Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare
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Con materialismo storico si intende, nell'ambito dell'analisi marxiana di struttura e sovrastruttura, l'interpretazione materialistica della storia delle società umane del cosiddetto socialismo scientifico
Schematicamente, possiamo suddividere il percorso filosofico e politico di Labriola in tre diversi momenti: innanzitutto fu propugnatore dell'idealismo hegeliano (influenzato da Bertrando Spaventa, del quale fu allievo a Napoli); successivamente, possiamo distinguere una fase contrassegnata dal rifiuto dell'idealismo in nome del realismo herbartiano, ed infine, il momento della maturità, in cui aderisce pienamente al marxismo.
L'approccio di Labriola al marxismo è influenzato da Hegel e Herbart, per cui è più aperto dell'approccio di marxisti ortodossi come Karl Kautsky. Egli vide il marxismo non come una schematizzazione ideologica ed autonoma dalla storia, ma piuttosto come una filosofia autosufficiente per capire la struttura economica della società e le conseguenti relazioni umane.
Era necessario aderire alla realtà sociale del proprio tempo storico se il marxismo voleva considerare la complessità dei processi sociali e la varietà di forze operanti nella storia. Il marxismo doveva essere inteso come una teoria 'critica', nel senso che esso non asserisce verità eterne ed immutabili ed è pronto ad interpretare le contraddizioni sociali secondo le diverse fasi storiche, avendo al centro della sua analisi il lavoro e le condizioni dei lavoratori e dunque la concreta e materiale "prassi" umana. La sua descrizione del marxismo come "filosofia della prassi" verrà ripresa infatti nei Quaderni dal carcere di Gramsci.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788831629072
Antonio Labriola

Del materialismo storico

Dilucidazione preliminare

Avvertenza alla seconda edizione

La prima edizione di questo lavoro, venuta in luce con la data del 10 marzo 1896, recava la seguente Avvertenza:
“Il lettore vedrà da sé, fin dalle prime linee di questo scritto, come io entri difilato in argomento, senza preamboli di sorta.
Mi pare già, che l’altro, ossia il primo saggio che questo precede, offra da solo un sufficiente istradamento elementare a chi ne abbia bisogno.
In verità, poi, non giova di molto mai all’intendimento schietto delle questioni scientifiche, quel fare da letterati, che usano alcuni, i quali, mettendosi quasi sopra alle cose, ne ragionano come dal di fuori. Addentrarsi direttamente nelle cose stesse, per quel modo di discussione, che è tutt’uno con la esposizione dottrinale; ecco ciò che precipuamente importa in questo genere di trattazioni. Solo per cotesta via ci è dato d’indurre nelle menti persuasione e convinzione. Per cotesto procedimento soltanto le difficoltà rimangono positivamente vinte; e le opinioni, che altri possa addurre in contrario, trovansi da ultimo eliminate in fatto.
Il titolo di dilucidazione preliminare, che adopero, non è espressione, né di cautela, né di modestia. Esso designa semplicemente l’indole di questo scritto, e ne segna i precisi confini”.
In questa ristampa mi sono ristretto a correggere alcune parole e qualche giro di frase. E, in vero, a voler rispondere partitamente a tutte le critiche e a tutte le obiezioni, che negli ultimi anni furon mosse alle dottrine qui rappresentate che questo così semplice e scorrevole volumetto diventasse una ponderosa enciclopedia. E dove se n’andrebbe poi da ultimo il carattere della dilucidazione preliminare?
Per quei lettori che abbiano vaghezza di conoscere da vicino il tenore circa il materialismo storico, che son corse negli ultimi tempi, riproduco in fine, come in appendice, un mio articolo apparso nella “Rivista di Sociologia” del giugno 1899.
Roma, 20 maggio 1902

I.

