Pettini-fini
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Informazioni sul libro

Pubblicata originariamente nel 1909 da uno dei più noti editori dell'epoca, Pettini fini è una raccolta di otto novelle che segnò l'esordio letterario della scrittrice palermitana, allora 22enne che in seguito scrisse altre 4 raccolte di novelle, 7 libri di racconti per l'infanzia, e 5 romanzi, fra i quali le sue due opere più note: La casa nel vicolo, (1921) e L'amore negato (1928). Maturata durante la sua permanenza a Mistretta, in Sicilia (1903-1909), Pettini-fini fu accolta con favore anche da Giovanni Verga.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788827860069

Il compagno

La gnà Pidda, sull’uscio, sgranava le fave fresche e mondava un cavolo, intenta anche a raccogliere i gusci e le fogliacce in un paniere, ed a scacciar con la voce e con la mano una sua gallinetta padovana che, più audace de l’altre, allungava il collo a beccar la ghiotta verdura.
- Sciù…u…u – borbottò alla gallina, vedendo avvicinar la gnà Nnicchia. Avrebbe voluto scacciarla così, quella jettatura di vicina!
- E quel frumento, gnà Pidda?
- Domani all’Ave Maria.
Ma la gnà Nnnicchia calò il fazzoletto sugli occhi e s’appoggiò al muro, nel sole. Voleva attaccar chiacchiera. La gnà Pidda continuava in silenzio a sgranar fave, come se non la vedesse. Non avrebbe voluto aver mai da fare con quella jettatura! Ma intanto, due tumoli di grano al mese glieli vendeva di sicuro, e i denari sono sempre denari…
- Non mi abbonate niente sul prezzo, neanche per l’amicizia?
- Non si può, gnà Nnicchia mia. L’annata è cattiva e la fatica sempre uguale. Per l’amicizia, lo sapete… amici cari e denari pari.
- Oh gnà Pidda mia, gnà Pidda mia! Voi date la faccia alle spine, per empire i fianchi a Dio sa chi…
- Io non do la faccia alle spine. Se fatico, fatico per la mia casa e servo mio marito. Mio marito mi rispetta, e basta.
- Oh gnà Pidda, magari fosse così! Ma lo so io…
- Che sapete? Non sapete niente… - e continuava a sgranar le fave, stringendo le labbra per mostrarsi indifferente.
- E la Gigliola? – fece l’altra abbassando la voce.
- Che Gigliola?
- Dovreste vedere vostro marito dalla Gigliola, per credermi. Torna dalla quota e scarica il mulo da lei; e poi da voi quel che avanza. La casa non è più vostra, e della Gigliola.
- Che mi volete contare? Se siete venuta per questo… Mio marito mi rispetta. Fatichiamo tutti e due come i colombi nel nido. Che mi volete contare?
Raccolse i grùmoli e le fave in un cesto, le fogliacce e i gusci in un altro, e li portò dentro, sempre col viso impassibile e le labbra strette; per chiuder l’uscio aspettò che la gnà Nnicchia se ne fosse andata.
Era inutile che cercasse di non far capire niente, di non dar mai conto dei fatti suoi: la gente era sempre informata di tutto. Ora c’era la Gigliola… E le vicine ridevano alle sue spalle, di lei che faticava come un mulo per empire i fianchi Dio sa a chi.
Uscì a sfogare dalla Farisea.
- Ohimè! – fece, chiudendo l’uscio e lasciandosi cadere sulla prima panca che vide.
- Che c’è? Quel senza timor di Dio?... – chiese premurosamente la pinzochera.
- Meschina me! Meschina me! Turi mi fa pezzente… Turi mi spoglia la casa… tutta la mia fatica se la piglia il diavolo…
- Non bestemmiate, gnà Pidda. Non vi preparate la buona vecchiaia, voi? Non avete di che campare?
- Il paese… Quante volte gliel’ho detto! Turi, lasciamo la casa nel paese, e andiamo a campare assieme nella quota. Turi, che interesse abbiamo nel paese? Lui sì che ce li ha i suoi interessi! E io fatico pel diavolo… Ohimè, quanto strappar d’erbe hanno fatto queste mani, quanto scardassare, quanto stacciar di farina hanno fatto queste mani…
E se le guardava, sulle ginocchia, brune, nodose, incallite. Udì sonare a vespero e corse in casa, ché il tempo le bastò giusto giusto per còcer la minestra e preparare sul letto una camicia pulita. Il sole calava dietro la collina. Sentì la mula nella via, e la voce rauca del marito:
- Uah! Ah!
Discese, scaricò la mula, l’incavezzò nella stalla e le mise davanti una manciata di fieno che pesò due volte fra le mani. Dalla stanza di sopra venivano le bestemmie di zù Turi.
Aveva paura a parlargli come aveva pensato. Ma era necessario. Sempre per paura gli aveva lasciato fare il suo comodo, gli aveva lasciato spogliare la casa. Facesse quel che voleva, con chi voleva; ma che non toccasse il grano, che non toccasse la legna e la verdura!
