La Serietà nel Buffo: il melodramma italiano e l'arte di Gaetano Donizetti
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La Serietà nel Buffo: il melodramma italiano e l'arte di Gaetano Donizetti

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Questo saggio verte sulle caratteristiche salienti dell'arte di Gaetano Donizetti, e sulla sua influenza nella creazione del melodramma italiano. Nelle opere buffe di Donizetti, ricche di elementi emotivi e lirici quanto le sue opere serie, ma dedicate alla gente comune anziché a personaggi storici o di alto rango, vengono ravvisati elementi di modernità che precorrono il verismo. Vengono brevemente esaminati gli sviluppi ulteriori del melodramma italiano, da Verdi a Mascagni.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788831615112
Le grandi opere serie di Gaetano Donizetti
Nel commentare le altre principali opere di Donizetti, farò distinzione tra opere serie e buffe. Questo per solo scopo di praticità, in quanto ritengo che questa distinzione non sia del tutto sensata per quanto riguarda i contenuti musicali. Parlerò qui delle opere che mi sembrano musicalmente più significative, indipendentemente dalla loro popolarità e frequenza delle rappresentazioni. Dirò intanto che Donizetti mostra sempre una felice inventiva nei brani corali e nei concertati, anche nelle opere meno ispirate. Nelle opere migliori risalta l’armonizzazione tra orchestrazione ed espressione vocale di cui ho già detto.
Messa a parte la Lucia di Lammermoor, capolavoro superiore ad ogni possibilità di confronto, non mi piace fare graduatorie tra le altre opere maggiori, data la diversità di situazioni ed elementi emotivi che in esse si incontrano. Tuttavia prepongo alle altre opere serie, citandole in ordine cronologico, Anna Bolena (1830), Poliuto (1838), La Favorita (1840), Caterina Cornaro (rappresentata la prima volta nel 1844, ma composta quasi completamente prima del Dom Sebastien), e Dom Sebastien (1843).
La prima di Anna Bolena ebbe luogo al teatro Carcano di Milano. Il Poliuto, ultima opera del periodo napoletano di Donizetti, potè essere rappresentato nella versione originale solo dopo la morte dell’autore, nel 1848, per l’opposizione della censura ed in particolare del re di Napoli. Una versione modificata del Poliuto, in lingua francese e sotto il titolo di "Les Martyrs", potette essere rappresentata prima, nel 1840 a Parigi, grazie al minore rigore della censura in Francia. La Favorita, il Dom Sebastien e la Caterina Cornaro appartengono totalmente al periodo parigino di Donizetti.
Anna Bolena
Anna Bolena (1830, libretto di Felice Romani) è da considerarsi la prima opera di Donizetti veramente grande, nonostante un numero non esiguo di opere precedenti accolte con successo. Probabilmente fu la più grande opera composta fino a quel tempo. È infatti con quest’opera che Donizetti mostra oramai una piena maturazione artistica.
