Natura e Vita
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L'opera contiene due conferenze tenute da Whitehead all'Università di Chicago nel 1933. In quest'epoca egli aveva già elaborato compiutamente la sua concezione filosofica e aveva già pubblicato le sue opere più importanti. Così nel presente scritto ci da un rapido schizzo dell'intero sistema, riassumendo nella prima parte la sua critica del materialismo e nella seconda le sue vedute positive. L'argomento è trattato in forma quasi divulgativa, in modo che la trattazione può costituire una facile introduzione alle opere maggiori di Whitehead, che sono molto più oscure e difficili. Naturalmente non ci si può attendere qui un'esposizione adeguata del pensiero dell'Autore: alcuni aspetti della sua filosofia vengono omessi; e importanti dottrine il cui sviluppo occupa altrove interi volumi vengono qui indicate in poche righe. Una conoscenza meno inadeguata richiederebbe la lettura di alcune almeno tra le opere fondamentali: lo studioso potrebbe ad esempio cominciare con "Il concetto della natura" e "La scienza e il mondo moderno" (entrambe tradotte in italiano) per passare quindi a "Process and Reality" che resta l'opera capitale dell'Autore. Alfredo North Whitehead nacque a Ramsgate, in Inghilterra nel 1861; morì a Cambridge (Massachusetts) nel 1947. Benché appartenesse alla stessa generazione di Bergson e di Husserl, la fama di lui come filosofo è relativamente recente. In realtà la sua produzione filosofica ebbe inizio piuttosto tardi, nel 1919, con la pubblicazione dell'Enquiry concerning the Principles of Natural Knowledge e andò intensificandosi soprattutto nel periodo americano della sua carriera, dopo che egli venne chiamato, nel 1924, ad una cattedra di filosofia presso l'Università Harvard negli Stati Uniti; la sua opera fondamentale: Process and Reality apparve soltanto nel 1929.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788892670259

INTRODUZIONE

Alfredo North Whitehead nacque a Ramsgate, in Inghilterra nel 1861; morì a Cambridge (Massachusetts) nel 1947. Benchè appartenesse alla stessa generazione di Bergson e di Husserl, la fama di lui come filosofo è relativamente recente. In realtà la sua produzione filosofica ebbe inizio piuttosto tardi, nel 1919, con la pubblicazione dell'Enquiry concerning the Principles of Natural Knowledge e andò intensificandosi soprattutto nel periodo americano della sua carriera, dopo che egli venne chiamato, nel 1924, ad una cattedra di filosofia presso l'Università Harvard negli Stati Uniti; la sua opera fondamentale: Process and Reality apparve soltanto nel 1929.
Anche ad uno studio superficiale egli appare subito come un pensatore di non comune potenza: colpiscono soprattutto la complessità e l'ampiezza di prospettive del suo pensiero. Uno dei tratti caratteristici della sua indole mentale fu la capacità di combinare da un lato una non comune attitudine agli studi specializzati entro un campo definito, all'analisi paziente ed accurata, dall'altro la diffidenza per lo specialismo, la prontezza a riconoscere i limiti di ogni acquisizione particolare e a cercare oltre una più vasta universalità. Così la prima fase della sua carriera fu dedicata alla scienza: alla matematica, alla fisica e soprattutto alla logica matematica; ma la seconda fase, cui egli diede inizio verso la sessantina, fu decisamente filosofica. Che egli sia riuscito altrettanto eminente nel campo della logica matematica quanto in quello della filosofia è cosa abbastanza notevole, e sembra anzi debba costituire una sorta di scandalo per alcuni moderni cultori della prima di queste discipline.
