Morale e religione
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Il presente volume comprende i pensieri di morale e di filosofia religiosa contenuti nei cap. 7-14 del volume secondo dei Parerga, und Paralipomena e nei cap. 7-14 dei Nene Paralipomena. I Parerga und Paralipomena sono l'opera più importante dello Schopenhauer dopo il suo "Mondo come volontà e rappresentazione"; editi per la prima volta nel novembre 1851, contengono nel primo volume alcune operette per sé stanti, tra cui la più notevole è costituita dai noti "Aforismi di sapienza pratica"; nel secondo, una raccolta di riflessioni e di pensieri isolati, destinati originariamente ad essere inseriti nell'opera capitale ed ordinati in trentun capitoli. — Nei Nene Paralipomena il Grisebach, ha raccolto i frammenti postumi editi a più riprese dal Frauensteldt ed estratti dai mss. di Berlino; essi sono ordinati, ad un di presso, sotto gli stessi titoli dei Paralipomena.
Schopenhauer stesso considerava i Parerga und Paralipomena come un'esposizione popolare delle sue idee; ed è ben noto quanto essi abbiano contribuito a promuovere la conoscenza della sua filosofia. Così, noi osiamo sperare che questa parziale traduzione dei Parerga und Paralipomena giovi a diffondere in più ampia cerchia, anche in Italia, la conoscenza delle idee del grandissimo filosofo.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788892691872

CAPITOLO OTTAVO - SULLA RELIGIONE.

DEMOPELE. - Mio caro e vecchio amico, a dirla fra noi,. non mi piace che di tanto in tanto tu manifesti il tuo talento-filosofico con sarcasmi, anzi con aperti dileggi all'indirizzo della religione. Ad ognuno è sacra la propria fede e tale dovrebbe essere anche per te.
FILALETE. - Nego consequentiam Io non vedo come, a cagione della semplicità degli altri, io debba avere rispetto della menzogna e dell'inganno. Io stimo sovratutto la verità: ma appunto per questo disdegno ciò che ad essa si oppone. Il mio motto è: vigeat veritas, et pereat mundus, a cui corrisponde il fiat justitia, et pereat mundus, dei giuristi. Ogni facoltà dovrebbe averne uno analogo per divisa.
DEM. - Allora quello della medicina dovrebbe essere: fiant ptilulae, er pereat mundus — il quale ben facilmente potrebbe venir realizzato.
FIL. — Ce ne preservi il cielo l ogni cosa cum, grano salis.
DEM. - Benissimo: ma appunto perciò io vorrei che tu comprendessi anche la religione cum grano salis e ti persuadessi come si debba soccorrere al bisogno del popolo nella misura della sua capacità. La religione è l'unico mezzo che permette di rivelare e di rendere sensibile al rozzo sentire ed all'incolto intelletto della folla, profondamente immersa nelle cure vili e nel lavoro materiale, l'alto significato della vita. Poichè l'uomo quale esso è in genere, non ha originariamente senso che per il soddisfacimento dei bisogni e dei piaceri materiali, quindi soltanto per le distrazioni ed i divertimenti. I fondatori di religioni ed i filosofi vengono al mondo per scuoterlo dal suo letargo ed aprirgli l'alto senso dell'esistenza. I filosofi per i pochi, gli eletti; i fondatori di religioni per i più, l'umanità nel suo complesso. Imperocchè come già disse il tuo Platone, e tu non dovresti dimenticare. La religione è la metafisica del popolo, la quale deve ad ogni costo venir ad esso lasciata e perciò tenuta esteriormente in onore, poichè lo screditarla vorrebbe dire togliergliela. Come vi è una poesia del popolo e, nei proverbi, una saggezza del popolo, così deve anche esservi una metafisica del, popolo; imperocchè gli uomini abbisognano assolutamente di un'interpretazione del la vita e questa deve adattarsi al loro intelletto. Quindi essa è sempre un rivestimento allegorico della verità, e nel rapporto pratico e sentimentale, vale a dire, come norma della condotta e come balsamo e consolazione nel dolore e nella morte, essa offre forse altrettanto quanto potrebbe offrire la verità stessa, se noi la possedessimo. Non ti spiaccia la sua forma barocca ed involuta, in apparenza assurda. Tu, allo stato della tua cultura e della tua erudizione, non sai quali giri e rigiri siano necessari per poter avvicinare la verità profonda al popolo nella sua rozzezza. Le varie religioni non sono altro che vari schemi nei quali il popolo afferra e si rappresenta intuitivamente la verità a lui per se stessa inaccessibile, e che perciò sono per lui inseparabili dalla verità. Perciò, mio caro, non avertela a male, ma il dileggiarle è dar prova di spirito gretto ed ingiusto.