Anna Bolena inizia con un pregevole preludio, lungo e variato, ma in verità un po’ a sé stante, senza grandi relazioni con lo spirito e le successive vicende dell’opera, come del resto in diverse altre opere di Donizetti. Nel preludio compare il motivo della prima cantata del tenore nella Elisabetta al Castello di Kenilworth, composta un anno prima. È decisamente apprezzabile la padronanza orchestrale del Maestro, del resto autore di numerose composizioni sinfoniche, al di fuori delle opere. Lo sviluppo della atmosfera emotiva che grava sull’Anna Bolena inizia già subito dopo il preludio, con un breve coro lento e sommesso, introdotto e poi seguito dall’orchestra, che si intona allo stato di vago turbamento e di malessere della regina, ormai consapevole della ostilità del consorte. Stato di malessere che diventa manifesto dopo la già menzionata canzone di Smeton, musico di corte, che suscita in lei il ricordo del sincero e felice primo amore, da lei tradito per la vanità che la spinse ad aspirare al soglio regale. Il coro ricompare in altre tre occasioni, sempre in tono lento e sommesso, assolvendo con grande efficacia il compito di descrivere l’atmosfera emotiva, ed il suo evolversi a seguito dei tragici eventi che si succedono. Il secondo atto inizia con il coro delle damigelle "Oh, dove mai ne andarono le turbe adulatrici…", nel quale il turbamento iniziale assume forme di maggiore costernazione, ora che la condanna della regina sembra inevitabile. Ancora il coro dei cortigiani trasmette grande tensione quando, anche dialogando con il malvagio Hervey, essi cercano di avere notizie sull’andamento del processo, ma con preoccupazione e poche speranze, perché "l’accusatore è il re". Infine, il bellissimo, toccante finale è preceduto da una breve introduzione orchestrale seguita da un nuovo coro delle damigelle, "Chi può vederla a ciglio asciutto…". Stavolta non più turbamento o preoccupazione, ma sommessa e profonda espressione di mestizia e dolore, ora che l’esecuzione è imminente. Poi segue la scena della pazzia, di cui è alquanto noto il brano "Al dolce guidami castel natio…", introdotta da una frase orchestrale solenne di rara efficacia, subito prima che il soprano attacchi "Piangete voi?". Questo finale, a partire dall’introduzione orchestrale che precede il coro delle damigelle, mi pare di livello musicale non lontano da quello della Lucia di Lammermoor.
Quest’opera è ricca di tanti altri episodi musicali di rilievo, tra i quali mi piace ricordare la melodico-drammatica aria del tenore "Fin dall’età più tenera…", che sfocia in un trio, con l’intervento del soprano e del basso. Meno efficaci, ma comunque pregevoli, trovo che siano le scene in cui appare il turbamento ed il conflitto interiore della dama di corte Giovanna Seymour (mezzosoprano), corteggiata dal re e di lui innamorata, ma non priva di ambizione, e cosciente di comportarsi male verso l’amica regina.
Maria Stuarda
Restando in tema di regine britanniche, tra le più grandi composizioni del Maestro bergamasco non posso omettere l’intenso finale della Maria Stuarda (libretto di Giuseppe Bardari), di cui ho già detto, dal coro che precede la preghiera fino alla fine dell’opera, di rara fattura musicale e drammatica. Tuttavia, il resto di quest’opera appare un po’ piatto, almeno rispetto ai grandi capolavori su menzionati. Né mi sembra particolarmente bella, sotto il profilo musicale, la celebre scena del confronto tra le due regine, punto chiave nello sviluppo della trama dell’opera. Per questo, forse con un certo rigore, non ho elencato quest’opera tra le grandi. Ma questo anche perché la pretesa di fare classificazioni in questo campo non è molto significativa. Dopo qualche altro ascolto potrei anche cambiare opinione.
Poliuto
Il Poliuto (libretto di Salvatore Cammarano), è opera dal soggetto singolare, ambientato ai tempi della persecuzione dei Cristiani in Armenia, sotto il dominio dei Romani.
