una toccata svelta, chiara e calda; poi quella toccata si esaurisce con una certa sveltezza nel prosieguo e verso la fine del canto. Ma queste potrebbero essere mie impressioni di dettaglio. Quel che posso dirvi con tutta sincerità è che in voi c’è la stoffa del vero poeta anche se allo stato ancora grezzo. Io sono sicuro che ben altri canti scriverete in un prossimo futuro. [….] Abbiatevi sinceri e cordiali auguri vostro Michele Rinaldi
/ 10 /
Claudio Allori13 a Michele Rinaldi, Bagnoli di Napoli, 2 gennaio 1962
Gentile Professore,
[….] non fui meravigliato di aver trovato nella prosa di un medico di fama coefficienti di eleganza e di forza razionale. […] Ella ci ha dato una severa esegesi di Ungaretti che, forse, nessun altro critico ha saputo offrirci. Il suo studio mi è tanto piaciuto che l’ho segnalato al carissimo amico poeta Aldo Capasso14, direttore della grande rivista “Realismo lirico” ed egli mi ha manifestato il desiderio di leggerlo. […] Non temo le poesie, come ella dice, passatiste. Quando la poesia esiste, si manifesta pure attraverso terzine e sonetti, brillantemente, genialmente; e se non c’è, non vi sono ….. balaustrate di brezza sulle quali possa poggiarsi, oltre che … la malinconia del “poeta”, il nostro umilissimo assenso. Io sono tra coloro che pensano che, se un tale si illumina di immenso, deve spiegare come fa, come ha fatto per illuminarsi; e se non lo fa (come facevano Omero, Virgilio, Dante, Leopardi) è segno che dispone di zolfanelli, non di … sole. Leggerò sempre cose sue con molto piacere, caro Professore; e sono felice ancora una volta di sapere che il genio di Ippocrate illumina gli spiriti dei suoi fedeli non solo con luci di verità, ma pure con la magia della bellezza. Cordiali saluti Claudio Allori
/ 11 /
Anna Maria Barbarossa15 a Michele Rinaldi, Genova, 12 gennaio 1962
Esimio Professore,
inatteso e molto gradito mi giunse il Suo volumetto "La retorica di Ungaretti”. [….] Ho sempre seguito i Suoi "pezzi" storico - letterari su l’Iride. Elaborati che adesso mi riprometto, rileggere con cura insieme a qualcuna delle Sue poesie, per approfondire la conoscenza di un degnissimo Autore, che grazie a Dio la pensa come me sulla poesia moderna… e posso aggiungere anche sulla prosa. Scartati di proposito, tutti i classici, considerati sorpassati vecchiumi, abolita la metrica ed ogni inquadratura atta a sostenere un verso e soprattutto la "divina musicalità” che deve avere ogni componimento lirico, molti di questi disinvolti "aedi" della poetica moderna, presentano elaborati che non valgono, di più, di un inconsistente vaniloquio. Non parlo certamente dei "sommi" o per lo meno di quelli che sono arrivati sulla "cresta dell'onda”, per questo mi limito a dire che forse non li capisco. Portata dalla mia "passionaccia" sono abbonata a parecchie riviste letterarie ed è qui che talvolta trovo certi lirici componimenti che con tutta la mia buona volontà, non riesco a definire poesia. Faccio questi apprezzamenti, ma non sono una presuntuosa, perchè, anzi, amo tanto la Poesia da accostarmi con molta umiltà ad Essa e a giudicare con un'autocritica quasi feroce, la mia. Il mio forte (per modo di dire!) è la narrativa e le mie poesie le scrivevo solo per me e quasi sempre sotto l'imperio e dietro il fantasma di sensazioni o situazioni dolenti. Le mie prime (del 1958) stanno racchiuse nel piccolo librettino che Le accludo, che mi valse la qualifica di "Leopardiana " e il titolo di Membro Honoris Causa del Cenacolo G. Leopardi di Roma. Quelle scritte, in prosieguo di tempo, cioè nel 196I, ancora non sono state pubblicate. […] Rinnovandole i miei ringraziamenti, non mi resta che molto distintamente salutarla Anna Maria Barbarossa
/ 12 /
Salvator Gotta16 a Michele Rinaldi, Portofino, 7 febbraio 1962
Caro Sig. Rinaldi,
ho ricevuto il suo opuscolo “La retorica di Ungaretti”. Bravo! La penso perfettamente come Lei. Saluti cordiali Salvator Gotta
/ 13 /
Michele Rinaldi ad Anna Maria Barbarossa, Napoli, 9 febbraio 1962
Gentile Poetessa,
lo stemma che fregia il suo foglio intestato dice fra l’altro la nobiltà del suo animo17, del suo intelletto. Quella nobiltà è tutta racchiusa in quei versi dolenti. Si dolenti perché è il dolore che costituisce il suo nucleo emotivo fondamentale da cui partono quelle che io chiamo situazioni poetiche. E sono poetiche le sue situazioni! Non è certo il dolore leopardiano; io penso piuttosto al dolore della mamma, quel dolore che forse neanche il tempo riesce a mitigare. Ella sa che io sono di accordo con lei quanto alla confusione babelica che domina la poesia italiana di questo nostro tempo. Leggerà qualcosa di più completo che ho dedicato al Quasimodo e che sarà pubblicato sul prossimo numero de “L’Iride”. Mi ricordi spesso, gentile Poetessa, e mi ricordi dal mare di Portofino, come io la ricorderò dal mare di Posillipo. Si abbia una cordiale stretta di mano dal suo Michele Rinaldi
/ 14 /
Pasquale Maffeo a Michele Rinaldi, Marina di Minturno, 10 febbraio 1962
Illustre Professore,
ho ricevuto la vostra qualche giorno fa e vi ringrazio per la squisita gentilezza con cui, paternamente, avete voluto farmi giungere le vostre impressioni critiche e i vostri cari e preziosi consigli, che io terrò sempre in ottimo conto. [….] Vi ringrazio per l’ospitalità accordata al mio scritto sulle pagine della rivista L’Iride, della quale attendo con una certa ansia il prossimo numero anche per leggere la vostra critica al Quasimodo. Sarebbe bene, se non necessario, scrivere anche su Cardarelli e gli altri e quindi raccogliere in un bel volume da diffondere in tutta Italia. Ma forse ci avete già pensato. Abbiatevi i sensi del mio animo grato con molti cari saluti vostro Pasquale Maffeo
/ 15 /
Giuseppe Villaroel18 a Michele Rinaldi, Roma, 12 febbraio 1962
Caro Rinaldi,
che vi sia una frattura grave tra tutto il mondo classico della poesia italiana e l’attuale è ovvio e non è stato detto adesso, ma la frattura è in tutta la poesia moderna, anche fuori d’Italia, perché siamo passati dall’uomo sano all’uomo malato, dalla società valida e vigorosa alla società psicastenica ed isterica e l’arte è ormai prodotto di una vita patologica. Il suo studio su l’Ungaretti mette in rilievo una dolorosa verità: la malafede, l’ipocrisia, l’inettitudine, la vanità, l’ignoranza, la presunzione, l’arlecchinismo di una critica che fa schifo e vergogna. La colpa è di questa critica. Ungaretti, oltre alla lirica “Madre”, ha altre liriche accettabili: “Fiumi”, “Dolor...

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  1. “La congiura del silenzio” - Lettere di Michele Rinaldi e dei suoi corrispondenti (1960 – 1985)
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Premessa
  6. Presentazione
  7. Introduzione - Michele Rinaldi ed il suo movimento letterario
  8. Michele Rinaldi ed i suoi corrispondenti
  9. Epistolario