La filosofia di Whitehead non è naturalmente senza rapporto con la sua precedente attività di scienziato. Essa nasce dall'esigenza di una giustificazione dei procedimenti scientifici, e insieme da una critica delle astrazioni scientifiche. Tale critica accompagna costantemente l'elaborazione del pensiero di Whitehead in entrambe le fasi del suo sviluppo: la “filosofia della natura” e la “filosofia dell'organismo”. Dal problema della connessione causale tra gli eventi fisici egli è passato al problema della relazione in generale riuscendo ad unificare da questo punto di vista una gran massa di altre questioni. E nella trattazione dei vari problemi che egli ha fatto oggetto della propria investigazione e concernenti lo spazio, il tempo, il moto, la causalità, l'induzione, la vita, la conoscenza, l'ordine e il significato dell'universo, egli ha mirato costantemente a mostrare come tutte queste nozioni divengano un non senso se non si presuppone l'idea di una essenziale interconnessione delle cose; idea che non trova posto nella visione meccanicista che sta alla base della scienza moderna, e che implica invece una concezione organica dell'universo. Il meccanicismo moderno attribuisce alle cose un'esistenza separata; la filosofia dell'organismo nega invece questa concezione ed attribuisce ad ogni entità una natura essenzialmente relazionale. Troviamo in essa un particolare sviluppo della dottrina delle relazioni interne, e nella sua formazione è evidente, ed esplicitamente riconosciuto da Whitehead, l'influsso dell'idealismo hegeliano, specialmente attraverso Bradley. La divergenza di Whitehead da questo autore riguarda soprattutto la tesi della illusorietà b irrealtà del mondo temporale: egli dichiara di essere su questo punto a un poco più aristotelico” di Bradley. Einstein, Bergson, Leibniz e soprattutto Platone sono poi gli altri pensatori che maggiormente hanno influito nella formazione del sistema filosofico whiteheadiano.
Può esser interessante notare come la prima educazione dell'insigne scienziato-filosofo non sia stata scientifica ma umanistica. In alcune sue note autobiografiche (1) egli ricorda come alla scuola di Sherborne, dove rimase dai quattordici ai diciannove anni, i greci e regnavano supremi” nella mente dei giovani allievi, mentre invece l'insegnamento scientifico non era preso da loro molto sul serio. Naturalmente qui non si parla della matematica: già in quel periodo il giovane Whitehead veniva dispensato da alcuni altri obblighi scolastici, affinchè potesse dedicare più tempo a quella scienza.
Di carattere esclusivamente matematico l'insegnamento formale che egli ricevette al Trinity College di Cambridge, tra il 1880 e il 1885. Egli osserva però come le lezioni ufficiali non rappresentassero che un lato della sua formazione universitaria: l’altro lato era costituito dalla incessante conversazione amichevole tra gruppi di studenti ed ex studenti (fin da quei tempi egli si legò d'amicizia con Mc Taggart, il futuro filosofo hegeliano) sui più svariati argomenti di politica, religione, filosofia e letteratura; una conversazione a che aveva l'aspetto di un quotidiano dialogo platonico”. Così egli osserva che nell'insieme la sua educazione universitaria, col suo accento sulla matematica e sulla libera discussione amichevole avrebbe ottenuto l'approvazione di Platone”.
Nel 1898 apparve il suo primo libro: il Treatise on Universai Algebra, un'opera di argomento Iogico-matematico ispirata alle ricerche del Grassmann in quel campo. Veniva presentata come a prima parte” di un più ampio lavoro; essa valse all'Autore l'elezione a membro della Società Reale, nel 1903. In questo stesso anno Bertrando Russell pubblicava i suoi Principles of Mathematics. Anche in questo caso si trattava di un a primo volume”; e poiché i due autori si accorsero che il loro lavoro futuro copriva praticamente lo stesso campo decisero di unire i loro sforzi. Risultato di un decennio di collaborazione apparvero tra il 1910 e il 1913 i tre volumi dei Principia Mathematica, un'opera che è ritenuta tuttora dai competenti la più vasta sistemazione di logica matematica.
Naturalmente non intendo qui entrare nei particolari del contributo di Whitehead in questo campo. Vi ho semplicemente accennato poiché alla luce di esso acquistano maggiore interesse i successivi sviluppi del pensiero whiteheadiano. Esiste oggi un indirizzo filosofico ampiamente diffuso che vede nell' avvento della nuova logica la fine della metafisica. Soltanto l'imperfezione dei mezzi logici avrebbe permesso in passato di attribuire un senso alle questioni e alle tesi della metafisica, le quali sarebbero in realtà prive di senso; i recenti progressi della logica avrebbero tolto invece ogni illusione in proposito. È la tesi sostenuta da quell'indirizzo che viene solitamente designato col significativo nome di “positivismo logico”.
Ora, di fronte alle pretese di questa corrente può apparire interessante e curioso, benché naturalmente non decisivo, il fatto che un'autorità nel campo della nuova logica sia altresì l'autore di un complesso sistema metafisico. In realtà il pensiero di Whitehead si trova su molti punti in aspro contrasto col positivismo. È opportuno che ci indugiamo un poco ad esaminare questo contrasto: ciò costituirà un ottimo punto di partenza per introdurci alla concezione whiteheadiana del sapere ed alle vedute del nostro Autore circa la funzione della logica nell'ambito della filosofia; soprattutto potremo farci subito un'idea della struttura logica del suo sistema.