In questo genere di considerazioni, come in tanti altri, ma in questo più che in ogni altro, è di non piccolo impedimento, anzi torna di fastidioso impaccio, quel vizio delle menti addottrinate coi soli mezzi letterarii della coltura, che di solito dicesi verbalismo. Si insinua e si espande in ogni campo di conoscenze cotesto mal vezzo; ma nelle trattazioni che si riferiscono al così detto mondo morale, e ossia al complesso storico-sociale, accade assai di sovente, che il culto e l’impero delle parole riescano a corrodervi e a spegnervi il senso vivo e reale delle cose.
Là dove la prolungata osservazione, il reiterato esperimento, il sicuro maneggio di raffinati istrumenti, l’applicazione totale o almeno parziale del calcolo, finiron per metter la mente in una metodica relazione con le cose e con le variazioni loro, come è il caso delle scienze naturali propriamente dette, ivi il mito ed il culto delle parole rimasero oramai superati e vinti, ed ivi le questioni terminologiche non hanno in fin delle fini se non il valore subordinato di una mera convenzione. Nello studio, invece, dei rapporti e delle vicende umane, le passioni, e gl’interessi, e i pregiudizii di scuola, di setta, di classe, di religione, e poi l’abuso letterario dei mezzi tradizionali della rappresentanza del pensiero, e poi la scolastica non mai vinta e anzi sempre rinascente, o fanno velo alle cose effettuali, o inavvertitamente le trasformano in termini, e parole, e modi di dire astratti e convenzionali.
Di tali difficoltà bisogna che innanzi tutto si renda conto chi mette fuori in pubblico la espressione, o formula, di concezione materialistica della storia. A molti è parso, pare e parrà sia ovvio e comodo di ritrarne il senso dalla semplice analisi delle parole che la compongono, anziché dal contesto di una esposizione, o dallo studio genetico del come la dottrina si è prodotta1 , o dalla polemica con la quale i sostenitori suoi ribattono le obiezioni degli avversarii. Il verbalismo tende sempre a rinchiudersi in definizioni puramente formali; porta le menti nell’errore, che sia cosa facile il ridurre in termini e in espressioni semplici e palpabili l’intricato e immane complesso della natura e della storia; e induce nella credenza, che sia cosa agevole il vedersi sott’occhi il multiforme e complicatissimo intreccio delle cause e degli effetti, come in ispettacolo da teatrino; o, a dirla in modo più spiccio, esso oblitera il senso dei problemi, perché non vede che denominazioni.
Se si dà poi il caso, che il verbalismo trovi sostegno in tali o tali altre supposizioni teoretiche, come sarebbe questa, che materia voglia dire un qualche cosa che sta di sotto o di contro ad un’altra cosa più alta o più nobile, che vien chiamata lo spirito; o se si dà il caso, che esso si confonda con l’abito letterario di contrapporre la parola materialismo, intesa in senso dispregiativo, a tutto ciò che compendiosamente chiamasi idealismo, cioè all’insieme d’ogni inclinazione e d’ogni atto anti-egoistico: e allora sì che siamo spacciati. Ed ecco che si sente dire: qui in questa dottrina si tenta di spiegare tutto l’uomo col solo calcolo degl’interessi materiali, negando qualsiasi valore ad ogni interesse ideale. A far nascere di tali confusioni non è valso poco la