APPENDICI
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APPENDICE I
Dal Tao-te-king.
I capitoli e i brani dei capitoli del Tao-te-king, che formano questa prima appendice, sono in parte tradotti, in parte parafrasati. Il testo è alcune volte oscuro, ambiguo, astruso; e in tali casi richiede d’esser reso con qualche ampiezza. Una traduzione puramente letterale, lascerebbe al lettore, poco o punto esperto dell’indole del Taoismo, troppa libertà d’intenderla a modo suo: come, del restante, è avvenuto d’intendere il testo a modo loro, a vari traduttori occidentali.
Sono state fatte moltissime versioni di questo singolare documento dell’antica letteratura dell’Estremo oriente. È il testo cinese più d’ogni altro preso a tradurre tanto da chi ha adatte cognizioni per capire qualcosa del contenuto, quanto da chi ne manca affatto. Non è difficile a chi si accinge a leggere il libro di Lao-tse, di trovare nelle cinquemila parole di cui si compone, quel che meglio gli aggrada. I numerosi commenti e le interpretazioni diverse, che i Cinesi stessi posseggono di questo testo, ne dimostrano la difficoltà, e il pericolo d’errare.
Cito qui di seguito alcune delle versioni pubblicate in Europa, e i nomi di alcuni orientalisti che primi dettero notizia della dottrina contenuta nella scrittura di Lao-tse. Le traduzioni che possono esser consultate utilmente, sono precedute da un asterisco.
A. Remusat, 1823 (Frammenti).
G. Pauthier, 1838 (non compiuta).
* S. Julien, 1842 (col testo a fronte).
* J. Chalmers, 1868.
R. Plaenckner, 1870.
V. Strauss, 1870.
* F. H. Balfour, 1888.
* J. Legge, 1891.
A. de Pouvourville, 1894.
Carus, 1900.
A. Ular, 1902.
* L. Wieger, 1913.
I primi che si occuparono del Tao-te-king, credettero trovarvi strane simiglianze con alcuni dommi della religione cristiana. Un MS. della prima metà del XVIII secolo presenta questo antico testo, Quibus probatur SS.mae Trinitatis et Dei incarnatione. Il Montucci (De Studiis sinicis, Berlino 1808) dice: «Oggetto principale del Tao-te-king è di stabilire l’esistenza e la nascita d’un Essere supremo in tre persone… molti passi lo provano». A. Remusat vi lesse addirittura il nome di Jehova. Traduttori recenti hanno poi trovato in questo libro da contentare tutti i gusti filosofici e religiosi de’ compiacenti lettori.
I
Il Principio primo (Tao)
«Non v’è parola che possa adeguatamente designare il Principio primo, perocchè la parola essendo fattura umana è impotente ad esprimere quel che oltrepassa il comune intendimento.
«Un nome usato a nominare il Principio primo dell’universo, non sarà dunque il nome eterno che veramente lo designa.
«Il cominciamento del Mondo è l’Innominabile;56 il Nominabile è scaturigine delle cose apparenti.
«Nell’eterno Non-essere innominabile, sta l’essenza intima di tutto ciò che esiste: nell’essere perituro nominabile, sta il suo formale svolgimento.
«Questi due concepimenti, sebbene espressi in modo diverso, emergono tuttavia insieme, e sono ambedue profondissimi: profondissimi talmente, che son Porta dell’universale mistero». (Capitolo 1°)
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«Vi fu qualcosa d’indefinito che esistette prima del Cielo e della Terra: qualcosa di unico, d’amorfo, d’inaccessibile, libero nell’infinito: qualcosa che si mutò nella Madre del mondo.
«Non sapendo come accennarlo, lo nominò Tao; e sforzandomi qualificarlo lo dico Grande, d’una grandezza che tutto sorpassa; lo dico Inaccessibile, perché siffattamente remoto che niuno lo giunge». (Capitolo 25°)
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«Il Tao è il contenente l’energia cosmica che produsse il mondo materiale.
«Nel Tao vi sono gli archetipi; in essi, le cose; nelle cose, l’essenza loro; nell’essenza, il vero; nel vero, la prova che il Tao fu ab origine». (Dal Capitolo 21°)
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«Dopo che il Tao si fece Unità, questa si manifestò nella duplice forma positiva e negativa, di quiete e di moto (Yin e Yang), donde la Triade che produsse il mondo. Cosicchè può dirsi che il Tao produsse l’Uno, l’uno produsse il Due, il due produsse il Tre, il tre produsse tutte le cose.