Il protagonista, convertitosi al Cristianesimo, si consegna ai carnefici per evitare la tortura a Nearco, guida del gruppo dei Cristiani, già fatto prigioniero e anch’egli condannato. Molto interessante è il graduale evolversi dei sentimenti di Paolina, moglie di Poliuto, sulla via della conversione, appropriatamente espresso dalla musica. Dapprima l’ascolto del coro dei Cristiani, che nello speco segreto pregano anche per i loro nemici, colpisce il suo animo fino alla commozione, espressa nell’aria "Di qual soavi lagrime". Poi il suo ricorso in preghiera al Nazareno, perché salvi Poliuto dalla condanna a morte, come ultima speranza, dal momento che lei ritiene che tutti gli Dei siano irati contro di lui. Infine, quando incontra Poliuto nel carcere e cerca disperatamente di convincerlo a tornare alla religione dei padri ("Ah! Fuggi da morte orribil cotanto…") resta colpita dal suo "coraggio inaudito", che sente come il dono di una forza superiore ("Lasciando la terra il giusto non muore, nel cielo rinasce a vita migliore…"). A questo punto le parti si invertono, perché è Poliuto, finalmente convinto della fedeltà della moglie, a temere per la sua conversione, ed esita a darle il Battesimo, che condurrebbe anche lei al supplizio: "A sposo che t’ama puoi chieder la morte?…", al che lei replica con le sue stesse parole di poco prima: "Il giusto rinasce a vita migliore…". Nel finale si scopre il lato buono dell’animo di Severo (il proconsole romano che prima aveva inveito contro "la sacrilega parola" di Poliuto, e i cui sentimenti in precedenza erano apparsi offuscati dalla passione). Sinceramente innamorato di Paolina, egli la supplica affranto a tornare alla religione dei padri onde evitarle il supplizio, non per lui, ma per suo padre. Al che lei risponde "A pregar vado in cielo per lui, e per te", memore del suo primo contatto con quelli che pregano anche per i loro nemici, dei quali ora fa parte anche lei.
Il legame sentimentale tra Paolina e Severo, assente nell’opera originale Polyeucte di Corneille, fu voluto proprio da Donizetti, che altrimenti trovava la trama troppo monotona e priva di motivazioni liriche, come si evince da una lettera del Maestro al cognato Antonio (Toto) Vasselli.
Il Poliuto inizia con un preludio di concezione tradizionale, cioè inteso come una sintesi dello spirito di tutta l’opera, ma alquanto originale nella realizzazione musicale. Esso inizia con un lungo, sommesso ed un po’ lugubre tema di quattro fagotti, adatto all’ambientazione catacombale della prima scena, nell’antro dove si raccolgono i Cristiani e si battezzano i neofiti. Il tema dei fagotti cessa di colpo sotto l’incalzare improvviso degli archi, in un movimento agitatissimo di grande carica drammatica, che bene allude al repentino evolversi degli eventi a venire. Sul finire spunta il motivo delle "arpe angeliche", leitmotiv dei Cristiani che nella speranza della Fede sopportano ogni sacrificio. Il motivo delle "arpe angeliche" riecheggerà più di una volta nella Forza del Destino di Verdi. Questo preludio, composto da Donizetti successivamente per "Les Martyrs", è stato poi aggiunto anche al Poliuto in forma originale. Come spesso accade in Donizetti, la maggior parte della musica della sinfonia non riappare nel corso dell’opera, cosa un po’ sorprendente se si pensa alla necessità di reperire rapidamente temi musicali, dato il ritmo frenetico di produzione richiesto, e divenuto successivamente abituale. Ciò prova ulteriormente la ricchezza della sua creatività musicale.
Ho già detto del brano "la sacrilega parola", e della preghiera di Paolina e del concertato che seguono, la cui musica in effetti fu presa dall’opera Maria di Rudenz, che Donizetti aveva composto appena prima del Poliuto, forse in un momento di sfiducia del Maestro nella sorte della Maria di Rudenz, dopo i primi insuccessi. Ma infine la Maria di Rudenz fu meglio accolta, e Donizetti cessò di utilizzarne la musica in altre opere.
Oggi sembra inconcepibile come un’opera di tale levatura, che tanto riesce ad evocare i puri sentimenti del Cristianesimo alle sue origini, sia stata osteggiata con la censura dalle autorità dell’epoca proprio per motivi religiosi!
Il Poliuto raccolse tra l’altro l’apprezzamento convinto di Verdi, che certamente ebbe presente il coro al tempio di Giove, "Celeste un’aura…", che apre la seconda scena del secondo atto, nel comporre il festoso e solenne coro dell’Aida "Gloria all’Egitto, ad Iside…".
