Stadio due “Il sopravvissuto”: tappe per la cura del sé
→ Allenati a sviluppare consapevolezza emotiva
Nello stadio due è molto importante che tu ti eserciti a riconoscere che cosa ti accade a livello emotivo quando ti arrivano pensieri o ricordi del passato.
In questa fase devi allenarti ad accogliere le emozioni e a non respingerle!
Se desideri comprendere come puoi lavorare attivamente per promuovere consapevolezza emotiva e lavorare sull’accettazione delle emozioni dolorose ti suggerisco la scheda di allenamento specifica contenuta nel mio libro “Vola via! Meriti di essere felice” (scheda di allenamento 1 “Sviluppare la consapevolezza emotiva durante il No Contact”).
Nello stadio due devi allenarti a far emergere emozioni e vissuti che nello stadio uno erano bloccate. Acquisire consapevolezza emotiva ti aiuterà ad attraversare e ad elaborare il tuo dolore.
In particolare, dovrai lavorare sull’emozione della rabbia che è uno dei sentimenti più forti alla fine dello stadio uno e all’inizio dello stadio due, proprio perché hai capito che hai vissuto un abuso.
La tua è una rabbia giusta, differente dalla rabbia tossica che usa il carnefice per controllare e intimidire le sue prede.
La rabbia che senti è giusta perché ti segnala che qualcuno ha oltrepassato i tuoi limiti approfittandosi di te. E dunque provare ed esprimere rabbia, come spesso dico ai miei pazienti, è naturale e utile. Fa molto male reprimere la rabbia.
Tutti coloro che reprimono la rabbia hanno importanti difficoltà nel chiudere una relazione nociva e soprattutto tendono a sviluppare disturbi psicosomatici, depressione e malattie gravi.
La rabbia va dunque accolta e deve essere espressa in modo sano.
Nel momento in cui inizi ad esprimere la rabbia noterai che anche altre emozioni vengono a galla (ansia, tristezza, colpa, nostalgia).
Permetti a te stesso di piangere e di entrare in contatto con le emozioni che emergono. Impara tenere un diario che ti permetta di prendere consapevolezza dei tuoi processi emotivi senza dimenticarli.
In questo modo riuscirai ad integrarli nella tua coscienza senza rifuggirli.
→ Allenati al controllo e alla gestione funzionale della rabbia
L’incapacità di controllare la rabbia è uno dei principali meccanismi che impediscono di tenere a debita distanza i manipolatori affettivi.
La provocazione è l’arma preferita da un manipolatore professionista. Egli si nutre della frustrazione altrui e si diletta pertanto in quest’arte.
Se ti arrabbi e cadi nella sua rete, non farai altro che fornirgli nutrimento. Una persona che si arrabbia è, per un manipolatore, un prelibato bocconcino.
Ora non sto dicendo che davanti a provocazioni di varia natura non dobbiamo arrabbiarci. La rabbia di per sé non è un’emozione negativa anzi, ci permette di capire quando un limite è stato superato e di tutelarci. Quindi è legittimo arrabbiarsi quando ci troviamo di fronte a un manipolatore ma quello che dobbiamo assolutamente imparare a fare è gestire quest’emozione nel modo più adeguato.
Per quanto ti sembrerà difficile credere di poter riuscire in quest’impresa, ti assicuro che è possibile e ne vale la pena.
Più riusciremo a smorzare la nostra rabbia meno saremo prede dei manipolatori e della loro approvazione.
Perché purtroppo è proprio il desiderio di essere approvati e amati da chi non è in grado di farlo che ci porta ad arrabbiarci oltre misura e ad indebolirci.
Più ci rafforzeremo, più impareremo a volerci bene mettendo sani paletti, meno dipenderemo dall’approvazione di un manipolatore. Solo così riusciremo a controllare la rabbia.
Quello che devi imparare a fare è imparare a manifestare la tua rabbia in modo funzionale, senza farti travolgere ed evitando inutili scenate.
Ricordati che più ti arrabbi più dai attenzione al tuo manipolatore, che non vede l’ora di poter andare in giro a dire che sei un pazzo violento!
Più sei aggressivo con un manipolatore più perderai la partita e gli offrirai su un piatto d’argento la possibilità di recitare il ruolo che preferisce, quello della “povera vittima della tua prepotenza”.
Ogni volta che perdi le staffe fai vincere il manipolatore e lo gratifichi perché gli confermi che è riuscito di nuovo a provocarti. Più ti arrabbi, più gli urli contro, più gli dai licenza di esercitare controllo su di te perché non fai altro che comunicare il messaggio: “Tu hai potere su di me!”.
L’espressione funzionale della rabbia (che, ripeto, non significa che non ti devi arrabbiare affatto piuttosto indica che ti devi arrabbiare in modo sano senza perdere il controllo) ti permetterà di non entrare nel solito circuito vizioso e di non fare il gioco che aspetta il manipolatore.
