I Cento Giorni
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I Cento Giorni

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Una campagna ardua, tormentata da ogni difficoltà; una battaglia sanguinosa, meditata sotto la pioggia e combattuta nel fango; un nome, destinato a riecheggiare nell'eternità come un grido di dolore in una vallata, nebbiosa e desolata. Trattando di Waterloo ci imbattiamo in generali brillanti e tattiche geniali, così come in orrori ed errori colossali. Ci troviamo di fronte a uomini che, a prescindere dal grado, combattono il nemico con la mente, con il cuore e con le mani impiegando la stessa tenacia con la quale combattono se stessi e il loro passato. Parlando di Waterloo, vittoria e sconfitta diventano niente più che parole totalmente prive di significato.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788827869208
 
1
 
Isola d'Elba, metà febbraio 1815
 
Chaboulon alzò lo sguardo: la grande casa si ergeva fiera sopra Portoferraio, come a controllare quanto stava sotto di lei. Era quasi arrivato. Fece sprofondare il viso, colpito ininterrottamente dal vento gelido, nella giubba inglese che aveva "preso in prestito" prima di salpare dalle coste francesi, poi riprese a camminare, affrettandosi verso il suo obiettivo. Era ben consapevole di quel che stava per accadere. Dal fallimento o dal successo della sua missione dipendeva, secondo il suo e moltissimi altri punti di vista, il destino della Francia e dell'Europa intera. Chaboulon fece un respiro per allentare la tensione, poi si decise a bussare alla grossa porta di legno. Dei passi, stanchi e lenti, provennero dall'interno. Un grosso scatto e la porta si aprì. Letizia guardò quel misterioso viandante, poi si affacciò e controllò che nessuno fosse giunto assieme a lui.
"Entra, ti stavamo aspettando."
Chaboulon eseguì l'ordine dell'ormai anziana signora e mosse all'interno della dimora. La porta si chiuse con lo stesso terrificante rumore con il quale si era aperta.
Letizia prese a camminare e fece cenno all'uomo di seguirla, il quale annuì, non privo di ansia per il carico che si portava sulle spalle. Percorsero due lunghi corridoi finché non arrivarono ad una porta socchiusa, da dove partiva un raggio di luce che si stagliava sul pavimento scuro dove i due avevano appena camminato. La donna, anziana ma ancora carica di energie e speranze, scostò l'uscio e varcò la soglia, seguita dal nuovo arrivato. Chaboulon si trovò immerso nel tepore della stanza, la cui atmosfera era molto accogliente e tranquilla.
Un uomo, sui quarantacinque anni, era voltato di spalle e impegnato a guardare fuori dalla sua amata finestra. Sulla scrivania che stava al centro della sala c'erano moltissimi libri, una scacchiera, e dei fogli con su scritto qualcosa. Da una parte, quasi come se fosse gelosamente custodita dal proprietario, si poteva notare una bottiglia di rum francese di ottima qualità, ormai ammezzata, con un bicchiere accanto rigorosamente vuoto.
"Figlio mio – azzardò Letizia – l'ospite è arrivato."
L'uomo continuò a scrutare la cittadina dalla finestra. Tutte quelle luci lo mettevano a suo agio, e il mare in lontananza lasciava che la sua mente esprimesse il meglio di sé nella dolcezza della solitudine. Chaboulon deglutì, visibilmente imbarazzato dall'inusuale comportamento di quello che sarebbe dovuto essere il suo interlocutore. Letizia lo notò con la coda dell'occhio, ma preferì rimanere in silenzio. Finalmente l'uomo si mosse: scosse lentamente la testa e fissò il pavimento per alcuni secondi, poi si voltò e si diresse verso la scrivania. Le candele illuminarono il suo volto, risaltando le piccole rughe che aveva accumulato con il passare degli anni. Afferrò la bottiglia di rum, ne versò lentamente nel bicchiere finché non ne ebbe riempito circa la metà, poi tappò la bottiglia e assaporò il liquore in tutta la sua raffinatezza. Chaboulon ammirò i suoi movimenti, così decisi e sicuri, e ne rimase incantato.
"Fleury de Chaboulon, qual buon vento ti conduce in questa umile stanza pervasa dalla distruzione?"
L'ospite sentì il peso dello sguardo dell'uomo gravargli direttamente sull'anima, tanto che ebbe bisogno di alcuni attimi per rendersi conto delle parole appena proferite. Poi parlò.
"Sono venuto per riferire importanti notizie, direttamente dalla Francia."
"E cosa ci sarebbe di così tanto importante da farla giungere qui in uniforme inglese, buon Fleury?"
Chaboulon si sentì in imbarazzo dentro alle vesti del nemico.
"Il popolo è in subbuglio. Il re Luigi, con le sue ultime mosse sta rischiando di infangare tutti gli ideali che ci siamo duramente conquistati durante la rivoluzione. La gente reclama i suoi diritti, vuole che gli siano restituiti. C'è paura, nella nostra amata Francia. Le armate della coalizione minacciano di prendere il controllo del nostro paese, al minimo segno di cedimento. L'esercito è instabile, male organizzato, non è capace di far fronte a tale invasione. Credo che tutti siano d'accordo su almeno una cosa: l'Imperatore deve tornare."
Silenzio.
"La Francia è una grande nazione, non trova Chaboulon? Il popolo è la sua spina dorsale, l'esercito è le sue membra."
"Non è questo il tuo destino, non qui su questa isola." Intervenne Letizia, rivolta a suo figlio. Napoleone alzò gli occhi e fissò sua madre, la donna che sempre lo aveva sostenuto. Nella sua mente riecheggiarono le urla dei seicentomila uomini della Grande Armèe, massacrati dal freddo, dai fiumi e dal piombo delle fulminee incursione nemiche che li avevano colpiti nella ritirata dalla Russia di appena tre anni prima, nel 1812. La Beresina trasportava ancora tra le sue acque i cadaveri dei soldati, le nevi e l'inverno seppellivano quell'infinita distesa di morti. Dall'altra parte eppure erano ancora vive le memorie delle vittorie che avrebbero segnato la storia per tutti i giorni a venire. I nomi aleggiavano nei pensieri come fantasmi: Borodino, Friedland, Lodi, Arcole, Jena, Austerlitz. Austriaci, prussiani, inglesi, spagnoli, svizzeri, polacchi, russi, tutti giacevano sconfitti sui campi di battaglia e sul fondo dei mari, insieme alle coalizioni che inutilmente erano state formate da questi popoli, nell'arco di poco meno di quindici anni, nel tentativo di fermare la Francia e gli ideali rivoluzionari che aleggiavano nel suo esercito immenso.
"Signore – azzardò Chaboulon – torni in Francia, scappi da questo inutile esilio. È l'unica persona che può salvarci dall'oblio, la sua mente è l'unica in grado di concepire un piano per farlo." Napoleone afferrò di nuovo la bottiglia del rum, ne bevve una lunga ma lenta sorsata, poi con la mano sinistra si massaggiò lo stomaco come era solito fare.
"Madre, manda a chiamare Marchand e digli di preparare le cose. Il colonnello Campbell partirà da quest'isola domani per circa dieci giorni, ne approfitteremo per fuggire."
Chaboulon stava per mettersi a piangere, dunque ce l'aveva fatta. Notò nelle parole dell'Imperatore una forte determinazione, cosa che sempre lo aveva contraddistinto e che, unita alle sue spiccate capacità intellettive, lo aveva fatto arrivare così in alto. Il Petite Caporal si voltò di nuovo e tornò alla sua finestra, guardò verso la Francia.
"Di campanile in campanile, fino alle guglie di Notre-Dame."
 
