L'uomo d'Assisi
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L'uomo d'Assisi

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Nasce, tra il Dicembre 1181 e il Settembre 1182 da Pietro Bernardone dei Moriconi, ricco mercante di stoffe, e dalla nobile Signora Pica Bourlemont, un figlio a cui viene dato inizialmente (dalla madre) il nome di Giovanni.
Il padre, che al momento della nascita era in Francia per affari, quando ritornò ne cambiò il nome in Francesco e, con tale nome, fu ed è comunemente e generalmente conosciuto. Dopo aver condotto fino ai 24 anni una vita dissoluta ed aver provato la carriera militare (tra le altre fu fatto prigioniero dai perugini), San Francesco riceve in sogno la chiamata del Signore. Rinuncia pubblicamente nella piazza del Vescovado di Assisi agli averi paterni e si incammina con pochi seguaci verso una vita di preghiera e di obbedienza a "Sorella Povertà": Gli inizi sono molto difficili in quanto le idee di San Francesco sulla povertà e sulla semplicità della vita non sono comprese ne dalla gente e ne dal clero. E' questo il periodo del miracolo del lupo di Gubbio e della riparazione di San Damiano, di San Pietro alla Spina e della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli. Le gesta di San Francesco (il Poeta) non passarono inosservate e le genti di Assisi cominciarono a cambiare l'opinione su questo stravagante giovane e così, dopo qualche tempo, Gli si affiancarono i primi seguaci. Del primo seguace non ne è noto ne il nome e ne la fine. Pertanto la storia ci indica come primo "discepolo" Bernardo da Quintavalle (un mercante) seguito da Pietro Cattani (un giurista) (+10 Marzo 1221). In questo periodo San Francesco concepì (leggendoli dal Messale e dal Vangelo) i primi abbozzi di quella che poi sarebbe divenuta la regola Francescana: "Se vuoi essere perfetto va e vendi tutto quello che possiedi e donalo ai poveri, così avrai un tesoro in cielo.
Non portare alcuna cosa per via, ne bastone, ne bisaccia, ne calzari, ne argento.
Chi vuol venire dietro di Me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua". Ordine delle Trattazioni La costituzione dell'Uomo La follia dell'Apostolo La neurosi del Mistico La cecità del Veggente La morte del Santo

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788892679214

La follia dell’Apostolo

Allorquando, non ancor trentenne, verso il 1209 Francesco d'Assisi scese fra le genti ad iniziar la sua apostolica missione, non l'accolse certo dapprima quell'onda d'ossequio, d'entusiasmo, di devozione che solo in appresso doveva scaturir fremente dall'anima popolare. E come egli già in difesa della sua rivolta ideale soffriva le rampogne, le battiture, le maledizioni paterne, così ora a tutela della sua rinnovata esistenza egli si disponeva a sopportare gli schemi, le contumelie, le percosse dei compagni, degli amici, dei congiunti che in quell'uomo sfinito dai digiuni, esausto dalle veglie, livido nel volto e lacero nel vestito non sapevan riconoscere il brioso cavaliere, l'elegante giovanotto, il prodigo commensale alle cui spalle tanto spesso sbafavan giocondi e nobili e borghesi.
“Frivoli e sciocchi, beffati lui savio, il dicono impazzato e il fango della strada i disumani osali lanciare sul mansueto volto”.
Null'altra ragione infatti a quel radicale trasmutamentò seppero rinvenire i buoni assisiati fuor d'una accidentale deviazione della mente, fuor d' un improvviso “mancamento di cervello”, e l'additarmi quale pazzo, quale “alienaturn a sensu”, quale “insanum ac dementem”, ed ogni suo atto ed ogni sua parola imputarono all'inanizione ed alla follia: e ideo totum, quod agebat, exinanitioni et dementiae imputabant”.
E quella taccia di matteria non risparmiò neppure i primi seguaci di Francesco, di fronte ai quali permanevano gli uomini incerti fra il dispregiarli stolti o l'onorarli perfetti, di fronte ai quali fuggivan rapide le donne nella tema che vieppiù s'acutizzassero le lor sospette tendenze morbose: “mulieres et juvenculae fugiendo pavebant, ne forte stultitia et insania ducerentur”.
