Jane Eyre
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La trama del libro può essere ricondotta a tre periodi essenziali: l'infanzia di Jane, vissuta presso la zia e i cugini che non l'amano, e in seguito presso la tetra Lowood School dove diviene insegnante; il lavoro, come istitutrice di una bambina, presso Thornfield Hall ed il progressivo nascere e approfondirsi del sentimento che la legherà al padrone, mister Rochester, in un clima di attesa, mistero e tragedia; l'autodeterminazione di Jane, che la porta a nuove conoscenze ed esperienze, e infine, alla scelta di tornare da chi ama. Jane è dotata di una vivida intelligenza che l'aiuterà a destreggiarsi nella società conformista e spietata in cui visse la stessa Charlotte Brontë (Jane Eyre risulta essere un'opera parzialmente autobiografica). La rettitudine morale di Jane, inoltre, non le consente di scendere a compromessi, ed ella si trova costretta a rifuggire dal suo amore.
Nonostante questa disgrazia, dopo un breve periodo di stenti, Jane riprende in mano la propria vita, seguendo le proprie convinzioni senza lasciarsi sviare. Alla fine è proprio il suo rigore a regalarle la felicità che desidera.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788831622004
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

Parte seconda

Capitolo I

Che cosa strana sono mai i presentimenti, le simpatie e anche i presagi! Tutti insieme formano un mistero di cui l’uomo non ha peranco trovata la chiave.
Non ho mai riso dei presentimenti in vita mia, perché ne ho avuto certuni stranissimi. Credo che le simpatie esistano e si manifestino fra parenti assenti da lungo tempo ed estranei fra loro, affermando, nonostante la distanza, l’unità della sorgente da cui ognuno di essi deriva.
I presagi poi potrebbero essere simpatie fra la natura e l’uomo.
Quando avevo sei anni udii Bessie Leaven, che diceva a Marta Abbot di aver sognato un bimbo e che quel sogno era presagio di disgrazia per lei o per i suoi.
Questa credenza sarebbesi probabilmente cancellata dal mio pensiero, senza una circostanza che ve la fissò indelebilmente: Bessie il giorno dopo fu chiamata al capezzale della sua sorellina morente.
Da qualche giorno pensavo sempre a quel fatto, perché da una settimana avevo sognato ogni notte un bimbo: ora lo addormentavo fra le braccia, ora lo cullavo in grembo, talvolta lo guardavo mentre si baloccava con le margherite del prato o si bagnava le mani in un fosso. La notte seguente invece rideva; qualche volta afferravami per la sottana, o correva lungi da me; ma sotto una forma o sotto un’altra quella visione mi perseguitò per sette notti consecutive.
Quella persistenza di una stessa idea, quel ritorno continuo della stessa immagine mi turbava e rendevami nervosa, quando si avvicinava l’ora di andare a letto.
Anche la notte in cui udii il terribile grido ero in compagnia di quel fantasma di bambino, e nel pomeriggio del giorno seguente vennero ad avvertirmi che una persona mi aspettava nella stanza della signora Fairfax.
Vi andai e vi trovai un uomo che mi parve un servitore di una casa signorile; portava il lutto, e il cappello, che aveva fra mano, era circondato di velo.
— Credo, signorina, che mi riconoscerete difficilmente, — mi disse alzandosi. — Mi chiamo Leaven, ed ero cocchiere della signora Reed quando abitavate a Gateshead; sono ancora alla villa.
— Oh! Roberto, come state? Non vi ho dimenticato davvero; mi rammento che mi facevate montare il pony di Georgiana. E come sta Bessie, perché voi avete sposata Bessie.
— Sì, signorina, mia moglie sta bene, vi ringrazio, e due mesi fa mi ha dato un altro bimbo; ne abbiamo tre ora, e tutti sani.
— E come stanno alla villa, Roberto?
— Sono dolente di non potervi dare migliori notizie, signorina; non vanno bene le cose, e la famiglia è stata colpita da una grave sventura.
— Spero che non sia morto nessuno, — dissi, guardando i suoi abiti. Egli fissò il crespo del suo cappello e rispose:
— Ieri fanno otto giorni che il signor John è morto nel suo quartiere a Londra.