Il villano, allungate le gambe avvolte nelle pelli di capra, pareva sazio e tranquillo. La gnà Pidda si fece coraggio:
- Turi, il frumento l’hai portato?
- Quale frumento?
- Ce ne doveva essere un altro staio a Treppiedi…
- Non ce n’è più.
Tu mandi la casa in malora, Turi!
- E che vuoi? Chi sei tu che mi tieni i conti? È tuo il grano?
- Sono tua moglie, io. E per la casa ci penso io…
- Tu? Tu? – e sputò per terra, levandosi in piedi. – Tu sei il pidocchio che mangi nella mia testa. Pensa quando non mangiavi pane, prima d’avere Turi!
- Io non mangiavo pane? Tu non rispetti il sacramento. Le male femmine non hanno pane se non gliene danno. Ma io non sono la Gigliola…
Questa avrebbe fatto meglio a non dirla, la gnà Pidda. E se ne pentì, come vide zu Turi saltar ad afferrar la pala. Si guardò a torno, per salvarsi. Giù nella stalla? No, le vicine avrebbero udito, avrebbero riso alle sue spalle. Zù Turi afferrava quel che gli veniva fra le mani, la pala, un ciocco, un manico di vanga; e dava come gli capitava, come alla mula, saltando sulle gambe tozze coperte di pelle di capra.
Sempre così, quel benedett’uomo. Ma le bruciava il cuore alla gnà Pidda. Lei che risparmiava il pastone e l’orzo alle bestie; che quand’era malata si lasciava sfinire per non sciupare un’ovo, che faticava senza farsi aiutare dalle vicine per non avere obblighi… veder buttar così, per niente, uno staio di grano…
E le vicine ridevano. Era l’invidia che si ringalluzziva. Perché tutti sapevano la loro storia, e li rammentavano quand’erano scalzi e laceri, marito e moglie, e lavoravano a giornata. Tutti rammentavano Turi, quand’era venuto da Gioiosa con i panni sbrindellati e la vanga in spalla, a cercar in piazza da allogarsi. Quando aveva cominciato a guadagnare, conobbe la gnà Pidda; e com’ebbero da parte dodici onze si maritarono. A quei tempi bastava la benedizione della Chiesa. Andavano assieme di terra in terra: Turi offriva le braccia forti, e la moglie l’aiutava servendolo umilmente, come un cane. Egli fu pastore, erbaiolo, mietitore, prima che potesse comprare una mula, la Rizza. Poi prese in fitto la quota, a Treppiedi; e una casa in paese dove restò a malincuore la gnà Pidda, che mise alla finestra nera nera un coccio pieno di terra, con l’aglio e il prezzemolo che in cucina occorron sempre. Ci furono anche delle galline nella stalla, e un gallinaccio pettoruto. Per ciò le vicine avevano invidia. Ma non era tutta grazia di Dio acquistata a forza di fatiche, di sacrifici, pesando ogni filo d’erba, ogni chicco di grano? Questo no. Chi ha la barba, comperi il pettine. La gnà Pidda non dava, e neanche chiedeva. Se si privava per fino delle amicizie, per non avere obblighi colle vicine… Già di questi tempi non c’è a chi fidarsi; tutti stanno alla posta per strapparvi il pane di bocca. La gnà Pidda aveva fiducia solo in donn’Angela la pinzochera, quella che nel quartiere chiamavano la Farisea.
E anche, ce n’eran voluti degli anni! Più di tutti s’era decisa per quella spina che aveva, di esser maritata solo alla Chiesa. Che ne sarebbe stato di lei, se il marito fosse morto per primo? I parenti di Turi sarebbero venuti a dividersi la roba, e lei l’avrebbero cacciata di casa come un’intrusa. Per ciò metteva sempre da parte, rubacchiando sulle spese, sulle provviste, un soldo oggi, un soldo domani, posseduta dall’idea di avere un gruzzolo per ogni chi sa. E lo teneva al sicuro presso la Farisea, che andava alla messa ogni mattina ed era una santa donna.
Ora le braccia di zù Turi non bastavano più alla quota. Lui zappare, lui seminare, lui far le legna e la verdura, badare alla Rizza e trafficare in paese… occorreva un compagno. E prese Calòjro.
Calòjro aveva la barba folta come le fratte di Treppiedi e nera nera, corta; la pelle scura, e piccoli occhi che non guardavano mai in faccia la gente. Stentava la vita, con quattro capre, lavorando dove gli capitava, a far di tutto. Con zù Turi s’intesero subito: come non poteva far società, per non avere altro che quelle quattro capre, sarebbe stato pagato da giornaliero.
La prima domenica zù Turi caricò la mula di verdura e di fascine, e venne su con Calòjro che non aveva mai veduto il paese.
- Ben venuti! Gridò la gnà Pidda andando inc...

Indice dei contenuti

  1. Indice
  2. Prefazione
  3. Pettini-fini
  4. Janni lo storpio
  5. Le nove torrette
  6. Al buio
  7. Coglitora d’olive
  8. Il compagno
  9. Prima di farla…!
  10. Grazia