Fake Revolution
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Le campagne elettorali degli ultimi anni sono accompagnate da un ampio dibattito sulle fake news e sulle logiche del potere al tempo di Internet e dei social networks: è la rivoluzione del fake, sempre più protagonista nell'arena politica dei nostri giorni.
Il marketing elettorale e le manipolazioni dell'informazione non sono fenomeni recenti, ma solo con la Rete si è arrivati ad annullare le distanze sul piano dello spazio e delle gerarchie. Il caso di Alex Anderson, finto candidato alla presidenza degli USA nel 2016, è il simbolo di questa nuova stagione politica: il congressman frutto della fantasia di un autore italiano ottiene seguito e consenso perché costruito in maniera credibile. Non è vero, ma verosimile, e questo basta in una società in cui le notizie si susseguono così velocemente da non poter essere verificate con attenzione.
L'analisi della campagna elettorale di Anderson è ripercorsa con continui riferimenti storici e presenta un interrogativo di fondo: non è stata altro che una democratica illusione?
La tesi di laurea dell'autore, presentata in veste editoriale e arricchita dalla prefazione di Alessandro Nardone – il "vero" Alex Anderson – prova a dare una risposta.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788827815823
Argomento
Business
Categoria
Marketing
CAPITOLO QUARTO
LA DEFINIZIONE DEGLI STRUMENTI E LA MEDIA RESEARCH

Ogni messaggio postato su Internet, a prescindere
dalle intenzioni dell’autore, diventa una bottiglia che
galleggia nell’oceano della comunicazione globale
Manuel Castells
Comunicazione e potere
TUTTI I MODELLI TEORICI DELLA COMUNICAZIONE POLITICA – a partire dai due più accreditati, il modello “pubblicistico-dialogico” e il modello “mediatico” – introducono nello spazio pubblico tre soggetti coinvolti in una dinamica marcatamente relazionale: il sistema politico, l’insieme dei cittadini e il sistema dei media. Il fenomeno della mediatizzazione della politica – che ha conferito ai mezzi di comunicazione di massa un ruolo preminente nell’arena politica contemporanea – ha ridefinito i rapporti di forza fra i tre attori: i media si identificano largamente con lo spazio pubblico e l’azione politica si sviluppa oggi all’interno di uno spazio mediale nel quale avviene l’interazione tra esponenti politici e cittadini-elettori. Per questo motivo nelle democrazie postmoderne nessuna campagna elettorale può prescindere dal ricorso ai media, e nessun candidato può pensare di competere con gli altri soggetti politici senza una strategia che consideri l’utilizzo di strumenti mediali.
Il piano media è una delle ultime fasi della campagna elettorale, dopo l’analisi del contesto – che definisce lo scenario competitivo –, la definizione dei contenuti e l’individuazione dei pubblici ai quali correlare gli obiettivi della campagna. È una fase nella quale devono essere ideate, progettate e, soprattutto, realizzate le azioni comunicative. Un piano media ha dunque come obiettivo l’individuazione dei mezzi di comunicazione, tradizionali e innovativi come il web 1.0 e 2.0, attraverso i quali […] comunicare in maniera integrata e credibile il tema, il programma, le proposte.87
Un candidato come Alex Anderson, la cui esistenza non poteva oltrepassare i confini dell’ecosistema mediatico (Nardone dovette dichiarare la sua natura fake proprio dopo i primi inviti a confronti in palcoscenici “reali”), trova in questa nuova realtà terreno fertile e può concentrare tutte le attenzioni su un piano media che costituisce l’essenza della sua campagna elettorale. Non ha collegi elettorali da presidiare, il vero “distretto” in cui è candidato risulta essere quello dei media digitali. Grazie a questi ultimi viene parificato ai candidati che stanno conducendo la campagna elettorale anche offline: Cacciotto osserva che «negli Stati Uniti i media sono in grado di costruire in breve tempo notorietà per qualsiasi candidato, anche se quest’ultimo non ha seguito il cursus honorum della politica»88. Alessandro Nardone conferma questa tesi parlando direttamente della sua esperienza: «in due mesi, nonostante mi trovassi a 10.000 chilometri di distanza dai luoghi della campagna elettorale, sono riuscito a creare attorno alle idee di Alex Anderson un seguito maggiore rispetto a quanto fatto da alcuni candidati reali. Mi rimarrà sempre impresso il distacco tra Alex Anderson e un politico di lungo corso come l’ex governatore della Virginia Jim Gilmore, che ancora oggi su Twitter ha un quinto dei follower di Alex»89. È il “potere della Rete” – espressione spesso usata con una connotazione negativa dai cosiddetti cyberscettici – che sembra offrire la possibilità di creare, citando Giansante90, “organizzazioni senza organizzazione”.