inesperienza, la incapacità e la frettolosità di certi propugnatori e propagatori di questa dottrina; i quali, per la premura di spiegare agli altri ciò che essi medesimi non intendevano a pieno, mentre la dottrina stessa non è se non agli inizii suoi, ed ha bisogno ancora di molto sviluppo, si son data l’aria di applicarla, pur che sia, al primo caso o fatto storico che loro capitasse fra mani, e l’han quasi ridotta in briciole, esponendola alla facile critica ed al dileggio degli orecchianti di novità scientifiche, e di altrettali sfaccendati.
Per quanto è lecito qui, in queste prime pagine, di respingere solo preliminarmente cotesti pregiudizii, e di redarguire le intenzioni e le tendenze che li sorreggono, occorre di ricordare: - che il senso di questa dottrina va innanzi tutto desunto dalla posizione, che essa assume ed occupa di fronte a quelle, contro le quali si è effettivamente levata, e segnatamente di fronte alle ideologie di ogni maniera; - che la riprova del suo valore consiste esclusivamente nella spiegazione più conveniente e congrua del succedersi delle vicende umane, che da essa stessa deriva; - che questa dottrina non implica una preferenza soggettiva ad una certa qualità e somma d’interessi umani, contrapposti ad altri interessi per elezione di arbitrio, ma enuncia soltanto la obiettiva coordinazione e subordinazione di tutti gli interessi nello sviluppo di ogni società, ed enuncia ciò per via di quel processo genetico, il quale consiste nell’andare dalle condizioni ai condizionati, dagli elementi della formazione alla cosa formata.
Almanacchino pure i verbalisti, a posta loro, sul valore della parola materia, in quanto è segno o ricordo di metafisica escogitazione, o in quanto è espressione dell’ultimo sostrato ipotetico della esperienza naturalistica. Qui noi non siamo nel campo della fisica, della chimica o della biologia; ma cerchiamo soltanto le condizioni esplicite del vivere umano, in quanto esso non è più semplicemente animale. Non si tratta già di indurre o di dedurre nulla dai dati della biologia; ma, anzi, di riconoscere innanzi ad ogni altra cosa le peculiarità del vivere umano, che si forma e sviluppa per il succedersi e perfezionarsi delle attività dell’uomo stesso, in date e variabili condizioni; e di trovare i rapporti di coordinazione e di subordinazione dei bisogni, che sono il sostrato del volere e dell’operare. Non è una intenzione che si cerchi di scovrire, non è una valutazione di pregio che si voglia enunciare; ma è la sola necessità di fatto che si vuol mettere in evidenza.
E come gli uomini, non per elezione ma perché non potrebbero altrimenti, soddisfano prima certi bisogni elementari, e poi da questi ne sviluppano degli altri, raffinandosi; e, a soddisfare i bisogni quali che siano, trovano ed usano certi mezzi ed istrumenti, e si consociano in certi determinati modi, il materialismo della interpretazione storica non è se non il tentativo di rifare nella mente, con metodo, la genesi e la complicazione del vivere umano sviluppatosi attraverso i secoli. La novità di tale dottrina non è difforme da quella di tutte le altre dottrine, che, dopo molte peripezie entro i campi della fantasia, son giunte da ultimo assai faticosamente ad afferrare la prosa della realtà, ed a fermarsi in essa.

