INTRO-DUZIONE
“È conforme alla natura della psicanalisi proporsi non già di descrivere ciò che la donna è […] ma di indagare il modo in cui essa diventa tale”.171
§ I tre capisaldi di questo studio
La trattazione teorica, che poi si rivelerà assai meno teorica di quanto non possa sembrare, si suddivide in tre componenti che troveremo saldamente presenti, associati in varie combinazioni, in ogni capitolo.
§ Primo: il potere di vita o di morte della donna
Il potere di vita o di morte della donna, non solo o non tanto nella sua libertà di uccidere i figli, come nel caso mitico di Medea (che è un caso molto particolare), ma anche e soprattutto per il solo fatto che la generazione, e cioè la possibilità della continuità dell’intero genere umano, dipende solamente, ed in modo regale, dalla decisione di generare o di non generare che è esclusiva scelta e potere della donna.
“La donna è nata con la funzione di crescere, conservare e propagare il genere umano e in ciò è perfetta”. Si può affermare che vi sia una tendenza a considerare la maternità come la più naturale e spontanea delle esperienze di vita di una donna. Ma tale posizione è asservita ancora una volta dallo sguardo maschile che tende a esprimere solo la connotazione positiva e gratificante della maternità rischiando di ridurne la complessità172.
La decisione di generare è angosciosa e angosciante per l’uomo che, certo non ad un livello cosciente, intuisce questo immenso potere; cosa che si riverbera nei suoi comportamenti nei confronti della donna. Sostanzialmente la teme, la asseconda, come quando ci troviamo di fronte ad un avversario più potente e perciò, non potendolo vincere, cerchiamo la sua alleanza. Infatti, scrive Nadia Fusini, “L’uomo teme la donna, dopo averla domata. Ha paura del corpo, del sesso, dopo averlo disciplinato nella grammatica duale”173. Invero la corporeità che la donna può offrire non ha nulla a che vedere con quella descritta dai saperi (maschili), perciò l’uomo non è più in grado di riconoscere, nella sua sorgività, né il corpo, né il sesso. Si trova di fronte a qualcosa di inatteso, di imprevisto, di non codificato, di non spiegabile attraverso la scienza maschile. E ovviamente ciò che non si conosce incute timore. L’uomo, per cercare scorciatoie, più spesso contrasta la donna e le usa violenza. Ciò è così vero che Clastres scrive:
Ben lungi dall’essere un oggetto di consumo o un soggetto sfruttato, le donne producono ciò di cui la società non può fare a meno se non vuole scomparire: i bambini, futuro immediato della tribù e suo lontano avvenire. Tutto questo è senza dubbio evidente, ma bisogna cionondimeno ricordarlo, tanto più che le spose dei guerrieri su questo argomento la sapevano lunga. Si è visto infatti che nel caso dei Chaco le donne decisero la morte delle tribù rifiutando di avere bambini. La femminilità è dunque la maternità, dapprima come funzione biologica, ma soprattutto come dominio sociale esercitato sulla produzione dei bambini […] In altri termini, emerge da tutto questo un’immediata prossimità tra vita e femminilità, tale che la donna è, nella sua essenza, essere-per-la-vita 174.
Aggiungiamo: essere per la vita ma anche essere-per-la-morte, perché vita e morte nella donna, grazie alla sua temporalità ciclica e non lineare, come quella maschile, “sono intrecciate come la notte intreccia tramonto e aurora”175. La donna produce vita in senso biologico ma anche simbolico (nascita), la donna produce il latte materno per il nutrimento (crescita), la donna è depositaria della sessualità con cui le specie sopravvivono (riproduzione), la donna è ancora una figura femminile quando, nel suo aspetto ctonio, ci riaccoglie nel grembo del nostro sepolcro (morte). Nascita, crescita, riproduzione e morte sono le forme mitologiche della finitudine: i quattro archi che compongono il ciclo, e non solo quello biologico, ma quello della natura e cioè, infine, della femminilità.
In uno dei suoi saggi più suggestivi, Il tempo delle donne, Kristeva contrappone la concezione femminile del tempo a quella maschile: quella femminile è ciclica, come la natura (ripetersi delle stagioni, dei movimenti degli astri), […] le due concezioni richiamano la differenza fra l’ordine semiotico della madre e l’ordine simbolico del padre176.
