Antèosi

Giancarlo Laghezza

• Editore: Youcanprint
• Anno: 2018
• ISBN:
  9788827812372
• Argomento: Letteratura
• Categoria: Poesia

ANTÈOSI è un'ulteriore raccolta di componimenti, scritti in tempi diversi, che sono nati spontaneamente dallo stato d'animo dell'autore. Si spera che la lettura possa offrire le stesse emozioni di chi li ha scritti.

ANTÈOSI è una libera trasposizione in italiano dal verbo greco “fiorire” (ἀνθέω), nel senso di fioritura o, se volete, di fiore in fiore. Se quello che leggerete riterrete possa essere poesia, mi farà piacere. Purtroppo, però, devo condividere l’assioma che la poesia non dà ricchezza, ma a me basta che accarezzi l’anima.

Siamo onde…

Siamo onde che s’intrecciano,

s’infrangono,

spianano la spiaggia,

coprono le orme

alla battigia.

Eterno duello tra me e te,

come il susseguirsi di rondini

nel cielo terso d’aprile.

Tra le nubi lievi

e la terra che s’imbruna,

allo svanir del sole

si porgono i sogni.

Ascoltami, se puoi.

Tutto scivola, s’impenna,

ricade e sfuma,

come il senso della vita.

Resta nel tempo solo

un ricordo di te:

non lo turbare,

è delicato come il sogno

che ci ha tenuti insieme.

Solo un volto…

Solo un volto e il silenzio

per osservare la luce

nel buio dei tuoi pensieri.

E vengo a te e ti guardo.

E t’amo, se t’amo, o dolce,

sui rami del mio cuore

e fra le sue fronde odo

la tua anima e il tuo ardore.

Sento vibrare il vento,

come l’arpa le sue corde

e penso che forse una rondine

ha fatto il nido sul mio greto.

Ora ti vedo, s’è fatta luce.

Sbocciano rose in primavera

e tu mi sfiori come fossi

una farfalla e io un fiore.

Sono i fiori…

Sono i fiori che arringano i poeti

a far librare api e calabroni

giù per le chine che s’affacciano

alle terse acque dei torrenti.

Noi che andavamo erranti

per strade colme di pioggia

a inseguir serpenti, se ricordi.

Caro amico, erano istanti

di poco o nulla distanti dai lievi

sobbalzi che dava ai nostri cuori

commentare Dante e la Divina,

per tediarci nei meriggi degli esami.

E i profumi lenivano i sogni

che fregiavamo con miseri versi,

mentre nell’aria vagava

il suono d’una campana a graffiar la sera

e l’onda arcana del silenzio giungeva

a colmare il tiepido tramonto.

Su un letto di terriccio e foglie,

il sognar eteree donne,

di morbida pelle e filigrana,

bruciava tempo e voglie.

L’uggia ghermiva infine i pensieri,

resi lievi da un fruscio di fronde

d’alti pioppi e dalle lente,

labenti, acque del torrente.

Gli uomini…

Gli uomini passano,

gli occhi li fermano nel tempo.

Noi che guardiamo

non siamo immobili,

li seguiamo, fissiamo i ricordi:

in essi è specchiato

quel che resta di loro.

Il loro tempo e il nostro

son come foglie di una stessa pianta,

che il vento porta via,

una ad una.

Ricordo acerbo…

Ricordo acerbo d’un volo

sino a Bologna e i tuoi

occhi velati come avessi

un senso di colpa.

Io e te soli e quella carezza

che sento ancora sul volto.

E poi un letto di spine.

Le sofferenze nella tua testa,

la diagnosi che ripetevi,

come fossi stato un chirurgo.

Quel libro che leggesti

e che lessi di Olivecrona,

di un viaggio intorno al cervello.

Avevi capito.

Partimmo in due e tornai solo.

Era quasi Natale, quell’anno,

e fu quello il regalo.

Il tuo sogno spezzato

come un ramo che cede,

di portare con te i nipotini

nella “seicento” in campagna

o trascorrere tempo con loro

ai giardini, vicini alla scuola,

lo sentii dentro e ancora mi preme.

Sogni perduti, infranti,

come bicchiere di vetro che ...

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