— Il signor John?
— Sì.
— E come ha potuto sua madre resistere a questo colpo?
— Eh! signorina Eyre, non è una disgrazia da nulla, ma faceva una vita sciagurata; negli ultimi tre anni si è condotto male e ne ha fatto di tutti i colori; la sua morte è stata orribile.
— Avevo saputo da Bessie che non si conduceva bene.
— Bene! non poteva fare di peggio; sprecava denaro e salute in mezzo a donne pessime e ad uomini pericolosi, faceva debiti e fu messo in prigione. Due volte la madre andò in suo aiuto, ma appena libero tornava ai compagni e ai vizii. Non aveva la testa a posto e i birbanti con i quali viveva non facevano altro che ingannarlo. Tre settimane fa circa, venne a Gateshead e disse alla signora di affidargli tutto il patrimonio. I suoi beni erano già stati molto compromessi dalle stravaganze del figlio. Partì e poco dopo si seppe che era morto, Dio sa come. Si dice che si sia ucciso.
Tacqui, perché quella notizia mi colpì d’orrore. Roberto continuò:
— Anche la signora è stata molto ammalata, non ha avuto la forza di sopportare questo dolore. E poi la perdita del patrimonio e il timore della povertà l’avevano già affranta; la morte improvvisa del signor John è stata l’ultimo colpo. Per tre giorni non ha parlato, martedì poi stava un po’ meglio e accennava sempre a mia moglie di voler parlarvi; però soltanto iermattina Bessie l’ha intesa balbettare il vostro nome, perché finalmente ha potuto dire queste parole: “Conducete Jane, andate a cercare Jane Eyre, perché voglio parlarle.” Bessie non era sicura che avesse la testa a posto e desiderasse davvero di parlarvi; ma ha raccontato alle signorine quello che era accaduto ed ha consigliato loro di farvi chiamare. Esse da principio non hanno voluto, ma poiché la loro madre diveniva sempre più inquieta e continuava a dire: “Jane, Jane” finalmente hanno acconsentito. Sono partito ieri da Gateshead e se siete pronta, signorina, vorrei condurvi via domattina presto.
— Sì, Roberto, sarò pronta, perché credo sia mio dovere di venire.
— Suppongo, signorina, che dovrete chiedere il permesso, e Bessie mi ha detto che non vi sareste rifiutata di venire.
Dopo avere accompagnato Roberto nel tinello ed averlo raccomandato a John e a Leah, andai in cerca del signor Rochester.
Egli non era nelle stanze terrene, né nel cortile, né nelle scuderie; la signora Fairfax mi disse che trovavasi al biliardo con Bianca Ingram.
Andai in quella sala e vi trovai difatti, oltre il signor Rochester e la signora Ingram, le due Eshton con i loro adoratori.
Mi occorse un certo coraggio per disturbare tutta quella gente, che si divertiva a giuocare, ma non potevo ritardare la mia domanda.
Così mi accostai al mio padrone, che era accanto a Bianca Ingram.
Ella si volse e mi guardò sdegnosamente; gli occhi di lei pareva domandassero che cosa voleva quella abbietta creatura, e quando mormorai a bassa voce “Signor Rochester” fece un movimento come se volesse ordinarmi di uscire.
Mi rammento dell’aspetto di lei in quel momento; era graziosa e attraentissima; ella indossava una veste da mattina di crespo celeste e nei capelli aveva una sciarpa di velo.
Il giuoco avevala eccitata e l’alterigia offesa non nuoceva all’espressione del suo volto imponente.
— Che cosa vuole da voi quella persona? — domandò al signor Rochester. Questi si volse per vedere chi era quella “persona” e fece una smorfia, strana ed equivoca, e gettando via la stecca mi seguì fuori della sala.
— Ebbene, Jane? — disse appoggiando le spalle alla porta della sala di studio, che aveva chiusa.
— Vi chiedo, signore, di aver la cortesia di darmi una settimana o due di permesso.
— Per che farne? Per andar dove?
— Da una signora malata, che ha mandato a prendermi.
— Chi è questa signora? Dove sta?
— A Gateshead, nella contea di….
— Ma è a cento miglia di qui. Chi può essere questa signora che manda a prender la gente a tanta distanza?
