XIX CAPITOLO
41.
Si mobilitava, in tutto il paese, la quarta spedizione contro Canudos. A Bahia arrivarono truppe da quasi tutti gli stati del Brasile, da un estremo all’altro: unità dell’esercito, della polizia, fanteria, cavalleria, artiglieria e le navi da guerra ormeggiavano al largo di Salvador.
Il Paese era in guerra! Tutto il Paese viveva in funzione dei fatti e degli avvenimenti di Canudos.
Tra la sconfitta della terza e l’arrivo della quarta spedizione a Canudos, passarono quasi quattro mesi. In questo periodo i ribelli intensificarono i preparativi per la resistenza al nuovo attacco delle truppe del governo, sulla quale non avevano il minimo dubbio. Così, dotati di nuove e ottime armi che avevano guadagnato dalla terza spedizione, con una buona quantità di munizioni, i sertanejos si preparavano per affrontare quello che prevedevano sarebbe stato un assalto ancora più violento a Canudos.
La partenza per Canudos, insieme alla spedizione del generale Artur Oscar, era prevista per l’alba successiva. Euclides aveva poco tempo per ordinare gli appunti e scrivere l’articolo da inviare a São Paulo. Il giornalista però omise le nuove notizie e scrisse soltanto un articolo sulla linea dei precedenti. Non che non credesse a quello che aveva sentito ma aveva deciso di raccogliere tutto il materiale e le informazioni fresche per scrivere una cronaca sulla guerra di Canudos quando fosse ritornato a São Paulo, finito il conflitto. Così, decise di aspettare ancora prima di scrivere l’inedito articolo in base alle novità. Prese gli appunti e li mise dentro una cartella dal titolo “Canudos, diario di una spedizione”. In seguito partì verso il campo militare, dove lo aspettavano.
Per motivi strategici, il generale di brigata Artur Oscar divise le truppe in due colonne: una doveva partire dallo stato di Sergipe e Sertão-Est di Bahia, attraverso Jeremoabo, l’altra da Monte Santo; entrambe dovevano incontrarsi davanti al villaggio di Canudos per un’azione congiunta.
Per comandare le due colonne, furono scelti i generali di brigata: Claudio de Amaral Saveget e João da Silva Barbosa. La spedizione fu divisa in sei brigate, di cui la prima, la seconda e la terza sotto il comando del generale Barbosa; la quarta, la quinta e la sesta comandate dal generale Saveget.
Il 20 giugno, Artur Oscar partì verso Monte Santo con millenovecento uomini. La colonna arrivò a Rosário il giorno dopo.
La seconda colonna, dopo una lunga e faticosa camminata, arrivò, nello stesso giorno, nell’altopiano di Cocorobó, e montò l’accampamento là dove finiva la gola della montagna.
«Generale» si avvicinò l’ufficiale «la truppa è accampata, generale!»
«Tutto bene?» Domandò.
«La fame tortura, il sole brucia, la sete arde la gola, la polvere soffoca e gli occhi spalancati fissano il nulla, generale.»
«Tra poco la colonna proseguirà verso Truburu. Secondo le informazioni che abbiamo, è una regione in cui si alternano deserti e ampie vegetazioni.» Informò il generale.
Il generale Savaget comunicò, allora, alle truppe che nel giorno seguente, secondo quanto fissato dal comandante in capo, dovevano trovarsi ai bordi di Canudos, da dove, dopo la convergenza delle sei brigate avrebbero attaccato la città. Canudos era ormai vicina, erano già visibili le capanne di paglia e le trincee.
Canudos doveva essere difesa ad ogni costo, così, prevedendo le intenzioni dei soldati, il Consigliere ordinò di rinforzare la difesa, scavando e sfruttando le trincee naturali del terreno irregolare. Il capo sertanejo ordinò a Pajeú di riesaminare le armi e di controllare il deposito dei viveri, e di addestrare giorno e notte i combattenti. L’ordine era sorprendere il nemico, non lasciarsi sorprendere – la base della tattica dei combattenti di Canudos. Esattamente questo era il vantaggio dei contadini in rivolta davanti alla superiorità dell’avversario in uomini e materiali bellici.