— Ma non è dar prova di altrettanta grettezza ed ingiustizia l'esigere che non debba esservi altra metafisica all'infuori di quella tagliata secondo il bisogno e la capacità del popolo? che le dottrine di questa debbano segnare il limite dell'indagine umana e la regola di ogni pensiero, per cui anche la metafisica della minoranza, degli eletti, come tu li chiami, non debba avere altro scopo fuorchè quello di affermare, consolidare e chiarire quella metafisica del popolo I che quindi le più alte energie dello spirito umano debbano rimanere inerti ed incolte, debbano anzi, venir soffocate in germe onde la loro attività non sia d'inciampo alla metafisica del popolo? Ed in fondo, forse che le pretese della religione mirano ad altro Forsechè tocca a chi è l'intolleranza, l'inesorabilità stessa predicare la tolleranza e la mite indulgenza I Io ne chiamo in testimonio i tribunali per gli eretici e le inquisizioni, le guerre di religione e le crociate, la cicuta di Socrate ed il rogo di Bruno e di Vanini! E se anche oggidì non è più il caso di parlare di ciò, che cosa può maggiormente ostacolare gli studi puramente filosofici, la sincera ricerca del vero, questo nobilissimo compito della parte più eletta dell'umanità, se non quella metafisica convenzionale, investita del monopolio dello Stato ed i cui principi vengono fin dalla prima giovinezza impressi così gravemente, così profondamente e così tenacemente in ogni cervello, che, quando questo non sia di una prodigiosa elasticità, vi restano incancellabili, onde è traviata per sempre la sua sana ragione, vale a dire è paralizzata e rovinata per sempre, in tutto ciò che riflette la religione, la sua capacità, del resto già debole, di assurgere ad un pensiero indipendente e ad un giudizio imparziale
DEM. — Ciò vuol dire soltanto che gli uomini si son fatti allora una convinzione a cui essi non vogliono rinunziare per accogliere la tua.
FIL. — Fosse almeno una convinzione fondata sull'intelligenza! Essa potrebbe venir combattuta con delle ragioni e dinanzi a noi si aprirebbe un campo su cui potremmo combattere con armi eguali. Ma le religioni sanno di rivolgersi non già alla convinzione con delle ragioni, bensì alla fede con delle rivelazioni. L'età più propizia per queste ultime è la fanciullezza; per conseguenza si ha sovratutto cura di impadronirsi di questa tenera età. Con questo mezzo, più ancora.che con mina.ccie o con narrazioni di prodigi, si riesce a radicare profondamente le dottrine della fede. Se fin dalla prima infanzia vengono ad un uomo ripetutamente esposte con straordinaria solennità e con una gravità da lui prima non mai veduta, alcune idee ed alcune dottrine fondamentali, non ammettendo intorno ad esse pur la possibilità di un dubbio o solamente accennando a questo come al primo passo verso la dannazione eterna, l'impressione che quest'uomo ne riceverà sarà così profonda, che ordinariamente, ossia in quasi tutti i casi, non potrà quasi più dubitare di quelle dottrine, come non può dubitare della propria esistenza; ed è per ciò che su molte migliaia di uomini appena un solo ha la forza di spirito di domandarsi seriamente e schiettamente: è vero questo? A coloro che sono in grado di far ciò si è dato, e più giustamente di quel che si credesse, il nome di spiriti forti, esprits forts. Ma per gli altri non vi è nessuna credenza, per quanto assurda e rivoltante, che, una volta entrata così a far parte delle idee religiose, non si radichi nella fede più ferma. Se per esempio, l'uccisione di un eretico o di un miscredente fosse posta come cosa essenziale alla futura salute dell'anima, quasi ognuno ne farebbe la cura principale della sua vita e nell'ora della morte attingerebbe dal ricordo dei successi ottenuti forza e consolazione; ed in realtà, un tempo, non v'era quasi spagnolo che non ritenesse un auto da fè come l'opera più pia e meglio accetta a Dio; a ciò fanno riscontro nell'India le associazioni religiose dei l'hugs, dagli Inglesi soppresse or non è molto per mezzo di numerose esecuzioni capitali, i cui membri davano prova della loro religiosità e venerazione alla dea Bali coll'uccidere, ad ogni occasione, i