De Profundis
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Il De Profundis è una lunga lettera a Lord Alfred Douglas, il giovane amato da Wilde, scritta nei primi mesi del 1897 nel carcere di Reading dove Wilde si trovava da quasi due anni per il reato di sodomia. E'l'opera che ci permette di accostarci al vero mondo dell'autore, di riconoscere l'uomo e lo scrittore nel suo aspetto non mistificato. Una volta uscito di prigione, Wilde affidò il manoscritto all'amico giornalista Robert Ross, che ne fece due copie dattiloscritte. Una fu inviata allo stesso Douglas, che negò di averla mai ricevuta. Nel 1905, quando ormai Wilde era morto da cinque anni, Ross pubblicò un'edizione ridotta dell'originale col titolo di De profundis, che rimase a tutte le edizioni successive. L'originale fu affidato nel 1909 da Ross al British Museum, con la condizione espressa che non fosse dato in visione per cinquant'anni. La seconda copia dattiloscritta fornì il testo per la "first complete and accurate version" pubblicata da Holland nel 1949. In realtà quando, nel 1959, il manoscritto fu reso pubblico, fu possibile stabilire che i dattiloscritti contenevano parecchie centinaia di errori.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788827851616
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

DE PROFUNDIS

...Un assai lungo momento è il soffrire.
Noi non possiamo dividerlo per stagioni, ma soltanto renderciconto de' suoi modi e calcolarne i ritorni. Per noi, il tempostesso non cammina; e sembra piuttosto descrivere un circolointorno ad un centro di dolore. La paralizzatrice immobilitàdi un'esistenza in cui ogni particolare è regolato da unimmutevole dèspota (in modo che noi mangiamo, beviamo,dormiamo e preghiamo – o, almeno, c'inginocchiamo per pregare– secondo le leggi di una formula ferrea); questo caratterestatico che rende, fino nei più piccoli atti, ognigiornataugualealla precedente, pareche si comunichi atutte quelle forze esterne delle quali l'essenza consiste appuntoin un mutamento continuo.
Noi non sappiamo nulla del periodo della semina o del raccolto,dei mietitori proni in mezzo alle spighe, o dei vendemmiatorisparsi tra i vigneti; nulla sappiamo dei prati verdi che gli alberidi primavera nevicano di petali e che gli alberi del verziere, inautunno, cospargono di frutti maturi – e nulla mai nepossiamo sapere.
Per noi non c'è che una stagione: quella del dolore. Sembrache ci abbiano anche defraudato del sole e dellaluna. Fuori ilcielo può essere d'azzurro e d'oro, ma la grossa vetrata delpiccolo abbaino dalle sbarre di ferro sotto cui ci si accuccia nonlascia filtrare appena che una povera luce sporca. Dentro le cellec'è sempre la semichiarìa del crepuscolo; e il crepuscoloinvade pure ogni cuore. Nell'orbita del pensiero, come in quelladel tempo, il moto non esiste più. La cosa stessa che da granpezzo voi, personalmente, avete dimenticato o che potetedimenticare con facilità, la medesima cosa mi succede ancorain questo stesso momento e mi accadrà nuovamente domani.Tenete presente tutto ciò e vi sarà possibile comprendereil perchè io scrivo in questo tono...
Una settimana dopo mi trasferiscono qui.. Passano ancora tremesi e mia madre muore. Nessuno seppe quanto profondamente iol'amassi e la venerassi.
La sua morte fu per me una cosa terribile; ma io, già untempo principe dello stile, non trovo nemmeno una parola peresprimere la mia angoscia e la mia vergogna. Essa emio padre miavevano lasciato in retaggio un nome glorioso d'onore e dinobiltà, non solo nei campi della letteratura, dell'arte,dell'archeologia e della scienza, ma anche nella storia del miopaese d'origine e nella sua evoluzione nazionale. Ebbene, io homacchiato questo nome d'un obbrobrio eterno. Io ne ho creato unepiteto ignobile per il volgo. Io l'ho trascinato nel fango. Iol'ho dato in balìa dei bruti, affinchè lo rendano brutaleed ai nemici perchè ne facciano un sinonimo di follia. Quelche ho sofferto allora e lo strazio che ancor oggi io provo, no!nessuna penna lo potrà scrivere, nessun foglio di carta lopotrà rivelare. Mia moglie, sempre buona e nobile verso di me,temendo che la notizia della sciagura mi giungesse per mezzo diestranei, quantunque tanto malata, si mise in viaggio da Genova perl'Inghilterra per venire essa stessa ad annunciarmi questa perditairreparabile. Le lettere di simpatia mi arrivarono da tutti coloroche avevano ancora serbato dell'affetto verso di me. E perfinodelle persone che io non avevo mai conosciuto direttamente, quandoseppero che una nuova disgrazia era venuta ad abbattersi sulla miavita, scrissero, pregando di comunicarmi ch'essi m'erano accantonel grande dolore...