Avanzavano intrepidi. Pajeú, con un gruppo di guerriglieri, uscì dalla città. Il Consigliere infatti, gli aveva ordinato di rimanere nei paraggi ma fuori, per controllare la situazione e combattere più vantaggiosamente il nemico, costringendolo a trovarsi tra due fuochi.
La seconda colonna avanzava avendo all’avanguardia la sesta Brigata, e davanti la trentatreesima Fanteria. Penetrò nelle periferie della città. Percorsi appena due chilometri, aldilà delle pianure di Cocorobó, avvenne il primo attacco degli uomini del Consigliere che finì con il ferimento di molti soldati. Protetti dalle trincee naturali, i guerriglieri, non più di trecento, sostennero il combattimento per tutto il giorno, bloccando la marcia di tutta la seconda colonna comandata dal generale Saveget. Erano duemilatrecentocinquanta uomini ed una batteria di diciassette cannoni Krupp.
Con l’arrivo dell’artiglieria fu ordinato il bombardamento della collina. Due cannoni puntarono le posizioni dei guerriglieri senza riuscire a sloggiarli. Era un’incursione cieca, contro le rocce, che alla fine si dimostrò inutile. I guerriglieri, impercettibili, intensificarono il fuoco. Il comandante della truppa decise allora di sferrare un attacco con le baionette, esponendo al sacrificio i soldati, ma era l'unico modo per avere qualche possibilità di cacciare i guerriglieri dalle eccezionali posizioni che occupavano. Milleseicento soldati con le baionette in mano si lanciarono verso la collina occupata. I contadini non scapparono, affrontarono la carica, cercando le migliori posizioni e trovando la grande e insuperabile alleata, la foresta delle caatingas. Soltanto dopo tante ore, la colonna riuscì a passare la collina, ma pagando un prezzo troppo elevato che comportò centosettantotto perdite, tra morti e feriti, tra cui si trovava anche il generale comandante. I guerriglieri non si lasciarono catturare, e non trascurarono i compagni colpiti sul campo di lotta, anche in questa battaglia di Cocorobó, dove non rimase un solo ferito abbandonato, nonostante si contassero sessanta morti tra i contadini. I sertanejos, però, non lasciarono che la perdita delle posizioni privilegiate significasse una tregua per gli avversari: anche dopo essere stati espulsi dalla gola di Cocorobó, proseguirono fustigando la truppa fino a Canudos.
Le gole delle montagne che circondavano Canudos continuavano a interessare particolarmente i combattenti. Nonostante le perdite sofferte con l’assalto nemico, i guerriglieri mantenevano inespugnabili le scarpate di Cocorobó, da dove passavano i rinforzi e i convogli di rifornimento delle truppe del governo che provenivano dalla base operativa di Monte Santo.
Su quella e altre posizioni strategiche intorno a Canudos, distanti da due a sette leghe, restavano permanentemente i gruppi mobili di circa venti combattenti canudensi.
Il generale Artur Oscar si trovava a Rosário, quando venne a conoscenza, attraverso un messaggio inviato da Saveget, che la seconda colonna si stava battendo con i guerriglieri a Cocorobó.
Quello fu il primo scontro serio dopo la fuga della terza spedizione, nel mese di marzo 1897.
La battaglia di Cocorobó dimostrò che i difensori di Canudos perseguivano specifici obiettivi militari nel vigilare i passaggi dalle colline. I guerriglieri volevano ritardare al massimo la marcia della spedizione su Canudos; offrire il primo combattimento in un terreno più avverso per il nemico; fare in modo che le forze militari sprecassero la più grande quantità di munizioni prima di arrivare al villaggio; eventualmente, sconfiggere la spedizione, facendola retrocedere come successe alle due precedenti; impedire o ridurre al minimo l’arrivo di viveri e rinforzi per le truppe che fossero riuscite a giungere a Canudos.
Dopo il combattimento di Cocorobó, il generale Savaget informò gli ufficiali riuniti, che la seconda colonna aveva sopportato una fucilata fitta e ininterrotta, come se lì si trovasse un’intera divisione di guerriglieri.
Davanti agli ufficiali, il generale Savaget si sfogò: «Come è possibile che due o tre centinaia di banditi abbiano sbarrato il passo alla marcia della seconda colonna per tanto tempo?».
Gli ufficiali ascoltavano senza fiatare.