La campagna per le elezioni presidenziali statunitensi del 2016 ha poi rappresentato, in maniera più plastica rispetto al passato, le potenzialità del web nel sovvertire le logiche politiche e comunicative che hanno dominato la scena pubblica fino ai primi anni del XXI secolo. Tralasciando lo “scandalo informatico” che ha travolto Hillary Clinton e la «manipolazione degli algoritmi per togliere visibilità»91 ad alcuni soggetti politici da parte dei principali social networks (Facebook accusata da alcuni ex dipendenti di omettere notizie di impronta conservatrice dalle popular news, l’attivista di Wikileaks Julian Assange che denuncia l’appoggio di Google e Twitter alla Clinton a danno di Bernie Sanders), è sulle diverse modalità di gestione degli strumenti digitali da parte dai candidati che occorre soffermarsi per completare l’analisi della campagna fake di Alex Anderson. Alessandro Nardone, che ha trascorso gli ultimi giorni di campagna elettorale negli States visitando alcuni comitati elettorali di entrambi i partiti, illustra le profonde differenze tra i due candidati a livello organizzativo:
Prima di partecipare all’ultimo grande evento della campagna elettorale di Hillary Clinton, ho deciso di andare a visitare il quartier generale repubblicano della Pennslvania per capire come fossero organizzati e quale aria tirasse da quelle parti. Una volta arrivato a destinazione, mi è subito sembrato che ci fosse qualcosa che non andava. Sì, insomma, pensai, non è possibile che sia questa la sede principale della campagna di Trump in uno stato chiave come la Pennsylvania!
Una volta varcata la soglia mi trovai in un minuscolo ufficio in cui lavoravano, stipate, quattro persone. […] Forse, uno degli aspetti se vogliamo più romantici di questa tremenda campagna elettorale è stato proprio questo, ovvero che a vincere sia stato Davide Trump contro Golia Clinton e tutto il suo smisurato dispiegamento di spin doctor, star dello spettacolo, media e chi più ne ha più ne metta.92
In questa breve testimonianza emerge in maniera chiara il diverso approccio al mondo del web dimostrato dai due contendenti. Alla base c’è una sostanziale differenza di visione: Hillary Clinton decide di usare tanti “filtri” che possano rendere la sua immagine quasi perfetta (consulenti, mental coach, endorsement da parte di personaggi influenti, rapporti privilegiati con operatori dei media tradizionali), Donald Trump preferisce abbattere ogni filtro tra sé e gli elettori 2.0 (usa un linguaggio semplice e spesso colorito, mostra le sue debolezze e ostenta le sue ricchezze, parlando direttamente all’“americano medio” e non ad un’immagine idealizzata del popolo americano). Non è forse un caso che a vincere le elezioni sia stato il candidato che ha saputo declinare meglio il paradigma della disintermediazione della politica. Come era già successo alle elezioni precedenti: rendendo comunque merito ad Howard Dean per essere stato “pioniere” nell’uso delle tecnologie digitali a supporto dell’azione politica tradizionale (tra il 2003 e il 2004, da candidato alle primarie democratiche, rivoluzionò il sistema delle donazioni reputando fondamentale il contributo del web), fu Barack Obama nel 2008 ad introdurre la più grande innovazione organizzativa nel rapporto tra la politica e la Rete, attraverso la decisione di «elevare lo staff che si occupava di internet allo stesso livello gerarchico degli altri principali gruppi che lavoravano per la campagna»93.