Il ciclo della vita (e ovviamente della morte) non può essere che femminile. Questa è un’immediata prossimità tra vita e femminilità, tale che la donna è, nella sua essenza, essere-per-la-vita. Questo è il crocevia che fa coincidere gli opposti (e che il maschile perciò o ignora o non comprende). Non a caso Freud introdusse una “riforma ancora più radicale nella sua dottrina: a rivedere, cioè, la teoria delle pulsioni introducendo la pulsione di morte […] Eros, Thanatos, Ananke”177. Tant’è che, come ricorda la Fusini,
la morte e l’amore da sempre intrattengono, sostiene Freud, una relazione ambivalente, e si presentano ambiguamente unite per l’uomo nel volto (o nei tre volti) della donna. Le relazioni fondamentali dell’essere maschio si stringono inevitabilmente al volto femminile; la vita si ritma per lui secondo l’alternanza di facce che la donna gli presenta: di madre che lo genera, di consorte che lo accompagna nell’esistenza, di morte che lo annienta. Ovvero di madre carnale, di donna amata, e di madre terra che lo riprende nel seno. Perché, aggiunge Freud, quando l’uomo è vecchio “solo la terra delle creature fatali, la silenziosa Dea della morte, lo accoglierà tra le braccia”. Questa è dunque la fantasia dell’uomo. Per lui la donna e il destino si intrecciano. La Moira, o le Parche, o la Sibilla, tutte tramano sullo sfondo dell’esistenza maschile un lato notturno, di morte, che è il rovescio della vita stessa178.
§ Secondo: il principio di identità e non contraddizione
La donna non sta al principio di identità e non contraddizione, e non perché non sappia farne uso, ma perché vive in essa la dimensione preponderante della specie che non risponde affatto a tale principio. Quindi l’uomo non può trovare il se stesso logico nella donna, non può riscontrare in lei la coerenza desiderata. La donna è il suo (di lui) inconscio, e perciò è l’esatto opposto della pace rassicurante e differenziante che l’uomo va inutilmente cercando. Quindi la considera semplicemente inaffidabile, imprevedibile. L’ambivalenza, proveniente dalla sfera del “sacro”, è θαῦμα, stupefacente e angosciosa. Questa considerazione non rimane affatto teorica; essa si riverbera immediatamente nell’assetto sociale, costituendo un nucleo critico, perché la divisione sociale dei sessi, dei ruoli, e quindi del lavoro, nasce dall’opposizione dei segni sessuali, cioè identitari, quindi tale opposizione, che si fonda sul principio di identità, produce gli effetti di realtà che noi possiamo personalmente constatare (e non il contrario, non quindi la realtà che produce le differenze). Dunque: differenza ideologica, e non biologica. La non obbedienza al principio, secondo Lou Salomé, consiste in questo:
vi è una coerenza nello sviluppo femminile determinato dalla propensione ad una minore differenziazione […] che la mantiene in un rapporto più omogeneo con il punto di partenza durante l’evoluzione. In essa assistiamo ad una restaurazione continua di quello che c’era in precedenza sia pure su un livello più elevato179.
§ Terzo: il tentativo di contenimento del potere femminile
La donna è dotata di una intersoggettività di gran lunga più spiccata dell’uomo, ha maggiore attenzione all’Altro e alla Cura, vive ogni cosa all’interno della custodia del “rapporto”, (come fa notare la Irigaray con le poche battute già viste: “La frase tipo prodotta da un uomo, risalite tutte le trasformazioni, è: ‘Mi domando se sono amato’ o ‘Mi dico che forse sono amato’. La frase tipo prodotta da una donna è: ‘Mi ami tu?’180). Il suo corpo è votato alla dualità, e perciò alla relazione ad essa sottesa. Nulla del genere può dirsi dell’uomo, che tutto questo non conosce. E se da un lato invidia questo accesso privilegiato alle “cose nascoste”, dall’altro lo teme e perciò cerca di dominarlo. Il dominio si esercita innanzitutto in modo ideologico, come mostrano gli esempi che seguono:
Nelle isole Trobriand i nativi considerano che i figli assomigliano tutti al padre pur nel disconoscimento totale di una sua implicazione nella generazione; al contrario alla donna viene riconosciuta, in quanto innegabile, la maternità, ma nessun figlio le assomiglia181;
Calame-Griaule riferisce che nella tribù dei Dogon si crede che nel maschio sia già presente l’architettura del futuro nato (la forma, per Aristotele). Lo sperma farebbe “coagulare” la materia informe, proprio come si trova in Aristotele (in Riproduzione degli animali, 738b 11-15). Quindi la donna è un’incubatric...