Uno dei contrasti essenziali riguarda la concezione dei rapporti tra filosofia e scienza. I positivisti mentre ritengono la metafisica priva di significato considerano invece la scienza significante ed autosufficiente. Essi sono persuasi che: “È tempo di abbandonare... la superstiziosa idea che la scienza non possa considerarsi logicamente rispettabile finchè la filosofia non abbia risolto il problema dell'induzione”. Al contrario Whitehead ha elaborato un vasto sistema metafisica, ed uno dei motivi che stanno alla base di questo è proprio la richiesta di una giustificazione del procedimento induttivo della scienza. Anche qui, come altrove egli è contro ogni forma di separazione. Storicamente ritiene che la scienza moderna presupponga la teologia medievale tra i fattori storici che resero possibile la sua formazione; in quanto quella contribuì all'affermarsi dell'idea di un “Ordine della natura” che è un presupposto necessario della ricerca scientifica. Ma anche da un punto di vista teoretico egli è persuaso che “la scienza presuppone la metafisica”, ed è proprio in vista di una “giustificazione razionale” dei metodi scientifici che egli è stato spinto ad elaborare una cosmologia filosofica e a toccare lo stesso problema teologico. Egli riconosce bensì il carattere di novità della scienza moderna. Ma egli vede nell'antitesi, storicamente innegabile, tra scienza moderna e tradizione metafisica, propria il lato deteriore della scienza stessa: il suo aspetto di irrazionalismo. Poiché se il Medio Evo fu “l'epoca della fede fondata sulla ragione” la scienza moderna sorse come “un movimento antirazionalista fondato su di una fede ingenua”, cioè sulla persuasione non giustificata che ogni fenomeno particolare possa servire da esempio per dei principi generali. Il successo meraviglioso ottenuto dalla scienza non è una giustificazione sufficiente delle sue basi; se essa non vuol ridursi ad una attività cieca deve integrarsi in una concezione metafisica che giustifichi i suoi presupposti. Questa integrazione implica però un'inversione dell'atteggiamento scientifico; polche mentre la scienza è un passaggio dal concreto all'astratto, la filosofia implica invece un ritorno dalle astrazioni scientifiche al concreto.
Ma la radice del contrasto di Whitehead col positivismo, sta nella sua concezione del sapere in generale. Per dare un'idea concreta della divergenza citeremo anche qui un'asserzione caratteristica, con la quale un filosofo che vien considerato l'iniziatore del movimento positivista riassume l'intero significato di un suo noto libro:
a Ciò che in generale può esser detto, può esser detto chiaramente, e se intorno a qualche cosa non è possibile parlare, allora bisogna tacere”.
È qui implicita una netta distinzione tra asserzioni che hanno un significato preciso ed asserzioni che non hanno alcun significato. Le asserzioni scientifiche vengono poi riconosciute come appartenenti al primo tipo, quelle metafisiche aI secondo. In tal modo la preoccupazione per l'esattezza porta questi filosofi a sacrificare tutta quella sfera di conoscenze (di pseudo-conoscenze per loro) che non possono venir espresse in termini precisi. Per quanto mi consta, l'autore citato non è direttamente discusso da Withehead. Credo tuttavia che riusciamo a caratterizzare nel modo migliore la posizione di Whitehead sul punto in questione se diciamo che a suo avviso ove si volesse applicare il principio citato si dovrebbe rinunciare a qualsiasi asserzione. È impossibile separare nettamente le proposizioni che hanno un significato preciso e quelle che non ne hanno alcuno. Se per i positivisti alcune proposizioni sono chiare e tutte le altre devono esser respinte, per Whitehead invece tutte sono oscure e tutte meritano di esser chiarite. Uno dei pregiudizi che la sua filosofia intende respingere è “la fiducia nel linguaggio come espressione adeguata delle proposizioni”. Nessuna frase può esprimere adeguatamente una proposizione, nè il significato di quella può mai essere analizzato in termini perfettamente chiari; il significato di una frase dipende sempre dal riferimento di questa ad uno sfondo non completamente analizzato, che è costituito dall'infinito universo. Così la filosofia non è che “il tentativo di esprimere l'infinità dell'universo entro i limiti del linguaggio”. Ma non si deve credere tuttavia che le scienze si trovino ad un livello di maggior precisione logica rispetto alla filosofia. Lo scienziato potrà bensì muovere da certe premesse rinunciando ad un'analisi profonda del loro significato. Di solito egli procede effettivamente così. Ma se, per avventura, nasce in lui l'esigenza di veder chiaro nei principi della sua scienza, allora cominciano le difficoltà: le recenti ricerche e controversie intorno alle nozioni fondamentali della matematica sono un'illustrazione di questa verità. Il procedimento dogmatico costituisce dunque una ragione d'inferiorità della scienza rispetto alla filosofia, e questa può anzi venir considerata, in proposito, come c un atteggiamento dello spirito di fronte a premesse accolte ignorantemente”. A differenza dello scienziato il filosofo critica ogni premessa, si sforza di determinarne nel modo più esatto possibile il significato e la sfera di applicazione; ed anche quando argomenta da premesse egli vede già in ogni parola e frase di cui esse sono composte l'argomento per una futura indagine. Questo è uno dei motivi per cui la pretesa di un sapere definitivo è “mera follia”.