Molti lustri trascorsero, l'umanità manomise e ripristinò gli abiti esteriori e le intime convinzioni, i reggimenti degli stati e le usanze degli individui, i concetti del sapere e le formule del mangiare; molti lustri trascorsero, e la tesi della follia francescana, già gridata fra le strette viuzze dall'antica plebe ignara del valor dei vocaboli, riapparve essa pur rabberciata sull'ampie cattedre d'una scienza moderna pontificante con precision di termini. Quella nuova scienza che, nel prefisso suo sforzo di misurar con un unico metro, di pesar con una sola bilancia pazzi e geni, criminali e santi, diede al criterio dell'alienazione mentale un'estensione eccessiva ed arbitraria, confondendo la perversione del sentimento coll'ipertrofia dell'emotività, l'anormalità per difetto regressivo coll'eccezione da antiveggente esuberanza, equiparando la complessa sindrome morbosa col sin-torna psicopatico isolato, sulla pura base di questo proclamando l'esistenza reale di quella, come se in medicina generale il dolore bastasse per affermar la pneumonite lobare, l'inappetenza per la febbre tifoide, la dispnea per la miocardite cronica. Quella nuova scienza che, nel suo proposito deterministico d'identificare atteggiamenti precisati dello spirito con equivalenti funzionalità dei visceri, non pervenne però a dimostrare l'esatta ragione per cui una medesima degenerazione, per cui un'istessa neurosi ora esploda nel ripugnante impulso omicida ed or trasporti alla sublime ispirazione geniale, or si risolva nel disordine della convulsione motoria ed or s'elevi alla passione dell'estasi mistica.
L'imponente personalità di Francesco d'Assisi non doveva certo sfuggire alle indagini di questa scuola positiva, cui offriva anzi argomento d'appiglio lo stesso Tommaso da Celano nel suo infoschir di caricate tinte il ritratto giovanile del futuro apostolo, fino a rappresentarlo quale istigatore a turpi vizi ed emulo in balorde storditezze, “incentor malorum et aemulator stultitiae”. Oggidì rimane per altro pacifico che quest'esordiente sfondo a tono cupo intendeva al miglior risalto dei postumi tratti in vivide luci, resta pacifico che se il figlio di Pier di Bernardone appariva largo nello spendere e vanitoso nel vestire, proclive alle liete canzoni e spensierato nei chiassosi festini, serbava egli pur sempre la misericordia pei poveri ed il disprezzo pei lascivi, il riserbo nella parola e la purità nella carne. Del resto avanti il suo convertirsi anche Paolo di Tarso s'era mostrato violento, ubbriacone Francesco dei Borgia, iracondo Vincenzo de' Paoli, e per essi tutti, come per Assisiate, l’incomprensibile trasmutazione di pensieri e di costumi appunto contrasta all'ipotesi d'una depravazione originaria, d'un'immoralità costituzionale, quali, nella limitata cerchia almeno delle mediche concezioni,' s'additano come immutevoli nella lor radicata sostanza, come incorreggibili nelle loro appariscenti manifestazioni.
Fra l'argomentazioni della nuova scuola rimaneva però sempre quella semplicità spirituale del Poverello che una lieve mossa di sottile accentuazione poteva facilmente rovesciare entro il vasto calderone delle frenastenie, degli imbecilloidismi, degli arresti psichici, delle gracilità mentali. Ed in verità Francesco istesso amava chiamarsi semplice ed idiota; ma nel linguaggio dell'evo medio col nome di idioti, anzichè indicare i paria dell'intelletto od i diseredati dello spirito, si contraddistinguevano invece gli illetterati dagli eruditi, i laici dai sacerdoti; ma per semplicità, ma per sancta semplicitas s'intendeva fra i francescani quella virtù «che si gloria di temere Dio, e non sa dire o fare cosa cattiva; quella che, esaminando se stessa, non condanna alcuno; dà a chi è più degno il potere che gli spetta e non ne brama alcuno per sè; quella che stimando non essere le greche glorie le migliori, preferisce agire piuttosto che imparare o insegnare; quella che nell'interpretazione delle leggi divine lascia a chi vuol perdersi i giuochi di parole, gli ornamenti e le eleganze, le ostentazioni e le sottigliezze, e cerca non la corteccia ma il midollo, non l'involucro ma il nucleo, non le molte cose ma il molto, cioè il sommo e stabile Bene”.