loro amici e compagni di viaggio per appropriarsi i loro averi, illudendosi seriamente di avere con ciò operato qualche cosa di lodevole e di vantaggioso per la loro salute eterna. La potenza dei dogmi religiosi inculcati fin dai primi anni è così forte da soffocare la coscienza ed in ultimo ogni senso di pietà e di umanità. Ma vuoi tu vedere coi tuoi propri occhi da vicino gli effetti di una precoce inoculazione della fede I osserva gli Inglesi. Vedi questa nazione che di tutte è la più favorita dalla natura, che più di ogni altra è dotata di intelletto, di spirito, di senno e di fermezza di carattere, e vedi come è caduta in basso, anzi, come si è resa spregevole per la sua stupida superstizione, la quale ordinariamente appare tra le altre sue doti come un'idea fissa, come una monomania. Di ciò essi debbono dir grazie al fatto che l'educazione inglese è in mano al clero, il quale ha sovratutto cura di imprimere nelle loro menti giovanili tutti gli articoli di fede così da produrre una specie di parziale indebolimento cerebrale che si manifesta per tutta la vita in quello stupido bigottismo; per il quale uomini, del resto di grande spirito ed intelletto, si degradano e destano in noi il più alto stupore. Ma ora, se noi consideriamo quanto sia essenziale per siffatto capolavoro che l'inoculazione della fede avvenga nella tenera età, l'opera delle missioni non ci apparirà più solamente come il culmine dell'indiscrezione, dell'arroganza e dell'insolenza, ma ci apparirà anche assurda, quando non si limiti a quei popoli che sono ancora allo stato di infanzia, come per esempio gli Ottentotti, i Cafri, gli indigeni delle isole del mar Pacifico ed altri simili, presso i quali essa ottenne un successo reale; mentre nell'India i Bramani accolgono i discorsi dei missionari con sorrisi di compiacente superiorità o con una crollatina di spalle ed in generale, ossia non tenuto conto dei casi più favorevoli, ogni tentativo di conversione fra questo popolo non ha avuto alcun successo. Una relazione autentica, nel volume XXI dell' Asiatic Journal dell'anno 1826, dice che dopo molti anni di propaganda non si trovano in tutta l'India (dove i soli possedimenti inglesi contano 115 milioni di abitanti) più di 300 convertiti viventi; e nello stesso tempo riconosce che i cristiani convertiti si distinguono per un'estrema immoralità. Sono così 300 anime venali e vendute, su tanti milioni. Non mi consta che d'allora il cristianesimo abbia fatto nell'India maggiori progressi; e ciò malgrado che i missionari cerchino ora, contro ogni accordo, di esercitare un'influenza nelle scuole esclusivamente dedicate all'insegnamento inglese laico per introdurvi clandestinamente il cristianesimo, obbligando in tal modo gli Indiani ad. esercitare la più rigorosa vigilanza. Poichè, come si disse, l'età che più d'ogni altra si presta ad accogliere il seme della fede è l'infanzia e non l'età matura, tanto meno poi quando vi abbia in antecedenza preso radice un'altra fede; la convinzione acquistata in seguito dall'uomo adulto ordinariamente non è che la maschera sotto cui si nasconde un interesse qualsiasi. Appunto perchè si sente che non può essere altrimenti, un uomo che in età matura muta di religione è in ogni luogo disprezzato dai più: parimenti costoro dimostrano appunto con questo disprezzo di ritenere la religione come il risultato non di una convinzione ragionevole, ma di una fede inoculata fin dai primi anni e ricevuta senza esame. E che essi abbiano in ciò ragione risulta anche - dal fatto che non pur la folla ciecamente credente, ma anche il clero di ogni religione, il quale come tale ha studiato le fonti e le ragioni ed i dogmi e le controversie di essa, aderisce nella sua totalità con zelo e fedeltà alla religione della propria patria; onde il passaggio di un ecclesiastico da una religione o confes sione ad un'altra è la cosa più rara del mondo. Così, per esempio, noi vediamo il clero cattolico perfettamente convinto della verità di tutti i principi della sua chiesa, e così pure quello protestante della verità della propria e vediamo che entrambi difendono i principi della loro confessione con pari ardore. Tuttavia, questa convinzione segue puramente l'indirizzo del paese in cui ciascuno è nato: così, per il clero della Germania meridionale è evidente la verità del dogma cattolico, ma per quello della Germania settentrionale quella del dogma protestante. Se dunque tali convinzioni dipendono da ragioni obbiettivo, queste ragioni debbono essere climatiche e, come le piante, alcune soltanto prosperare qui, altre soltanto là. Il popolo poi accoglie dappertutto in buona fede le convinzioni di questi convinti secondo la località.