Possiamo allora comprendere come Whitehead, pur avendo dedicato la maggior parte della sua attività alle ricerche logico-matematiche, si mostri piuttosto scettico di fronte all' ideale di un pensiero esatto. Egli si rende perfettamente conto dei limiti della logica, ed in uno dei suoi ultimi scritti osserva che “essa è uno strumento superbo, ma ha bisogno di uno sfondo di senso comune”, e conclude affermando che “1' esattezza è un inganno”. Così, benchè la metafisica di Whitehead sia la metafisica di un matematico, nulla è più lontano dalla mentalità whiteheadiana quanto la pretesa di costruire more geometrico il suo sistema. Il suo ideale del sapere è agli antipodi di quello cartesiano. Questo implica la possibilità di dedurre da premesse precise, delle quali si sia accertato il carattere di evidenza. Esso implica una netta separazione tra proposizioni che sono vere e soltanto vere, e proposizioni false e soltanto false. Di qui la necessità di accertarsi in modo rigoroso della verità delle premesse, onde evitare che l'intera costruzione risulti illusoria; e di qui anche quel senso di ansietà di fronte alla possibilità di errore che colora, sul piano emozionale, questo tipo di atteggiamento filosofico; ansietà che è tuttavia accompagnata, per un altro verso, da una certa dose di presunzione dogmatica: la presunzione di poter giungere ad una decisione definitiva nei confronti del vero e del falso. La concezione whiteheadiana è diversa, e più affine a quella di Leibniz. Essa è caratterizzata da un relativo ottimismo, e nello stesso tempo da un atteggiamento di diffidenza nei confronti della “definitività dogmatica”. Non vi sono proposizioni assolutamente vere; e tuttavia ogni proposizione contiene qualche elemento di verità. Così l'atteggiamento del filosofo non deve essere di diffidenza di fronte alla tradizione filosofica e scientifica e al senso comune. Egli deve accogliere le cognizioni provenienti da queste fonti e cercare di coordinarle in un sistema coerente: il vero problema è di chiarire il loro significato e stabilire in che senso esse sono vere.
Da questo punto di vista Whitehead è giunto a criticare una distinzione tradizionale concernente le nostre conoscenze. Questa distinzione risale a Platone e, in certo senso esprime qualche cosa di perfettamente ovvio. Si tratta della distinzione fra certezze e semplici probabilità. Al primo gruppo di conoscenze vengono comunemente attribuite da un lato le proposizioni concernenti la nostra esperienza immediata, dall'altro le verità universali e necessarie quali, ad esempio, i teoremi matematici; al secondo gruppo tutte le altre proposizioni che concernono le vicende del mondo della successione temporale, fatta eccezione per quegli aspetti di esse che esemplificano delle verità necessarie. Ma, benchè utile come approssimazione iniziale, questa precisa classificazione si dissolve ad una considerazione più attenta. Anzitutto nelle proposizioni d'esperienza immediata vi è una semplice “imitazione di certezza”: esse toccano la certezza per un istante, e subito la perdono: poiché memoria e interpretazione sono soggette a dubbio.
Ma anche le verità necessarie non sono immuni da difficoltà. Si consideri ad esempio la matematica: essa vien ritenuta “la roccaforte della dottrina della certezza”. Niente ...

Indice dei contenuti

  1. INDICE
  2. INTRODUZIONE
  3. NOTA BIBLIOGRAFICA
  4. PARTE PRIMA
  5. PARTE SECONDA