Barack Obama, Donald Trump e – costruendo nei minimi dettagli un candidato esistente solo online – Alessandro Nardone hanno compreso pienamente la riflessione di Antonio Palmieri, che dal 1993 affianca Silvio Berlusconi nella gestione della comunicazione e dei nuovi media: «Internet è a tutti gli effetti un ambito della vita personale. […] Per questo motivo anche la politica si è trasferita online. Il web non è più una piazza virtuale. È una piazza. Punto»94. Hillary Clinton, al contrario, ha dimostrato di considerare ancora attuale la dicotomia tra mondo reale e mondo virtuale: se con lo “scandalo delle email” aveva già generato il sospetto di credere che le azioni commesse online non avessero consistenti ricadute nella realtà offline, con gli investimenti compiuti in campagna elettorale ha confermato di avere un’idea distorta di come stia evolvendo la comunicazione online, un’attività in cui ormai la qualità delle interazioni vale molto di più della quantità delle risorse impiegate.
I. Il sito web: il “biglietto da visita” più efficace nell’arena politica digital
Il nucleo centrale della strategia comunicativa di Alex Anderson è rappresentato dal sito www.alexanderson2016.com. Secondo una pratica ormai diffusa nella gestione dei new media, il portale costituisce un “hub di comunicazione”95, il luogo in cui tutti i materiali prodotti sono raccolti e resi accessibili. Accedendo alle diverse sezioni del sito si ha traccia di tutte le azioni comunicative e gli atti simbolici di cui Anderson è stato protagonista dal momento dell’annuncio della candidatura fino ai tweet degli ultimi giorni prima dell’elezione di Donald Trump. Alessandro Nardone ha investito le maggiori risorse (in termini non economici, ma di cura del dettaglio) nella strutturazione di questa pagina web, affinché risultasse credibile e al tempo stesso stimolasse gli utenti-elettori a seguirne gli aggiornamenti e ad interagire direttamente con i contenuti proposti.
Il sito non è una vetrina dove mostrare quanto si è belli e bravi, ma un luogo di incontro fra il candidato e la comunità che lo sostiene. È un luogo ricco di possibilità e di contenuti, per questo è fondamentale organizzarlo in modo da non dare vita a una babele disordinata ma a uno strumento chiaro e semplice da usare. Il sito internet rappresenta probabilmente il più importante elemento della campagna.96
Una homepage ricca di contenuti (dalle news ai “numeri” dell’account Twitter, dal countdown per il giorno delle elezioni ai link alle altre sezioni) e con un’apertura dinamica garantita dall’aggiornamento periodico di uno slideshow, sei pagine interne e un’ultima sezione dedicata ai “Contatti”. È questa l’ossatura del sito ufficiale della campagna di Alex Anderson, caratterizzato anche dalla semplicità del layout e dalla scelta non casuale dei due colori dominanti. La scelta di alternare tinte rosse e blu, infatti, implicitamente contribuisce a rafforzare due tratti dell’immagine che Nardone vuole proporre: il posizionamento di Alex Anderson oltre la rigorosa contrapposizione tra i due partiti (il rosso è il colore del Grand Old Party, il blu del Democratic Party) e il profondo senso patriottico che gli impone di usare i colori delle stripes della bandiera “a stelle e strisce” che campeggia in ogni pagina “appesa” alla lettera finale del cognome del candidato. È la dimostrazione di come gli strumenti digitali possono aiutare un candidato a “darsi un tono”, attraverso messaggi e contenuti che non restano confinati al mondo online. Il sito ufficiale di un candidato non può essere un semplice “diario” di quello che succede nella realtà (il blog è solo una delle sezioni del sito di Alex, e soprattutto i commenti degli utenti arricchiscono ogni post di nuovi contributi creati in Rete) né...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Prefazione
  6. Introduzione
  7. CAPITOLO PRIMO - ALEX ANDERSON: UN CANDIDATO FAKE ALLA PRESIDENZA DEGLI USA
  8. CAPITOLO SECONDO - LA DEFINIZIONE DEL CONTESTO COMPETITIVO E LA CANDIDATE RESEARCH
  9. CAPITOLO TERZO - LA DEFINIZIONE DEI CONTENUTI E LA ISSUE RESEARCH
  10. CAPITOLO QUARTO - LA DEFINIZIONE DEGLI STRUMENTI E LA MEDIA RESEARCH
  11. RIFLESSIONE CONCLUSIVA
  12. Riferimenti bibliografici e sitografia
  13. Ringraziamenti