La sorpresa agli agguati, lo stupore dell’utilizzazione perfetta dell’armamentario sequestrato alle forze assalitrici e lo stupore per la resistenza che sarebbe cessata soltanto con la morte dell’ultimo combattente di Canudos – tutto questo deprimeva il morale delle truppe governative, le stremava giorno per giorno, lasciando i generali senza prospettive, anche quando le loro forze superavano di tanto i difensori della cittadella sertaneja.
Riunita la truppa, il generale Artur Oscar fece il suo discorso pieno di pretese; gli ufficiali e i soldati ascoltavano attenti:
«Il nemico che combattiamo non è un fanatico volgare; è, soprattutto, un nemico della religione e della Repubblica. Questo nemico ha creato una fede contro quella che ci hanno insegnato le nostre madri durante la nostra infanzia che è la vera religione di Cristo. Tutto ciò è una calamità per noi credenti. Dall’altra parte, ha fatto credere che la Repubblica è nemica della religione e che vuole tornare a schiavizzare gli antichi schiavi. Inoltre, permette, in tutte le terre che domina, la più completa promiscuità di sesso».
Arthur Oscar cercò di creare tra i soldati lo spirito adeguato alle imboscate senza soprassalti, avvertendoli: «Non vi nascondo che da qui a trentacinque chilometri cominceremo a subire l’ostilità del nemico, che ci attaccherà da davanti, dalla retroguardia, dai fianchi, in mezzo a queste caatingas infelici, dove ogni squarcio lascia spazio alla presenza dei fiancheggiatori. Cammini ostruiti, trincee, sorprese di tutte le specie, e tutto quanto la guerra ha di più odioso sarà messo in pratica per farci retrocedere …».
Ma gli avvertimenti del generale, l'insofferenza contro l’esistenza delle foreste, della caatinga che proteggeva i sertanejos, in nulla cambiavano la situazione di fatto. Le sorprese continuavano a fare sì che la spedizione pagasse molto caro la marcia su Canudos.
Immediatamente dopo i primi passi in direzione del baluardo sertanejo, le truppe della quarta spedizione si trovarono davanti agli agguati audaci, ad assalti inaspettati, ad una decina di leghe dall’obiettivo finale.
Presso la fazenda Rosario a sud di Canudos, Pajeú capeggiava un gruppo di guerriglieri che aveva come obiettivo principale attrarre la forza governativa verso un luogo dove la lotta sarebbe stata più favorevole ai contadini.
Euclides era lì che osservava. Prese il quaderno di appunti, una specie di diario di bordo, che portava sempre nella tasca e scrisse: «Il nemico è apparso ancora una volta. Ma celere, fugace. Qualche gruppo ha colpito la truppa. Lo guidava Pajeú. Il famoso guerrigliero voleva, ad un primo sguardo, un riconoscimento ma, di fatto, come dimostrano i successi ottenuti, aveva un obiettivo più intelligente: rinnovare il delirio delle scariche e il movimento farneticante che tanto avevano danneggiato la spedizione precedente. È sparito. È riapparso immediatamente dopo, a ridosso. Si buttava in un lancio vivo e fugace sull'avanguardia, il nono Battaglione di Fanteria. Sono passati velocemente altri tiratori scelti, davanti, sulla strada. Non è stato possibile identificarli bene. Scambiata qualche pallottola, sono spariti».
Il giornalista riprese la camminata tra le tende dell’accampamento e notò la desolazione frustante della truppa governativa. Incontrò il tenente Macedo Soares che si recava da Artur Oscar per il rapporto.
«Salve tenente!» Salutò.
«Salve!» Rispose il militare.
«Come vanno le cose?» Chiese il giornalista.
Il militare aspettò un momento, era rassegnato: «Difficile! Molti soldati hanno disertato. Quei vigliacchi … Dobbiamo catturarli e fucilarli proprio qui, perché possa servire di esempio alla truppa!». Rispose.
«I sertanejos? Sono dei veri combattenti!» Esclamò pieno di ammirazione il giornalista.
«No, caro Euclides. Non sono soltanto sertanejos! Sono fanatici e vanno sterminati. Soprattutto João Abade, il generale dei fanatici!» Disse il tenente Macedo
«Non credo che siano dei fanatici! Sono veri combattenti! Il vero pericolo è Pajeú!» Affermò il giornalista.
«Quel negro maledet...