La Favorita
La Favorita è opera ricca di originale inventiva, che si dispiega in una molteplicità di accenti, ora gravi, ora lirici, ora drammatici. Si nota anche una rilevante evoluzione stilistica, a partire dalla suggestiva, originalissima sinfonia che s’intona all’inizio al grave ambiente ieratico, evolvendo poi appunto verso toni lirici, con agitati accenti drammatici. Ho già detto dei tormenti e delle contraddizioni interiori del re Alfonso. Lo sviluppo lirico-drammatico è affidato principalmente a Leonora, il mezzosoprano, che è appunto la favorita per la quale il re è disposto a ripudiare la regina. Il suo primo incontro con Fernando è tormentato e velato di mistero: i due si amano, ma lei non può rivelargli il suo stato, e l’allontana. Dopo s’incontra con il re, e gli dischiude la sua afflizione e disillusione ("Quando le soglie paterne varcai…"). Ma gli eventi precipitano quando il re, resosi conto di non poter più mantenere la relazione adulterina, la offre in sposa a Fernando che la aveva chiesta come ricompensa ai suoi servizi di prode combattente. Lei, pur straziata, non vuol recare il disonore all’amato ("Oh, mio Fernando…", espressione di cosciente risoluzione alla rinunzia, pur con dolore, sempre nella tipica compostezza donizettiana, seguita dalla drammatica cabaletta "Scritto in cielo è il mio dolor…", cantata con disperata veemenza). Il quarto atto è forse il meno efficace, ma con belle pagine corali di tono ieratico, e la bellissima famosa aria del tenore "Spirto gentil…", in cui Fernando, tornato frate, lamenta la propria disillusione. Anche nella Favorita l’apporto dell’orchestra ed il suo armonizzarsi con il canto sono di pregevole livello, e certamente non fu per caso che Mendelssohn si sia appassionato talmente alla Lucia ed alla Favorita, pare fino al punto da apprenderne a memoria le partiture.
La genesi della Favorita è alquanto complessa. Quest’opera fu infatti costruita in gran parte sulla partitura dell’Ange de Nisida, opera commissionata a Donizetti dal Théatre de la Renaissance di Parigi, in seguito al grande successo riscosso in quel teatro dalla Lucia di Lammermoor, nell’edizione in Francese. Ma l’impresa committente fallì, lasciando Donizetti con la partitura pressoché terminata, ed al momento non utilizzabile. Allo stesso tempo Donizetti stava lavorando al Duca d’Alba per l’Opéra, sempre a Parigi, e non era granché soddisfatto di quella partitura, che non piaceva nemmeno al direttore del teatro, né alla primadonna che avrebbe dovuto essere tra gli interpreti. Fu così che nacque l’idea di impiegare la partitura dell’Ange di Nisida, opportunamente rimaneggiata, nella nuova opera, che divenne appunto La Favorite. Il libretto originale, in Francese, venne elaborato da Alphonse Royer e Gustave Vaëz, con l’assistenza di Eugène Scribe, affermato poeta che aveva già composto i testi letterari di opere di successo di Auber e Meyerbeer. Così La Favorite venne rappresentata in Francese. Il povero Duca d’Alba fu privato della pagina più bella, passata alla Favorita come "Spirto gentil". Fu solo dopo il Dom Sebastien e la Caterina Cornaro che il Maestro riprese il Duca d’Alba, che presto abbandonò per i suoi gravi problemi di salute, avendo terminati i primi due atti ed alcuni brani del terzo e quarto. Il Duca d’Alba, iniziato nel 1839, fu completato da Matteo Salvi, ex allievo di Donizetti, e andò in scena postumo, a Roma nel 1882. Fu necessario cambiare nome a molti personaggi, dal momento che la trama ed il testo letterario originale, opportunamente modificati e ambientati in Sicilia anziché nelle Fiandre, erano già stati utilizzati per i Vespri Siciliani di Verdi.