II.

Di una certa affinità, per lo meno nelle apparenze, con cotesto vizio formale del verbalismo è un altro difetto, che derivasi nelle menti per diverse vie. Guardando in certi suoi effetti più comuni e popolari, lo dirò fraseologico; sebbene questa parola qui non esprima a pieno la cosa, e non ne dichiari l’origine.
Da molti secoli si va scrivendo, esponendo, illustrando la storia. I più svariati interessi, dagl’immediatamente pratici ai puramente estetici, spinsero i diversi scrittori ad ideare ed eseguire cotesto genere di composizioni; le quali, però, ebbero sempre nascimento nei diversi paesi un pezzo in qua dalle origini della civiltà, dallo sviluppo dello stato, e dal trapasso della primitiva società comunistica in questa, diremo in genere nostra, che si regge su le differenze e su le antitesi di classe. Gli storici, fossero pur essi ingenui quanto fu Erodoto, nacquero e si formarono sempre in una società punto ingenua, e anzi di molto complicata e complessa, e quando ditale complicazione e complessione le ragioni erano ignote, e le origini erano state obliate. Cotesta complessità, con tutti i contrasti che reca in sé, e che poi rivela e fa scoppiare nelle sue svariate vicende, si rizzava di fronte ai narratori come qualcosa di misterioso, che chieda spiegazione; e, per poco che lo storico volesse dare un qualche seguito ed un certo nesso alle cose narrate, dovea pur trovare dei complementi di vedute generali al semplice racconto. Dall’invidia degli dei del padre Erodoto all’ambiente del signor Taine, un infinito numero di concetti, intesi come mezzi di spiegazione e di complemento delle cose narrate, si sono imposti ai narratori per le vie naturali del pensiero immediato. Tendenze di classe, preconcetti religiosi, pregiudizii popolari, influssi o imitazioni di una filosofia corrente, ripieghi di fantasia, e suggestioni di artistico completamento dei fatti frammentariamente appresi; tutte coteste ed altrettali cause concorsero a formare il sostrato di quella teoria più o meno ingenua degli accadimenti, che, o sta implicitamente in fondo al racconto, o è usata se non altro a condirlo e ad adornano. O che si parli di caso o di fato, o che si rimandi alla direzione provvidenziale delle cose umane, o che si accentui il nome e il concetto della fortuna - la divinità che sola mezzo mezzo sopravviva ancora nella rigida e spesso crassa concezione di Machiavelli, - o che si parli, come si fa ora assai di frequente, della logica delle cose; tutte coteste escogitazioni furono e sono trovate e ripieghi di un pensiero ingenuo, di un pensiero immediato, di un pensiero che non può giustificare a se stesso il suo procedimento e i suoi prodotti, né per le vie della critica, né coi mezzi dell’esperimento. Colmare con dei soggetti convenzionali (p. e. la fortuna), o con una enunciazione di apparenza teoretica (p. e. il fatale andare delle cose, che alcune volte poi si confonde nelle menti con la nozione del progresso), le lacune della coscienza circa il modo come le cose siano effettivamente procedute di loro propria necessità, e fuori del nostro arbitrio e del nostro gradimento, ecco il motivo e la somma di cotesta filosofia popolare, latente od esplicita negli storici narratori, la quale per il suo carattere immediato si dilegua non appena sorge la critica della conoscenza.
In tutti cotesti concetti, e in tutte coteste ideazioni, che alla luce della critica paiono dei semplici mezzi provvisorii e dei ripieghi di un pensiero immaturo, ma che alla gente colta sembrano spesso il non plus ultra dell’intelletto, si rivela pure e si riflette una non piccola parte del processo umano; e per ciò non sono da considerare come gratuite invenzioni, nè come prodotti di momentanea illusione. Sono parte e momenti del divenire di ciò che chiamiamo spirito umano. Se si dà poi il caso, che tali concetti ed ideazioni si mescolino e confondano nella communis opinio delle persone colte, o di quelle che passano per tali, finiscono per costituire come una ingente massa di pregiudizii, e formano come l’impedimento che l’ignoranza contrappone alla visione chiara e piena delle cose effettuali. Cotesti pregiudizii ricorrono come derivati fraseologici per le bocche dei politicanti di mestiere, dei così detti pubblicisti e dei gazzettieri d’ogni sorta e maniera, ed offrono il fulcro della retorica alla così detta opinione pubblica.
Contrapporre, e poi sostituire, a tale miraggio di ideazioni non critiche, a tali idoli della immaginazione, a tali ripieghi dell’artificio letterario, a tali convenzionalismi, i soggetti reali, ossia le forze positivamente operanti, ossia gli uomini nelle varie e circostanziate situazioni sociali proprie di loro: - ecco l’assunto rivoluzionario e la meta scientifica della nuova dottrina, la quale obiettivizza e direi quasi naturalizza la spiegazione dei processi storici.
Questo tal popolo, ossia, non una qualunque massa d’individui, ma un plesso di uomini così o così organati, o per naturali rapporti di consanguineità, o per artificii e consuetudini di parentato e di affinità, o per ragioni di vicinato stabile; - questo tal popolo, su cotal territorio circoscritto e limitato, che è così o così ferace, ed è in tale o tale altra maniera produttivo, e fu in determinate forme acquisito al lavoro continuativo; - questo tal popolo cosi distribuito su tale territorio, e cosi in sé spartito ed articolato, per effetto di una determinata division del lavoro, la quale abbia, o iniziata appena, o già iniziata e maturata questa o tale altra divisione di classi, o delle classi ne abbia di già erose o trasformate parecchie; - questo popolo, che possiede i tali o tali altri istrumenti, dalla pietra focaia alla luce elettrica, e dall’arco e dalla freccia al fucile a ripetizione, e che produce in un certo modo, e conforme al modo del produrre conseguentemente spartisce i prodotti; - questo popolo, che per tutti cotesti rapporti è una società, nella quale, o per abiti di mutua accomodazione, o per esplicite convenzioni, o per violenze patite e subite, son nati già o stanno per nascere dei legami giuridico-politici, che poi metton capo nell’assetto dello stato; - questo popolo, nato che sia l’organamento dello stato, che è il tentativo di fissare, di difendere e di perpetuare le disuguaglianze, e che, per via delle nuove antitesi che vi reca dentro, rende di ...

Indice dei contenuti

  1. Antonio Labriola
  2. Introduzione al
  3. Del materialismo storico
  4. Appendice
  5. Note