— E’ la signora Reed.
— Reed di Gateshead? Vi era un signor Reed di Gateshead che era magistrato.
— E’ la vedova di lui, signore.
— E che cosa avete a fare con lei? Come la conoscete?
— Il signor Reed era mio zio, fratello di mia madre.
— Non me l’avete mai detto; avete sempre asserito invece di non aver parenti.
— Non ne ho infatti, signore, che vogliano riconoscermi. Il signor Reed è morto e la sua vedova mi ha cacciata di casa.
— Perché?
— Perché ero povera, le ero a carico e non mi poteva soffrire.
— Ma Reed lasciò figli, e dovete aver dei cugini. Sir George Lynn parlava ieri di un Reed di Gateshead, che era uno dei più grandi bricconi di Londra, e Ingram parlava pure di una Georgiana Reed che fu ammiratissima nella season, l’anno scorso o due anni fa, per la sua bellezza.
— John Reed è morto rovinato ed ha sciupato quasi tutto il patrimonio della famiglia, signore; si crede che siasi suicidato. La notizia scosse tanto la povera madre, che ha avuto un colpo di apoplessia.
— E quale sollievo potreste portarle, Jane? è una sciocchezza di far cento miglia per vedere una vecchia signora, che forse troverete morta; eppoi non avete detto che vi ha scacciata?
— Sì, signore, ma sono molti anni e le circostanze erano ben diverse; ora non potrei non appagare il suo desiderio.
— Quanto volete rimanere assente?
— Il meno possibile.
— Promettetemi di rimaner soltanto una settimana.
— Faccio meglio a non farvi questa promessa, perché potrei mancarvi.
— In ogni caso tornerete qui; sotto nessun pretesto non vi lascerete indurre, spero, a stabilirvi presso di lei.
— No certo; tornerò appena le cose andranno bene.
— E chi vi accompagnerà? Non vorrete fare cento miglia sola?
— No, signore, il cocchiere dei Reed è venuto a prendermi.
— E’ persona sicura?
— Sì, signore, è in casa Reed da dieci anni.
Il signor Rochester riflettè.
— Quando volete partire?
— Domattina presto, signore.
— Bene. Vi occorre del danaro, non potete viaggiare senza e non dovete averne molto. Io non vi ho ancora pagata da che siete qui. Quanto denaro possedete in tutto, Jane? — mi domandò sorridendo.
Gli mostrai la mia borsa, che non era pesante davvero.
— Cinque scellini, signore.
Egli la prese, se ne vuotò in mano il contenuto e parve contento di vedere che vi era così poco. Allora prese il portafoglio e mi offrì un biglietto di Banca di cinquanta sterline.
Non me ne doveva che quindici e io dissi che non avevo da cambiarlo.
— Non importa che lo cambiate, prendetelo, è il vostro salario.
Non volli accettare altro che quanto mi era dovuto.
Da prima voleva costringermi a prender tutto, poi rifletté e disse:
— Avete ragione; è meglio che non vi dia tutto; vi tratterreste forse due o tre mesi se aveste cinquanta sterline. Eccovene dieci, vi bastano?
— Sì, signore, ma me ne dovete ancora cinque.
— Tornate a prenderle, sono il vostro banchiere per quaranta sterline.
— Signor Rochester, vorrei parlarvi di un altro affare importante, giacché ne ho l’opportunità.
— Un affare importante? Sono curioso di udirlo.
— Mi avete voi stesso informata che fra poco avreste preso moglie.
— Sì, ebbene?
— In quel caso Adele andrà in pensione; sono sicura che anche voi lo riconoscerete necessario.
— Per allontanarla dal cammino di mia moglie che potrebbe diversamente camminare su di lei con troppa violenza. Vi è una certa giustezza in questo suggerimento, senza dubbio. Adele deve andare in pensione e voi, naturalmente, dovrete andare al…. al diavolo?
— Spero di no, signore, ma debbo trovarmi un altro posto.
— Naturalmente! — esclamò con voce stridula contorcendo il viso in modo comico e fantastico. Mi fissò per alcuni istanti.
— E suppongo che impegnerete la vecchia signora Ree...

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