DEM. — Ciò non fa nulla, nè è cagione di alcuna differenza sostanziale: il protestantesimo si adatta realmente meglio al settentrione, il cattolicismo al mezzogiorno.
FIL. — Sembra essere così. Ma io mi son posto da un più alto punto di vista ed ho di mira un oggetto più importante, vale a dire il progresso della conoscenza della verità nel genere umano. Per questa è cosa spaventevole che ad ognuno, qualunque sia il suo luogo di nascita, vengano inculcate fin dai prim: anni della giovinezza alcune affermazioni, con la raccomandazione di non porle mai in dubbio, ove non si voglia mettere in pericolo la propria salute eterna: in quanto queste affermazioni toccano il fondamento di tutte le altre nostre conoscenze, e quindi vengono così a stabilire per queste un dato punto di vista una volta per sempre, il quale, nel caso che esse siano erronee, rimane per sempre falsato: inoltre, intervenendo i principi che da esse vengono dedotti in tutto il sistema della nostra conoscenza, rimane così per essi completamente falsato tutto il sapere umano. Ciò confermano tutte le letterature, ma nel modo più decisivo quella del medioevo e meno, ma ancor sempre troppo, quella dei secoli sedicesimo e diciasettesimo. In tutti questi periodi noi vediamo le stesse intelligenze di primo grado come intristite da queste false rappresentazioni fondamentali e tolta ad esse, come da una parete, ogni penetrazione della vera essenza e dell'agire della natura. Imperocchè durante tutta l'epoca cristiana il teismo preme come un incubo su tutta al vita spirituale, specialmente filosofica ed impedisce od intristisce ogni progresso. Dio, il diavolo, angeli e demoni celano ai dotti di quell'età l'intera natura: nessuna indagine vien condotta a termine, nessuna questione vien esaminata a fondo; ma tutto ciò che oltrepassa i limiti di un nesso causale evidente vien messo a dormire per mezzo di queste personalità, col dire subito, come in un caso simile si esprime Pomponazzi: certe philosophi nihil verisimile habent ad haec, pare liecesse est, ad Deum, ad angelos et daemones recurrere (De incantat., c. 7). Quest'espressione in Pomponazzi può bensì esser sospetta di ironia, essendoci nota già altrimenti la sua malizia: tuttavia egli non ha fatto che esprimere con ciò il pensiero generale della sua epoca. Colui, per contro, che possedeva quella rara elasticità di spirito che sola poteva spezzare le catene, vedeva arsi i suoi scritti, se pur non veniva egli stesso arso con essi, come avvenne di Bruno e di Vanini. — Si può vedere nel modo più chiaro, ed anche sotto il suo aspetto ridicolo, quanto quella precoce preparazione metafisica intristisca appieno gli intelletti comuni, quando uno di questi intelletti si fa a criticare le teorie di una fede non sua. Ordinariamente non si constata in esso che la preoccupazione di dimostrare con la massima diligenza che i dogmi di quest'ultima fede non concordano con quelli della propria, facendo minutamente e non senza fatica osservare che in quelli non soltanto non è detta la stessa cosa che in questi, ma che, con tutta certezza, non vi si è pure inteso dire la stessa cosa.. Con ciò esso crede, nella sua semplicità, di aver provato la falsità delle dottrine della fede non sua. Ed in realtà, non gli cade neppur in mente di domandarsi quale delle due possa aver-ragione; ma i suoi articoli di fede costituiscono per lui principi certi a priori. Un piacevole esempio di tal specie è fornito dal Rev. Mr. MORRISON nel volume XX dell'Asiatic Journal,. ove egli critica la religione e la filosofia dei Cinesi — in un modo che è un piacere.