Questi eventi possono far pensare che forse Donizetti abbia avuto a disposizione più tempo del consueto per la composizione della Favorita. Certamente egli ebbe tempo per riflettere alla rielaborazione della vecchia partitura per la nuova opera. Sembra certo, comunque, che la partitura destinata all’Ange de Nisida sia stata scritta con la consueta rapidità, evidentemente in un momento di particolare grazia. È però anche ben possibile che Donizetti abbia costruito la Favorita riassemblando il materiale a sua disposizione, con la solita fretta. Infatti andò a cercare materiale anche in altre sue opere, che probabilmente non riteneva di primo livello, il che potrebbe provare la sua intenzione di non impiegare molto tempo nella nuova composizione. Ad esempio, l’aria di Ines del primo atto, "Dolce zeffiro", compare anche nella Pia dei Tolomei, andata in scena tre anni prima a Venezia, nel coro delle damigelle "Qui posa il fianco. È vivida quest’ora del mattino". Della Pia dei Tolomei è anche la frase accorata di Ghino, cugino del marito di lei, che la crede infedele: "Oh Pia mendace, ov’è, ov’è il rigore!", conosciutissima nell’identica celeberrima versione verdiana "Amami Alfredo, amami quant’io t’amo!" (La Traviata, 1853). Con tutto il rispetto per Verdi, a volte pare che egli abbia proprio esagerato nel prendere "offerte musicali" da Donizetti, anche se egli seppe sempre fare ottimo uso di tali "offerte".
Anche alcuni brani di un’opera buffa mai giunta a compimento, la Adelaide, sono stati impiegati nella Favorita: segno ulteriore che nello stile di Donizetti le opere buffe e serie non mancano di caratteri comuni. Può darsi che certe manomissioni di alcune sue opere, a favore di altre ritenute più importanti, furono effettuate da Donizetti anche per l’ambizione di conquistare la piazza teatrale di Parigi, già manifestata con la composizione della grand’opera L’Assedio di Calais (1836), che però non raggiunse tale scopo, anche se ben accetta. Infatti anche il Poliuto, andato in scena la prima volta a Parigi sotto il titolo di Les Martyrs, nel 1840, venne arricchito dalle pagine più belle della Maria di Rudenz (1837), come è stato già detto. Comunque, valutare il tempo impiegato da Donizetti nel comporre una data opera è spesso ulteriormente complicato anche dalla sua incapacità costituzionale a concentrarsi ad un dato tempo su di un solo progetto.
Caterina Cornaro
Quando Donizetti si rese conto di non poter fare rappresentare la prima della Caterina Cornaro a Vienna, com’era nelle sue intenzioni, data la concomitanza...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Vincitori e vinti
  3. Punti di vista
  4. Errori rimediabili e non
  5. Musica e teatro
  6. Donizetti e l’opera lirica italiana
  7. La grande transizione
  8. Contrasto di sentimenti e compostezza della forma
  9. Compostezza e virtuosismi canori
  10. Lucia di Lammermoor
  11. Le grandi opere serie di Gaetano Donizetti
  12. Un funerale in cinque atti
  13. Le grandi opere buffe di Gaetano Donizetti
  14. Le altre opere
  15. Messa da Requiem
  16. Il primo Verdi
  17. Verdi e Donizetti: offerte musicali
  18. Revisioni e variazioni
  19. La comicità in Verdi
  20. Lo "stile italiano"
  21. L’arte di Giacomo Puccini
  22. La comicità in Puccini
  23. Attualità e modernità
  24. Il fascino della noia.
  25. I sentimenti umani in Francesco Cilea
  26. Verismo e veridicità
  27. Verismo e fantasia
  28. Mascagni e l’Amico Fritz, tra verismo e fantasia
  29. Suzel, Iris, Amica e Lodoletta
  30. Stranezze di un modernista
  31. Un accostamento impossibile?