«Le Cose sfuggono la Quiete (Yin), e procurano conservare il Moto (Yang); perché tutto quel che esiste manifesta la sua esistenza con un modo qualsiasi di moto. La Quiete è il tornare all’Unità, ovvero al Non-essere». (Dal Capitolo 42°)
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«Fin dapprincipio ogni cosa ebbe la sua particolare unità necessaria alla sua essenza; per la quale unità ciascuna cosa acquistò il carattere che la distingue. Il Cielo ebbe la sua purezza; la Terra, la sua stabilità; lo Spirito ebbe l’intelletto; il Campo, la fecondità; gli Esseri, la produttività; i Reggitori di genti, la rettitudine. Se viene a perdersi tale unità, si perdono o si attenuano le qualità, mercè le quali si mantiene l’armonia nella complessa vita dell’universo». (Dal Capitolo 39°)
II
La Morale.
«Quando la suprema legge della natura (Tao) cominciò a perdere tra gli uomini la sua efficacia, venne immaginata la Morale.57 Quando sorse la Scienza, si ebbe nel mondo l’errore. Quando sopravvennero discordie tra parenti, si predicò la pietà filiale. Quando lo Stato fu in iscompiglio, s’inventò l’onestà de’ pubblici ufficiali». (Capitolo 18°)
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«La vera virtù non è dal mondo riconosciuta, e per questo è da stimarsi veramente virtù; i mediocri soltanto passano facilmente per virtuosi a gli occhi degli uomini.
«I veramente virtuosi, per la loro naturale spontaneità con cui praticano la virtù, ne fan sentire gli effetti universalmente compiuti. I mediocri che ostentano la virtù, la praticano conforme certi loro intendimenti.
«La carità vera non bada verso cui si esercita; così la vera giustizia è per tutti ugualmente imparziale; e l’uomo superiore, se ai suoi atti di cortesia non riceve adeguata corrispondenza, poco gliene cale.
«Attenuati che si furono su l’uomo gli effetti del Principio naturale (Tao) ne sorse il concetto di Virtù. Scaduta la virtù venne fuori l’Umanità; poi la Giustizia, dall’intepidito sentimento di fraternità; e poichè la giustizia perse valore, si pose in pratica un complesso di atti finti, per sostituirlo all’onesto e leale procedere, il quale artificioso complesso si chiamò Cortesia. Allora incominciò tra gli uomini la corruzione; e una Pseudoscienza, fiorita larva della verità, finì di rovinare gli uomini, dando origine a turbe d’ignoranti». (Dal Capitolo 38°)
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«Nel mondo la massima tenuità vince ogni massima resistenza. – Il fluido etereo non ha dove non penetri: l’acqua non ha dove non si apra un passaggio.
«La debolezza vince la forza: la cedevolezza vince la rigidità.58 Questo la Natura lo sa, ma gli uomini non lo intendono». (Dal Capitolo 43°)
[Vedi il capitolo 78°, citato a p. 60, sul medesimo soggetto].
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«Il Principio che regge la natura (Tao) vuol vincere senza lottare; vuol conseguire i suoi fini senza violenza; vuole l’ottenimento senza sforzo; il bene, senza incitamento.
«La Natura distende per ogni dove la sua immensa rete, dalle cui maglie nessuno sfugge». (Capitolo 73°)
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(Il curioso paradosso che la debolezza vinca la forza, e che colui il quale si fida della propria possanza non riescirà mai vincitore, che Lao-tse si compiace di ripetere in più luoghi del suo libro, sebbene possa parere più bizzarro che giusto, ha non per tanto trovato nell’Estremo Oriente un’applicazione pratica che prova quanto possa esser vero per chi bene lo intende.
Chi sa in che consiste quell’arte di difesa e d’offesa, che i Giapponesi chiamano Jiujiyutsu, riconoscerà che Lao-tse ha ragione.
Il vocabolo jiujiyutsu significa l’Arte di cedere, o di esercitare e mettere a profitto la cedevolezza e la pieghevolezza, che in tal caso si convertono in agilità e destrezza. Il carattere peculiare di quest’arte è insegnare a non opporre mai la forza alla forza, ma abbattere l’avversario con la sola forza di lui. È un’arte difficile che richiede lungo studio e molti anni di pratica, e vuole precise conoscenze anatomiche. Essa insegna a porre agevolmente fuori di combattimento slogando una spalla, schiantando un nervo, rompendo un osso senza alcuno sforzo, e con atto rapido e sicuro. L’uomo più dolce e più debole, che possiede tutte le regole del jiujiyutsu atterrerà il più robusto e temibile gigante, prima che questi abbia avuto il tempo d’accorgersi dell’assalto.
Il principio su cui quest’arte riposa, è appunto quella cedevolezza, quella pieghevolezza, quell’adattabilità tanto esaltata da Lao-tse; qualità diventata, mercè quest’arte, terribile e sicura difesa personale).
III
L’uomo e la legge.
«Quando il supremo principio (Tao) procede costantemente, conforme la naturale spontaneità (Wu-Wei), nulla v’è nel mondo che per esso non si compia.
«Se colui che ha il reggimento dello Stato, imitando il Principio supremo (Tao), fosse capace di mantenersi nel dominio di questa legge eterna, ogni cosa muterebbesi da sè stessa in meglio, e senza sforzo condur...