DEDI. — Questo è dunque il tuo punto di vista superiore.. Ma io ti assicuro che ve ne ha uno più alto ancora. Il primula vivere, deinde philosophari ha un senso molto più ampio che a prima vista non appaia. — Ciò che è anzitutto necessario si è di frenare gli animi rozzi e cattivi della folla in modo da trattenerli dalle ingiustizie peggiori, dalle crudeltà, dalle prepotenze e dalle male azioni. Se per far ciò si volesse attendere-che gli uomini avessero conosciuta e compresa la verità, si giungerebbe immancabilmente troppo tardi. Imperocchè anche supposto che fosse già trovata, essa supererebbe sempre la loro intelligenza. In ogni caso, ad essi si adatta meglio un rivestimento puramente allegorico della medesima, una parabola, un mito. Come Kant ha detto, vi deve essere una pubblica bandiera del diritto e della virtù, anzi, essa deve sventolare in ogni tempo. È, in fondo, indifferente quali figure araldiche vi sono dipinte, purché esse rappresentino ciò che si è voluto rappresentare. Per l'umanità in generale, una simile allegoria della verità è in ogni tempo ed in ogni luogo un valido surrogato -della verità, che in se stessa le rimane eternamente inaccessibile e soprattutto della filosofia, che sarà sempre superiore alla sua intelligenza; tanto più che quest'ultima cambia figura ogni giorno ed in nessuna di esse è giunta ad essere universalmente riconosciuta. I fini pratici, o mio caro Filalete, vanno avanti sotto ogni rapporto a quelli teoretici.
— Ciò coincide probabilmente con l'antico consiglio del pitagorico Timeo di Locri, ed io dubito che, secondo la moda del giorno, tu voglia farmi capire che: < S'avvicina, o buon amico, il tempo — In cui potremo godercela e spassarcela in pace » e la tua raccomandazione si riduce a dire, che dobbiamo curare a tempo che la folla tumultuante dei malcontenti non abbia poi a turbarci mentre siamo a tavola. Ma questo punto (li vista è altrettanto falso, quanto oggi è trionfante ed universalmente lodato; io mi affretto quindi a far valere contro di esso la mia protesta. È falso che lo Stato non possa mantenere il diritto e la legge senza il concorso della religione e dei suoi articoli di fede, che la giustizia e la polizia abbiano bisogno, per mantenere l'ordine legale, della religione, come del loro complemento necessario. Tutto ciò è falso, quand'anche venga ripetuto le migliaia di volte. Una reale e decisiva instantia in contrarium ci è fornita dagli antichi, in ispecie dai Greci. Essi non avevano affatto ciò che noi intendiamo per religione. Essi non avevano documenti sacri, non dogmi che venissero insegnati, che ognuno dovesse assolutamente ammettere ed imprimere nella propria mente fin dai primi anni. — Tanto meno veniva dai ministri della religione predicata la morale, od i sacerdoti si preoccupavano di una moralità qualsiasi, od anche solo di ciò che gli uomini dovessero in