Tre mesi passano. La tabella-calendariodella mia condotta e delmio lavoro giornaliero, appesa esternamente sull'uscio della miacella, con scrittovi sopra il mio nome e la mia condanna, m'informache siamo giunti al mese di maggio...
La prosperità, il piacere e il successo possono esserevolgari e refrattari, ma il dolore è la più sensibile ditutte le cose create. Nulla succede nel mondo del pensiero cui ildolore non faccia eco con delle vibrazioni infinitamente vive eterribili. In suo confronto, la sensibilissima foglia d'orobattuto, che indica la direzione delle forze che l'occhio nonriesce ad afferrare, è grossolana.
Il dolore è una ferita che sanguina quando una mano latocca, tranne quella dell'amore, ed anche premuta da una carezzabuona essa fa sangue, quantunque non la strazi piùlasofferenza.
Dovunque c'è il dolore ivi santa è la terra. Un giornosi capirà ciò che questo significa. Nulla si sapràprima di questo. *** e delle indoli come la sua, sì, possonocomprendere. Quando, costretto fra due gendarmi, io fui condottodalla mia prigione alla Corte dei Fallimenti, *** attese nel lungoe tragico corridoio per potersi togliere conatto grave il suocappello davanti a me, in cospetto della folla che fu ridotta alsilenzio da un gesto così semplice e così dolce, mentreio passavo innanzi a lui colle manette ai polsi e colla testachina.
Molti uomini si sono guadagnati il regno dei Cieli con delleopere assai meno meritevoli di questa. Non è con tale spirito,forse, e animati da simile amore che i Santi si inginocchiavano perlavare i piedi dei poveri o si curvavano per baciare sulle guanciei lebbrosi? Io non gli ho mai detto una parola di ciò ch'eglifece quel giorno. Non so nemmeno, in questo momento, s'egli pensach'io abbia potuto intravedere il suo atto.
Oh, non è una cosa per la quale si rivolgono deiringraziamenti formali con delle parole formali! Io l'ho racchiusanel tesoro del mio cuore. Ivi la serbo come un debito segreto chesono felice di pensare che non potrò assolvere mai. Laimbalsamo e la rinfresco con la mirra e gli aromi d'infinitelagrime.
Guardate: la saggezza non mi riuscì di nessun profitto e lafilosofia rimase infeconda e gli adagi e le frasi di coloro chetentarono di consolarmi furono come della polvere e della cenerenella mia bocca, ma il ricordo di quel piccolo gesto d'amore,adorabile e silenzioso, ha riaperto per me tutte le fonti dellapietà, ha fatto fiorire il deserto come una rosa, m'hastrappato dalla disperazione solitaria dell'esilio per mettermi inarmonia col grande cuore ferito e spezzato del mondo. Quando gliuomini saranno capaci di comprendere non solo quanto quel gesto fubello, ma pure quale intimo significato ebbe per me e quale valoreavrà per mesempre, allora forse essi sapranno in chemodo e in quale stato d'animo mi devono avvicinare.
Ipoveri sono saggi e più caritatevoli e più propensialla bontà di noialtri. Per loro la prigionia è unatragedia nella vita di un uomo, una sciagura, una disgrazia,qualche cosa, insomma, che merita la simpatia altrui. Essi parlanodi colui che è in carcere come di uno che «passa unguaio», semplicemente. È l'espressione che adoperanosempre ed essa contiene la perfetta saggezza dell'amore. Invece,con le persone del nostro ceto è diverso. Per noi, la prigionetrasforma un uomo in un paria. Io, e alcuni altri nel mio stessocaso, non abbiamo diritto nè all'aria, nè al sole. Lanostra presenza turba la gioia degli altri.
