LA GIUMENTA NERA
Preceduto da due servi, Antonio Dalvy andava di villaggio in villaggio, acquistando giumente e puledri di buona razza, per spedirli al continente. Egli era un bell’uomo sui quaranta, alto, grasso, con la testa gettata all’indietro; con occhi un po’ obliqui, un po’ verdognoli, d’un fuoco straordinario, mal celato da grosse palpebre abbassate. Era discretamente ricco, ammogliato con una donna nobile; un uomo operoso, infine, d’ottima fama.
Faceva grossi negozi di scorza, di carbone, di cenere, ed ogni anno andava in terra ferma. Quell’anno, un suo corrispondente gli aveva proposto di acquistare un certo numero di puledri e giumente di buona razza sarda. Prevedendo un buon guadagno, egli s’era messo tosto all’opera.
Bellia e Ghisparru, i due servi, lo accompagnavano o lo precedevano, scovando nei villaggi e nelle campagne del Nuorese i bei puledri dalle forme perfette, e le giumente dagli occhi melanconici.
Il negozio procedeva così. Davanti a due testimoni, Antonio Dalvy dava una caparra al venditore, e gli lasciava in custodia la bestia acquistata. Al ritorno, finito il giro, padrone e servi sarebbero ripassati per prendersi, mano mano, i puledri e le giumente, versando il restante prezzo.
Era di maggio, e Dalvy viaggiava su un bel cavallo alto e rosso, dalla piccola testa irrequieta. Nelle ore di gran sole, quando le alte erbe dei piani selvaggi lucevano, immobili sotto lo splendore del cielo turchino, il negoziante spalancava un ombrello verde, piantandoselo ben davanti al viso.
Allora la linea obliqua dei suoi occhi semichiusi, sotto l’ombra verde, al riflesso verde dei pascoli, delle macchie ardenti, pareva di smeraldo: si scorgeva da lontano.
Un giorno i servi capitarono vicino ad una chiesa campestre.
— Andiamo a dir un’ave-maria — disse Ghisparru, che era assai devoto, sebbene molto ignorante e selvaggio.
Ma Bellia era stato soldato, non credeva molto in Dio; e rise udendo la proposta del compagno.
Tuttavia s’avvicinarono alla chiesa. Questa chiesetta sorgeva nel mezzo di due cortili, uno dentro l’altro, ed entrambi circondati di stanzette, chiamate cumbissias, nelle quali abitavano i devoti paesani dei borghi vicini, durante il tempo della novena.
Ora la chiesetta coi suoi due cortili, coi suoi due portoni, coi suoi due circoli di cumbissias, taceva deserta fra i campi verdi, nel selvaggio fiorir delle macchie.
Intorno si stendeva una specie di brughiera, fitta di piccole macchie, di rose canine, di mirti e corbezzoli in fiore.
Lontane praterie, pascoli, linee di messi, chiudevano l’orizzonte: una lista d’acqua, fra sambuchi e tamerici brillava in lontananza.
Le rondini passavano, fischiando come dardi da una inferriata all’altra della chiesa: e un vecchio custode tesseva stuoie di giunco, seduto all’ombra del primo portone.
I due servi s’avvicinarono, si fecero il segno della croce, e salutarono il custode.
Costui rispose al saluto, senza alzarsi, senza smettere il lavoro.
— Che chiesa è questa? — chiese Ghisparru, curvando il suo testone dai capelli grigi arruffati. E stette a guardar bene attraverso i due portoni in fila, spalancati.
— Santu Juanne Battista, fratello di Dio — rispose il custode, facendosi il segno della croce.
— Ci fate vedere?
— E perché no?
Il vecchio s’alzò, depose accuratamente per terra i fasci di giunco verde, odoranti di frescura palustre, e condusse i due uomini in chiesa.
Era una chiesa piuttosto ricca, con pavimento ed altare di marmo, con qualche rozzo affresco, dal quale Dio appariva come un vecchione, con una gran barba bianca, seduto sulle nuvole.
Sull’altare un grazioso San Giovanni biondo, vestito come un sardo pellito, benediceva sorridendo.
I tre uomini s’inginocchiarono, poi cominciarono a girar per la chiesa, fresca, pulita, luminosa.
Le rondini passavano rapide sotto la vôlta, volando da una finestra all’altra, e riempiendo la chiesa di gorgheggi.
Il vecchio custode spiegava qua e là qualche cosa ai due paesani. Sembrava, così piccolino com’era, in maniche di camicia, con larghe brache d’orbace, strette alla vita da una cintura di cuoio, col capo calvo coronato appena sulla nuca da pochi riccioli argentei, e una corta barba bianca intorno al volto calmo, sembrava, dico, un vecchio apostolo di Rubens.
Ghisparru, per parte sua, tornato davanti all’altare, trovò che anche il piccolo San Giovanni rassomigliava a qualcuno.
— Di’, Bellia, — disse, urtando un po’ il compagno, — a chi rassomiglia quel Santo?
L’altro sollevò il volto e guardò bene.
— Un piccolo agnello nero…
— Va! Va! A un cristiano!
— Non lo so.
— A Giame — mormorò Ghisparru con rispetto.
— Chi è Giame? — domandò il custode, sollevando il viso.
Anche Bellia tornò a guardare il Santo, e disse:
— Il figlio del padrone. Costui gli è balio (marito della balia), e tutte le cose belle che vede le rassomiglia a lui. Aspetta, aspetta, bello mio, quando torna dallo studio ti porrà il piede… dietro, e ti caccierà via. Eh! Eh!
Ghisparru non rispose. Tornò a inginocchiarsi, pregò un poco, e poi uscì fuori.
Ritornati nel primo cortile, i due servi chiesero al custode chi aveva fondato la chiesa, e se era molto ricca, e quanto a lui davano di paga.
Il vecchio raccontò una lunga storia, d’una dama che aveva i demoni in corpo, e che andava a cavallo, di notte, per le campagne, come una fantasima. E questa dama, chiamata donna Rofoela Perella, era molto devota, e andava sempre in chiesa, ma all’ora della benedizione doveva uscir fuori perché altrimenti smaniava e urlava, e batteva la gente con forza da leone. Era andata persino a Roma, ma neppure il Papa aveva potuto scacciarle i demoni. Allora, essa aveva fatto un voto, di edificare cioè e dotare una chiesa se guariva. E una notte, cavalcando, tutto ad un tratto gli spiriti maligni l’avevano abbandonata. Essa smontò da cavallo, si gettò per terra, baciò le pietre, e promise di edificare in quel sito una chiesa a San Giovanni Battista, del quale era assai devota.
Ora la chiesa possedeva terre, denari, rendite, armenti. Molte offerte venivano fatte al Santo. Inoltre ogni anno, in autunno, il custode partiva con un cavallo carico di bisaccie, e sul braccio portando una nicchia di legno e vetro con entro una statuetta del Santo. E andava pei villaggi, chiedendo la santa elemosina.
Le pie donne del Nuorese davano danari, cera, lana, frumento:...