Note: l'incontro tra Fleury de Chaboulon, detto anche "l'intrepido sottoprefetto", e Napoleone avvenne alla metà di febbraio nella dimora di Portoferraio, dove Bonaparte era stato inviato in esilio dieci mesi prima. Ma cosa portò a questa situazione? Dopo la disastrosa campagna di Russia del 1811-1812, le potenze europee si unirono e affrontarono, nel 1813, Napoleone in quella che fu definita la "battaglia delle nazioni", o meglio conosciuta come Battaglia di Lipsia. L'esercito francese, nonostante avesse schierato un imponente numero di uomini, venne sconfitto e costretto alla ritirata. Napoleone e le sue forze, ormai decimate e col morale a terra, vennero successivamente sconfitti in altre battaglie di minore entità finché nel marzo del 1814, venne stipulato un trattato di resa. Bonaparte avrebbe mantenuto il suo titolo di Imperatore, ma fu costretto a trasferirsi presso l'isola d'Elba, della quale gli venne affidata la sovranità. Il 26 febbraio 1815, tuttavia, in seguito al colloquio che ebbe con Chaboulon e approfittando dell'assenza del colonnello britannico Campbell (si era recato a Livorno dall'amante per alcuni giorni) addetto alla sua sorveglianza, Napoleone fuggì dall'isola con i suoi funzionari e una scorta di uomini. Contrariamente a quanto ho scritto nel testo, la madre di Napoleone venne informata della sua partenza soltanto il giorno prima e le sue parole, secondo la leggenda, furono: "Andate dunque incontro al vostro destino. Voi non siete fatto per morire su quest'isola."
 