generale operare od evitare. Nulla (li tutto ciò! Il dovere dei sacerdoti estendevasi unicamente alle cerimonie del tempio, alle preghiere, ai canti, ai sacrifizi, alle processioni, alle lustrazioni e simili, il che non aveva per fine il miglioramento morale dell'individuo. Tutta la cosiddetta religione consisteva puramente in ciò, che alcuni dei Deorum majorum gentinm avevano, di preferenza nelle città, l'uno qui, l'altro là, i loro templi, in cui veniva per ordine dello Stato tributato ad essi detto culto, il quale era quindi in ultima analisi, un atto amministrativo. Nessuno, all'infuori dei funzionari partecipanti, aveva bisogno di assistervi od anche solo di credervi. In tutta l'antichità non vi è traccia dell'obbligo di credere ad. un qualche dogma. Unicamente chi negava in pubblico l'esistenza degli dei o altrimenti li denigrava, era punibile in quanto offendeva lo Stato che ad essi prestava un culto: ma all'infuori di ciò, ognuno era libero di averli nel conto in cui credeva. Piaceva ad alcuno di acquistarsi privatamente per mezzo di preghiere e di sacrifici, il favore appunto di quegli dei? egli era libero di fare ciò a sue spese e a suo rischio: non lo faceva l nessuno aveva qualche cosa da opporgli: tanto meno lo Stato. Presso i Romani, ognuno aveva a casa sua i propri lari e penati, i quali non erano, in fondo, che le immagini venerate dei suoi antenati (ApuLarus, de Deo Socratis, e. 15, vol. II, p. 237, ed. Bip.). Circa l'immortalità dell'anima e la vita dopo morte, gli antichi non avevano alcun concetto fisso, preciso o per lo meno fissato dogmaticamente, ma soltanto delle rappresentazioni incoerenti, fluttuanti, indeterminate e problematiche che ognuno foggiava a modo suo:.ed altrettanto varie, individuali e vaghe erano le rappresentazioni che ognuno facevasi degli dèi. Quindi gli antichi non avevano realmente una religione nel senso che noi diamo a questo termine. Hanno forse perciò regnato fra essi l'anarchia e l'arbitrio non sono piuttosto la legge e l'ordinamento civile Al tal punto loro opera, che ancora formano il fondamento della nostra legge e del nostro ordinamento. Non era la proprietà perfettamente sicura, quantunque consistesse per la maggior parte in schiavi? E non durò questo stato di cose oltre un millennio.
Io non posso, dunque, riconoscere i fini pratici e la necessità della religione, nel senso da te indicato ed oggidì tanto in favore, ossia come fondamento indispensabile di ogni ordine legale e debbo, anzi, protestare contro di ciò. Poichè da un tale punto di vista, la pura e santa aspirazione verso la luce e la verità apparirà per lo meno donchisciottesca e, quando essa ardisca, nel sentimento del suo diritto, denunciare la religione dello Stato come usurpatrice, come quella che ha occupato il. trono della verità e se ne mantiene in possesso col mezzo di un continuo inganno, anche delittuosa.