Siamo ricevuti come degli intrusi, quando ritorniamo nel mondo.Non ci si vorrebbe lasciar godere nemmeno il chiaro di luna. E inostrifigliuoli non ce li portano via? Così ci si spezzanoquesti dolcissimi vincoli che ci ricollegano all'umanità.Siamo dannati alla solitudine, mentre i nostri figli sono pur vivi.Ci rifiutano l'unico mezzo che potrebbe guarirci e farci rinascere,l'unica dolcezza che sarebbe in grado di spandere un balsamo sulcuore angosciato e di mettere un po' di pace nell'anima inpena...
Bisogna, sì, ch'io mi dica che da me stesso io mi sonodistrutto e che nessuno, piccolo o grande, non si può rovinareche con le sueproprie mani. Io sono pronto a dirlo; mi sforzo diconfessarlo, quantunque, forse, in questo momento, non lo si creda.Senza alcuna compassione io sostengo contro di me l'implacabileaccusa.
Per quanto terribile sia stato ciò che il mondo mi ha fattodi male, quel che io feci a me stesso fu più tremendoancora.
Ero in simbolica comunione con l'arte e con la cultura del miotempo. Sul principio della mia virilità lo avevocompreso eavevo, in seguito, forzato i miei contemporanei a comprenderlo.Pochi uomini, durante la loro vita, hanno occupato un posto simileal mio col pieno riconoscimento altrui. La posizione ideale di unartista è messa in luce, di solito (se pure lo è), dallostorico o dal critico, molto tempo dopo che l'artista e la suaetà sono scomparsi. Invece, per me, la cosa accaddediversamente. Io ne ebbi la coscienza e la diedi anche aglialtri.
Byron fu una figura simbolica, ma relativamente alla passione ealla stanchezza passionale della sua opera.
Il mio rapporto col mio tempo fu più nobile,piùcostante, d'una importanza e d'un valore più grandi.
Gli dèi m'avevano quasi tutto donato. Ma io mi lasciaipoltrire e mi concessi dei lunghi periodi di tregua insensata esensuale. Mi divertii a fare l'ozioso, il dandy, l'uomo alla moda.Mi circondaidi poveri caratteri e di spiriti miserevoli. Divenniprodigo del mio proprio genio e provai una gioia bizzarra nellosperperare una giovinezza eterna. Stanco di vivere sulle cime,discesi volontariamente in fondo agli abissi per cercarvi dellesensazioninuove. La perversità fu nell'orbita della passionequel che il paradosso era stato per me nella sfera delpensiero.
Infine il desiderio si cangiò in una malattia, o in unafollìa, o in entrambe le cose. Divenni noncurante della vitaaltrui. Colsi il mio bene dove mi piacque e passai oltre.Dimenticai che ogni più piccola azione quotidiana forma odeforma il carattere e che, per conseguenza, ciò che si ècompiuto nel segreto della propria intimità si sarà poicostretti a proclamarlo al mondo intero. Così, non fuipiù padrone di me stesso. Non riuscii più a dominare lamia anima e la ignorai. Permisi al piacere di governarmi efiniicoll'essere abbattuto da una sventura orrenda. Adesso non mirimane più che una cosa: l'assoluta umiltà.
Ecco quasi due anni, trapoco, che io sono in prigione! Daprincipio una selvaggia disperazione cominciò ad impossessarsidi me; mi abbandonavo a una pena tale ch'era disprezzabile anche avedersi, a un'ira terribile ed impotente, all'angoscia eall'indignazione, alla tortura chemi strappava i più acutisinghiozzi, a una miseria che non aveva nessuna voce peresprimersi, a un dolore muto. Sono passato attraverso tutte leforme possibili della sofferenza. Meglio ancora di Wordsworth, ioben so ciò ch'egli intese di dire in quel suo distico
La sofferenza è costante e oscura e misteriosa,e ha lanatura dell'Infinito.
Ma quando, talvolta, io mi rallegro all'idea che le miesarebbero interminabili, non potevo, però, sopportare ch'essefossero prive di significato. Ora, io trovo riposta in un oscuroangolo della mia natura qualcosa che mi dice: nulla c'è almondo che sia vuoto di senso ed il soffrire meno di qualunque altracosa. Questoquid,nascosto nel più profondo del mio«io», come un tesoro in un campo, èl'Umiltà.