Una tal concezione della semplicità emanava necessariamente da un'anima non ottenebrata ma fulgente, non arrestata nel suo sviluppo ma progredita nella sua evoluzione; e di buon proposito l'umbro poeta, cantando le laudi delle virtù, accoppiava la candida semplicità alla regale sapienza:
“Ave regina sapientia, Dominus te salvet, cune tua sorore sancta pura simplicitate”..
Or infatti se Francesco in sua gioventù non s'addottorò nelle teologiche discipline come pretese Matteo da Parigi cronista, non crebbe neppur refrattario ad ogni letteraria educazione, e mallis scientiae studiis enutritus”, come lo vollero Angelo da Clarena e Stefano di Bordone biografi; oltrechè a leggere ed a scrivere avendo egli acquisita una certa conoscenza del latino e del francese, il che nel dugento costituiva già, pel figlio d'un mercatante, una discreta cultura. E quelle sue prime limitate cognizioni seppe Francesco accrescere in seguito, lo precisa Bonaventura, non solo coll'orazione, ma anchecon lo studio, a non solum orando, sed etiam legendo”; e le parole dei Libri Sacri per l'intermezzo dei sensi penetrate fra la compagine del cervello vi s'incidevano a caratteri indelebili entro le cellette dei ricordi; e la verità delle Sante Scritture, apprese in umiltà dì conoscenza e senza presunzion di ricerca, si sviluppavano e si chiarivano nell'assiduità della meditazione, nell'incessanza della preghiera; e così, e così soltanto con stupefacente precisione, con ammirabil chiarezza il Poverello dilucidava i punti più oscuri dei Testamenti, i problemi più .difficili della religione, i misteri più elevati della fede.
Tanta perspicacia da maravigliar teologi, edificare cardinali e convincere pontefici, procedesse essa da una naturale potenza d'intuizione od emanasse in diretto dono dalla divinità, tanta perspicacia anche da sola torna certo sufficiente ad escludere in Francesco ogni e qualsivoglia forma di inferiorità mentale.
Ma tuttociò non basta per esaurire il corredo psichiatrico ad abbigliamento del Poverello recato dalla moda scientifica, e per diacucirlo necessitano precisamente gli istrumenti intessi che già servivano ad appuntarlo, e ad essi soli è giocoforza ricorrere anche se un sol strappo ne faciliti la disgiuntura, anche se inspiegabili miracoli e manifeste grazie ne affrettino la dilacerazione, porgendo all’apra un soddisfacimento di. soave gioia, una delizia di veritiera poesia che la coercizione dell'analisi soffoca, che spegne il (rigore del ragionamento.
E sulle spalle di Francesco d'Assisi si buttò il logoro mantello dei volgari disturbi del senso, delle illusioni, delle allucinazioni, equiparando Lui all'alcoolizzato, al demente, al paranoide che avverte le realtà insussistenti, che falsa le veridiche percezioni. E ad accrescere il bagaglio di tali alterazioni sensorie, vi s'intruser spesso anche i prodotti eterogenei dei sogni, se pur la viennese psicoanalisi ancor non era sopraggiunta a viemmeglio complicarne la misteriosa essenza, additandoli quali penetrazioni violente dell’incoscio nel campo obnubilato della coscienza, quali espressioni estemporanee di libidinosità arcaiche.
Aveva soli ventitrè anni, e l'animo esuberava di gmanie avventurose e di velleità cavalleresche, quando una notte, mentre appunto dormiva, “cum se sopori dedisset”, Francesco intese una voce che a lui offeriva un munito castello ed una sposa leggiadra, quali apparivan nitidi alla visione assonnata. Onde, fiducioso nell'indicazione del sogno, s'avviò egli verso il campo di Gualtiero di Brienne per offrire il sno braccio in difesa degli usurpati diritti d'una vedova e d'un pupillo. Ma incolto nel viaggio da grave morbo, mentre giaceva fra i brividi della febbre, una novella voce lo colpi nel dormiveglia, “andivit sernidormiens”, e svegliato prese a riflettere profondarnente sulle udite parole, “evigilans coepit de hac visione cogitare diligentissime”, ed allora soltanto ben comprese come al primo sogno si dovesse attribuire un significato spirituale e non un senso mondano, come non sotto gli ordini d'un uomo egli dovesse militare, ma combattere invece pel volere d'Iddio. Ed altri sogni riapparvero nella. vita dell'Assisiate quando più aspri pulsavano i dubbi nella sua mente, quando più numerose le preoccupazioni affollavano la sua esistenza; ed altre interpretazioni se ne porsero, ed altri presagi se ne trassero cui offriva indubitata conferma l'immediato avvenire.