DEM. - La religione non è però in opposizione alla verità giacchè essa medesima insegna la verità. Senonchè, non indirizzandosi essa ad un ristretto uditorio, ma al mondo ed alla umanità nel suo complesso, essa non deve, per adattarsi all'intelligenza ed al bisogno di un pubblico così grande e così vario, presentare la verità nuda, o, per usare un paragone medico, darla allo stato puro, ma servirsi di un solvente, di un veicolo-mistico. A questo riguardo, tu puoi altresì paragonarla a certe sostanze chimiche gazose che per venir usate nei laboratori, o per venir conservate o spedite in altro luogo debbono essere unite ad una base solida, palpabile, affinchè non si volatizzino: ne abbiamo un esempio nel cloro, il quale per tutti questi usi viene impiegato soltanto sotto forma di cloruri. Nel caso poi che la verità nuda ed astratta, spoglia da ogni mito, dovesse rimanere per sempre inaccessibile a noi tutti ed anche ai filosofi, essa dovrebbe venir paragonata al fluore, il quale per sè solo non può venir estratto allo stato puro, presentandosi esso. sempre soltanto in unione ad altre sostanze. O, meno scientificamente: la verità, che in generale non può venir altrimenti espressa che sotto forma di mito o di allegoria, rassomiglia all'acqua, che senza vaso non può venir trasportata; ed i filosofi., che si ostinano a voler possedere la verità allo stato di purezza, rassomigliano a colui che spezza il vaso per avere l'acqua sola. Forse è realmente così. Ma in ogni caso, religione è la verità allegorica espressa sotto forma di mito e per questo mezzo resa accessibile e digeribile all'umanità in generale, poichè allo stato di purezza essa non le si potrebbe contare in nessun modo; alla stessa guisa che non si confà a noi l'ossigeno puro, ma per la vita è necessario che sia accompagnato da 4/, di azoto. E senza metafore: il senso profondo e l'alto fine della vita possono venir aperti e presentati al popolo soltanto simbolicamente. La filosofia, al contrario, dev'essere, come i misteri eleusini, per i pochi, per gli eletti.
FIL. — Ho compreso: si tratta di rivestire la verità coll'abito della menzogna. Ma con ciò essa entra in un'alleanza funesta. Infatti, quale arma pericolosa non vien posta in mano a coloro che vengono autorizzati a servirsi della menzogna come veicolo della verità! Così stando le cose, io temo che il danno della menzogna sia maggiore dell'utile della verità. Certo, se l'allegoria venisse data per quello che è non ne risulterebbe quel gran male: ma allora le sarebbe tolto ogni rispetto e così ogni efficacia. Perciò essa deve venir data ed &fermata come vera sensu proprio, mentre è tutt'al più vera sensu allegorico. In ciò sta il danno senza rimedio, l'inconveniente indeclinabile, per cui la religione è in costante conflitto con la nobile e serena aspirazione verso la verità.
DEM. — Eppure non è così: poichè anche a ciò si è pensato. Se anche la religione non afferma immediatamente la sua natura allegorica, essa vi accenna tuttavia in modo sufficiente.
Dum. — Con i suoi misteri. Anzi, la parola «mistero, iu fondo non è altro che il terminas technieus teologico per l'allegoria religiosa. Ed è altresì vero che tutte le religioni hanno i loro misteri. Propriamente, un mistero è un dogma evidentemente assurdo, il quale cela però in sè un'alta verità completamente inaccessibile al volgare intelletto della rozza moltitudine; esso riceve in buona fede sotto il suo velo questa verità, senza lasciarsi indurre in errore dalle assurdità anche per esso evidenti; con ciò partecipa, in tutta la misura che gli. è possibile, al ...

Indice dei contenuti

  1. INDICE
  2. AVVERTENZA
  3. CAPITOLO PRIMO - RIFLESSIONI SULL' ETICA
  4. CAPITOLO SECONDO - SUL DIRITTO E SULLA POLITICA.
  5. CAPITOLO TERZO - SULLA DOTTRINA DELL'INDISTRUTTIBILITÀ DEL NOSTRO VERO ESSERE NELLA MORTE.
  6. CAPITOLO QUARTO - STILLA DOTTRINA DELLA VANITÀ DELL'ESISTENZA
  7. CAPITOLO QUINTO. - SULL'INFELICITÀ DELL'ESISTENZA.
  8. CAPITOLO SESTO - DEL SUICIDIO.
  9. CAPITOLO SETTIMO - DELL'AFFERMAZIONE E DELLA NEGAZIONE DELLA VOLONTÀ DI VIVERE.
  10. CAPITOLO OTTAVO - SULLA RELIGIONE.
  11. CAPITOLO NONO - NOTE SULLA LETTERATURA SANSCRITA.
  12. CAPITOLO DECIMO - ALCUNE CONSIDERAZIONI ARCHEOLOGICHE.
  13. CAPITOLO UNDICESIMO - ALCUNE CONSIDERAZIONI MITOLOGICHE.