È l'ultima cosache mi resta, e la migliore; èl'estrema scoperta alla quale io sono arrivato, è il punto dipartenza di tutto uno sviluppo nuovo. È una verità che siè formata nel mio intimo essere e così pure io so ch'essaè venuta in un momento favorevole. Se alcuno me ne avesseparlato, l'avrei respinta; ma siccome l'ho trovata io stesso, citengo a serbarla. Bisogna ch'io la conservi! È l'unica cosache ha in sè i germi della vita, di una nuova esistenza,unaVitaNuovaper me. Tra tutte le cose, essaè la più strana; non si può acquistarla che a pattodi rinunciare a tutto ciò che si possiede. E, solamente quandosi è tutto perduto, ci si accorge di averla guadagnata.
Ora che ho capito ch'essa è in me, io vedo assaichiaramente ciò che in realtà occorre che io faccia. Eallorchè adopero una frase come questa, non ho bisogno diaggiungere che non alludo a nessuna sanzione, a nessun ordineimperativo dal di fuori. Io non ne ammetto. Sono molto piùindividualista di quanto lo sia mai stato. Niente mi sembra cheabbia ilminimo valore, tranne ciò che si estrae dalla propriaintimità. La mia indole è in traccia d'un nuovo mezzo direalizzazione: ecco tutto ciò di cui io devo preoccuparmi. Ela prima cosa che mi occorre è questa: liberarmi di qualsiasirisentimento amaro contro il mondo.
Io sono completamente senza denaro, assolutamente senzafocolare. Eppure c'è qualcosa di peggio, sulla terra. Sono deltutto sincero quando affermo che, piuttosto che lasciare questocarcere conservando nel mio cuore dell'amarezza contro il mondo,preferirei di mendicare con gioia il mio tozzo di pane di porta inporta. Se non ottengo nulla dal ricco, riceverò pur qualchecosa dal povero. Coloro che molto posseggono sono di solito avari;ma quelli che hanno ben poco lo dividono volentieri. Nonmi farebbenessun caso il dormire sulla fresca erba in estate e, alsopraggiungere dell'inverno, ripararmi al caldo in un mucchio difieno o sotto la tettoia di una capanna, purchè avessi sempredell'amore dentro il mio cuore. Le cose esterne della vita mi pareora che non abbiano più alcun valore. Voi vedete, dunque, aquale intensità di individualismo io sono arrivato, o,piuttosto, io vado accostandomi, poichè il viaggio èancor lungo e «sulla strada per la quale io cammino ci sonodelle spine».
Certo,so bene che andare elemosinando per la via non saràil fatto mio e che, se io mi stendessi la sera sull'erba fresca vicomporrei dei sonetti alla luna. Quando uscirò di prigione,R... mi aspetterà al di là dell'enorme portone ferrato edegli è il simbolo non solo del suo proprio affetto, ma anchedi quello di molti altri. Credo, ad ogni modo, che avrò davivere per circa diciotto mesi e, se non potrò pel momentoscrivere de' bei libri, almeno potrò leggerne; e qualefelicità sarà più grande? In seguito spero d'esserecapace di riacquistare le mie facoltà creatrici.
Ma se accadesse altrimenti, se non mi restasse più un amicoal mondo, se nessuna casa mi fosse più aperta, neanche perpietà, se dovessi prendere la bisaccia e il tabarro logorodella miseria assoluta fino a quando io fossi libero da ognirisentimento, da ogni rancore, da ogni indignazione, potrei sempreaffrontare la vita con molta più calma e fiducia che se il miocorpo fosse coperto di porpora e di lino prezioso e la mia animascoppiasse di odio.
Nè avrò, veramente, nessuna difficoltà. Quando sidesidera con fede l'amore, lo si trova là, che ci attende.
Inutile dire che il mio compito non termina qui. Se cosìfosse; sarebbe troppo facile. C'è ben altro davanti a me. Devoscalare delle montagne assai più irte; ho da attraversaredelle valli infinitamente più cupe. E mi bisogna trarmid'impaccio colle mie sole mani. Nè la religione, nè lamorale, nè la ragione mi possono dare alcun giovamento.
No, la morale non mi aiuta. Io sono un antinomista nato.Sono diquelli che son fatti per le eccezioni e non perle regole. Ma mentreio vedo che non c'è niente di male in ciò che si compie,mi accorgo però che c'è qualcosa di cattivo in ciòche si diventa. È bene anche aver imparato questo.