2
14 marzo 1815, Auxerre, Francia.
Il maresciallo Michel Ney si voltò e guardò il suo esercito in tutta le sua estensione. Alcune migliaia di uomini lo seguivano, per lo più veterani di quello che un tempo era l'esercito con il quale Napoleone aveva lanciato le sue brillanti campagne militari. Il maresciallo guardò verso il cielo, e si interrogò sul suo comportamento quando avrebbe incontrato l'Imperatore. Sarebbe rimasto fedele a re Luigi? E gli uomini? Che sarebbe accaduto agli uomini quando si sarebbero ritrovati davanti al generale che li aveva resi delle leggende? Certo, l'ordine del re era quello di "Sbarrare la strada ad ogni costo". Ney, iracondo di carattere, si sentì pervaso dalla rabbia per l'assurdità della situazione, quando il suo aiutante da campo richiamò la sua attenzione facendogli notare uno schieramento di uomini appena visibili all'orizzonte. Un piccolo distaccamento di cavalieri si stava dirigendo verso la sua direzione.
"Colonnello, faccia schierare la 4° compagnia di linea in questo settore, pronti a ricevere cavalleria ostile."
L'ordine risuonò chiaro e deciso e il colonnello si affrettò a disporre gli uomini come gli era stato suggerito. In pochi minuti, quattro lunghe file di soldati si ergevano sul fronte, con i lunghi moschetti appoggiati verticalmente sulla spalla.
Ney iniziò a sudare, riusciva a stento a mantenere la calma. Nonostante questo, non voleva che i suoi uomini lo vedessero così preoccupato, così si sforzò di dare loro le spalle e rimanere in prima linea. Seguendo gli spostamenti della cavalleria, mano a mano che si avvicinava si poterono notare delle bandiere bianche in mano ai primi due cavalieri. In mezzo a loro un uomo con una lunga giacca grigia, svolazzante al galoppo, e un cappello nero trasversale che gli ornava la testa. Il maresciallo rabbrividì non appena riconobbe la figura di Napoleone Bonaparte. Il colonnello, non udendo ordini dal suo superiore, rimase paralizzato dal silenzio.
Tra le file c'era altissima tensione, tutti sapevano cosa stava succedendo e la maggior parte di loro era consapevole delle decisioni che avrebbero preso. L'Imperatore giunse, seguito dai suoi fidati cavalieri, a pochi metri dagli uomini che avrebbero dovuto fermarlo, dopodiché scese in scioltezza dal suo cavallo e si diresse a grandi passi verso Michel Ney con una pacata tranquillità.
"Maresciallo Ney, che piacere rivederla. Mi è mancata la sua rabbia furiosa contro il mondo, sa?" Dichiarò Napoleone, voltando sgarbatamente le spalle al maresciallo e guardando la lunga fila di uomini. Ney rimase del tutto spiazzato dal suo comportamento, ma in qualche modo lo fece sentire a suo agio, a casa, come se tutto fosse ritornato al passato, prima di Lipsia e prima della Russia.
"Signore – dichiarò il colonnello rivolto a Ney – signore, ma che sta facendo? Abbiamo l'ordine di fermare quest'uomo. La Francia ha l'ordine di fermare quest'uomo!"
Il maresciallo scese dal suo cavallo e guardò il giovane ufficiale appena uscito dall'accademia.
"Mi faccia il piacere di stare zitto, colonnello."
L'Imperatore lanciò un urlo ai soldati: “UOMINI, AT-TENTI
Neanche un secondo e la truppa serrò i ranghi, con le canne dei moschetti puntate in alto. Napoleone si voltò di nuovo verso i due. Poi si rivolse al giovane e ingenuamente paralizzato ufficiale.
"Colonnello - disse puntando il dito contro gli uomini ormai ai suoi ordini - Io sono la Francia."
Note: Michel Ney, prestigioso generale dotato di ottima capacità tattica e dal carattere iracondo e impulsivo, aveva seguito Napoleone nella maggior parte delle sue battaglie, perfino nella campagna di Russia del 1811-1812. Grazie alla sua fedeltà e alle sue qualità, venne nominato dallo stesso Bonaparte Maresciallo dell'Impero, guadagnandosi un posto d'onore tra i generali della Grande Armèe. Dopo l'esilio all'Elba dell'Imperatore e la presa al potere di re Luigi Borbone, Ney si mise al suo servizio e, giunta la notizia del ritorno di Napoleone, venne inviato direttamente dal re con l'incarico di sbarrare la strada al pericoloso fuggitivo. Non fu l'unica spedizi...

Indice dei contenuti

  1. cover
  2. Indice
  3. Prefazione
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. Note conclusive