Ma per quanto ripetuti, ma per quanto rinnovati essi restaron pur sempre sogni; sogni che non tralignavano dalla sana normalità nella lor riproduzione incosciente e deformata di emozioni già intensamente vissute, sogni che non divergevano dall'usanza corrente nella lor succensiva e vigile identificazione con evenienze di utile attuabilità. Chè se i razionalisti odierni dispregiano ogni supposto intervento sovrumano nel sogno, anche quando di esso, sopra metafisiche terminologie, costruiscon soltanto ipotesi fantasiose, gli stessi razionalisti additano la radicata tendenza dei popoli alla misteriosa personificazione dei sogni, presiedessero ad essi Apollo o Mercurio, Fauni o Sirene, i Genii mali d'Omero e d'Euripide od i notturni Eroi d'Esiodo e d'Ovidio; gli stessi razionalisti rimembrano come nel valor simbolico e profetico dei sogni abbian creduto Arabi e Caldei, Israeliti e Greci, Stoici e Pitagorici, Socrate ed Alessandro, Marc'Aurelio e Galeno, Schelling e Goethe, Bossuet e Napoleone; gli stessi razionalisti dimostrano come in sogno Cardano abbia risolto un quesito sulle febbri e Newton taluni problemi di calcolo, come in sogno Giovanni Duprè abbia concepito il suo Gruppo della Pietà e Giuseppe Tartini la sua. Sonata del Diavolo.
Di sonno e di sogni taccion per altro i biografi allorquando Francesco, prostrato in silente orazione avanti il crocefisso della deserta chiesuola di San Damiano, intese viva e precisa una voce ordinargli di riparare la rovinante casa di Cristo. E tale fu allora lo stupor tremebondo da renderne vacillanti i sensi ed inesprimibile l'emozione, e tal fu perentorio il comando da volgere Lui tosto al superficiale rabberciamento di rustici sacelli, prima di procedere all’intima rinnovazione dell’ammollita cristianità.
Ed altre voci dopo quel tempo udì Francesco con le sue orecchie corporee, “corporeis audivit auribus”, provenissero esse “dal cielo” o “nell'acre” vibrassero a suggerirgli la parabola che doveva decidere Innocenzo ad approvar la Regola dei Minori, a palesargli il travaglio che la declinante perfezione dei frati stava per arrecare al suo cuore paterno, a rivelargli l'eterna ricompensa che per Lui e pei suoi s'apprestava in paradiso.
Ed alle voci celestiali s'uniron pure gli strepiti diabolici a conturbare il Poverello che la malizia demoniaca cercava d' infiacchire non soltanto coll'eccitamento trasmodante dei visceri profondi, ma ancorcon le ripetute percosse della debole muscolatura, ma ancor coi terrori notturni delle ruine e degli sconquassi.
Siffatte apparenze di comunicazione fra esseri soprannaturali ed uomini eletti, contatti simili dei sensi terreni con emanazioni divine od escrescenze infernali trovaron pur accoglimento fra i teologi nella rubrica delle alienatio mentis, intese piuttosto nel senso etimologico di separazioni o di distacchi che non nell'uso odierno di pazzie o di infermità. Ne trattarono a lor volta i mistici dissertando di visioni corporee, immaginarie ed intellettive, od architettando i successivi gradi della scala ascendente verso l'estasi divina, ma ne trattarono in forma così imprecisata e così variabile da rendere la Chiesa cattolica sempre diffidente nell'accertamento di fenomeni tanto ill...

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  1. Ordine delle Trattazioni
  2. La costituzione dell'Uomo
  3. La follia dell’Apostolo
  4. La neurosi del Mistico
  5. La cecità del Veggente
  6. La morte del Santo