La religione non miaiuta. La fede che altri nutrono per ciòche è invisibile io la dedico a quel che si può toccare eosservare. I miei dèi abitano nei templi costruiti dalla manodell'uomo ed è solo nell'ambito dell'esperienza reale che lamia fede si definisce e si completa; essa è troppo integra,forse, perchè, come molti di coloro o tutti coloro che hannocollocato il loro cielo sopra la terra, io vi ho scoperto non purela bellezza del paradiso, ma anche dell'inferno. Quando penso allareligione, sento che mi piacerebbefondare un ordine monastico percoloro che non possono credere: si dovrebbe chiamare la Congregadegli Infelici e nei suoi riti, davanti a un altare, privo diqualsiasi fiamma di ceri, un prete senza pace nel cuore,celebrerebbe l'officio con del pane profano o un calice vuoto. Ognicosa, per essere vera, deve diventare una religione, el'agnosticismo, come una qualunque altra religione, dovrebbe averele sue cerimonie. Non ha esso seminato dei martiri? Ebbene,dovrebbe mietere i suoi santi e lodare ogni giorno il Signored'essersi nascosto agli occhi degli uomini. Ma, sia la fede ol'agnosticismo, nè l'una nè l'altro mi devono rimaneredue fatti esterni. Bisogna che i loro simboli siano una miacreazione stessa.
Spirituale è soltanto ciò che foggia la suapropriaforma. Se non posso riuscire a trovarne il segreto nel mio intimo«io», non lo scoprirò giammai: se non lo reco conme, non mi si rivelerà mai più.
La ragione non mi aiuta. Essa mi dice che le leggi secondo lequali mi hanno condannato sono ingiuste e crudeli e che il sistemasociale per cui ho sofferto è ingiusto e malvagio. Ma,tuttavia, occorre ch'io le creda giuste e rette. E, precisamentecome nel campo dell'arte non ci si occupa se non del valore che unfatto particolare ha di per se stesso inun particolare momento,così succede nell'evoluzione etica del carattere.
Occorre ch'io ritenga come un bene per me tutto ciò che miè accaduto. Il letto di tavole, il cibo nauseabondo, le duefuni che si devono sfilacciare in istoppa sino a che le ditaindolenzite divengono insensibili, le vili «corvées»con le quali cominciano e finiscono le giornate, gli aspri comandiche sembrano una necessità dell'ordine, l'orribile casacca cherende persino grottesco il dolore, il silenzio, la solitudine, lavergogna– tutto questo bisogna ch'io lo trasformi inesperienza spirituale. Non c'è neppure una degradazione delcorpo che non contribuisca a spiritualizzare l'anima.
Voglio arrivare ad un punto tale che mi sia possibile diresemplicemente e senza ostentazione disorta che le due grandi datedella mia vita corrispondono ai giorni in cui mio padre mimandò ad Oxford e in cui entrai in galera. Io non diròche la prigione sia la miglior cosa che mi sia capitata,perchè questa frase avrebbe un sapore di eccessiva amarezzaverso di ...

Indice dei contenuti

  1. PREFAZIONE DELL'EDITORE
  2. PREFAZIONE
  3. DE PROFUNDIS
  4. LA BALLATA DEL CARCERE DI READING
  5. I.
  6. II.
  7. III.
  8. IV.
  9. V.
  10. VI.
  11. VII.
  12. VIII.
  13. IX.
  14. X.
  15. REQUIESCAT
  16. UDENDO CANTARE IL «DIES IRAE»NELLA CAPPELLA SISTINA
  17. E TENEBRIS
  18. VITA NUOVA
  19. NELLA CAMERA D'ORO
  20. IMPRESSIONI DEL MATTINO
  21. MADDALENA PASSEGGIA
  22. LA BELLA DONNA DELLA MIA MENTE
  23. IN RIVA D'ARNO
  24. SILENTIUM AMORIS
  25. DAI GIORNI DI PRIMAVERAALL'INVERNO (PER MUSICA)
  26. INNO FUNEBRE
  27. LA VERA SCIENZA
  28. CANZONETTA
  29. SOTTO IL BALCONE
  30. NELLA FORESTA
  31. A MIA MOGLIE CON UNA COPIADEI MIEI POEMI