Quando non è possibile chiudere definitivamente la relazione tossica con un manipolatore professionista e dunque fare No Contact, le migliori armi sono l’indifferenza e l’espressione assertiva della rabbia quando necessario (se desideri approfondire questo tema ti rimando al mio eBook “Come gestire la rabbia tossica indotta da manipolatori affettivi” (Youcanprint, 2018).
Se stai praticando il Contatto Limitato l’allenamento alla gestione della rabbia sarà un tassello prezioso e fondamentale per la tua rinascita. Ricordati che il distacco, l’indifferenza e l’espressione assertiva della rabbia sono gli unici strumenti che destabilizzano il tuo nemico.
Reazioni inconsulte, piazzate, urla non fanno altro che farti perdere energie e garantire a te l’etichetta del “violento” e al manipolatore quella di “povera vittima”.
→ Allenati all’accettazione della realtà
I sentimenti di rabbia, risentimento, tradimento sono i postumi che lascia una relazione con un manipolatore affettivo che ci ha procurato gravi lesioni emotive. Ed è sicuramente difficile conviverci.
La persona che ha vissuto abusi psicologici causati da un manipolatore affettivo vivrà inevitabilmente, nel momento in cui metterà a fuoco ciò che le accaduto, profondi vissuti di rabbia.
Come già evidenziato, l’emozione della rabbia sopraggiunge come prezioso segnale che ci avverte che “il limite” è stato oltrepassato e che dobbiamo proteggerci.
Se adeguatamente compresa ed elaborata, ci permette di stabilire sani confini e metterci in salvo.
Spesso a una persona arrabbiata viene consigliato il ‘Perdona e dimentica’ ma bisogna fare chiarezza attorno alla questione sul perdono, poiché, se non adeguatamente compreso ed elaborato, questo concetto del dover perdonare ‘subito’ e ‘nonostante tutto’ può creare confusione e blocco nell’elaborazione del processo di distacco.
Una persona arrabbiata non riesce nell’immediato a perdonare.
Come evidenzia la psicologa Janis Abrahms Spring, autrice diHow Can I Forgive You? The Courage to Forgive, The Freedom Not To(Come posso perdonarti?Il coraggio di perdonare, la libertà di non farlo, 2005) il perdono non può essere automatico ed è qualcosa che si guadagna, basato sulla reciprocità tra la persona davvero pentita e quella che perdona.
Così sostiene la Spring “Quasi tutto ciò che è stato scritto sul perdono pontifica sui motivi per cui le parti lese dovrebbero perdonare: il perdono è salutare e la gente di cuore perdona. Sono ritornelli diffusi. Ma nella mia esperienza clinica più che trentennale (dedicata soprattutto alle coppie che cercano di ricucire crisi provocate da infedeltà) ho riscontrato che quando si provoca sofferenza e non si è seriamente determinati a rimediare, la parte lesa non risponde ai suggerimenti di clemenza. La cosa ha un senso: perché fare la predica alla parte ferita? Perché non rivolgersi invece a chi ha sbagliato invitandolo a guadagnarsi il perdono?
Quando chi è ferito è spinto a perdonare un trasgressore impenitente, noto che la reazione è di tre tipi:
- Sceglie di non perdonare e di vivere in uno stato di astio, odio e mortificazionee sappiamo che questo non fa bene.
- Gli è stato insegnato a perdonare; ci prova, ma dentro di sé continua a elaborare il tradimento: fa qualcosa che non sente.
- Sostiene di perdonare ma, in realtà, lo fa meno di quanto dica.
Secondo me, esiste un’opzione intermedia nelle dinamiche del perdono o della guarigione da sofferenze relazionali. Qualcosa che si pone tra l’astratto, illuminato concetto di perdono “puro” (senza chiedere niente in cambio), e la secca e fredda intransigenza.
Chiamo questa alternativa “accettazione”: non si tratta di perdono, ma di un rimedio alternativo elaborato dalla parte lesa per sé e dentro di sé. Non si chiede nulla alla parte che ha sbagliato, il che va bene perché in questa condizione quelli che procurano sofferenza non hanno nulla da offrire. Quando si fa male a un altro e non ci si rammarica, né si intende riparare in modo significativo, non è compito della parte ferita perdonare (chiamo questo tipo di perdono “economico”). Lo è, invece, riprendersi e guarire. Quello che chiamo “perdono genuino” è riservato a chi fa un errore e ha il coraggio e il carattere di chiedere davvero scusa. Funziona un po’ come l’amore: può capitare di amare da soli; tutti ci siamo passati. Ma non è più sano, appagante e rasserenante amare qualcuno che merita il nostro sentimento e che ci tratta con riguardo?”.
Il perdono non è un obbligo ma una libera scelta dell’individuo che deve partire dal cuore ed essere davvero sentita.
Costringersi forzatamente a perdonare quando non si è ancora pronti distoglie l’attenzione della persona da quello che deve essere il suo obiettivo principale, ossia la ricostruzione e la rinascita emotiva.
Un perdono forzato può addirittura peggiorare la condizione emotiva della vittima di manipolazione che deve invece provare l’emozione della rabbia al fine di comprendere che qualcuno ha oltrepassato il limite e le ha fatto del male.
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