GIUSEPPE GARIBALDI
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MEMORIE
EDIZIONE DIPLOMATICA DALL’AUTOGRAFO DEFINITIVO
A CURA DI
ERNESTO NATHAN
TORINO
Società Tipografico-Editrice Nazionale
(già ROUX e VIARENGO)
1907
Caprera 7 Decembre 1871
REVISIONE ALLE MIE MEMORIE
CAPITOLO I.
I miei genitori.
Io non devo dar principio a narrare della mia vita - senza far cenno de’ miei buoni Genitori - il di cui carattere ed amorevolezza - tanto influirono sull’educazione mia - e sulle disposizioni del mio fisico.
Mio padre figlio di marino, e marino lui stesso dall’età più tenera - non avea certamente quelle cognizioni di cui sono fregiati gli uomini del suo ceto - nella generazione nostra.
Giovine aveva servito sui bastimenti di mio avo - più avanti, aveva comandato bastimenti propri.
Vari erano stati i periodi della di lui fortuna - e non di rado - lo udï racontare - che più agiati avrebbe potuto lasciarci - Io però li sono riconoscentissimo, del come mi ha lasciato - ben persuaso, ch’ei nulla trascurò per educarmi, anche in tempi, ove scaduto di fortuna - l’educazione dei figli, disagiava certo l’onestissima sua esistenza.
Se mio padre poi, non mi fece dare più colta educazione, esercitare nella ginnastica, scherma, ed altri esercizi corporei - fu piutosto colpa dei tempi - in cui grazie agli Istitutori chercuti - propendevano piutosto a far della gioventù, tanti frati e legali, anzichè buoni cittadini, capaci di professioni virili ed utili - ed atti a servire il loro devastato paese.
Daltronde era sviscerato l’amor suo pei figli - e quindi temente: non si spingessero a bellici divisamenti.
Tale trepidazione dell’amato mio padre - prodotta da soverchio affetto - è forse l’unico rimprovero da farli - giacchè per timore di espormi troppo giovane ai disagi, ed ai pericoli del mare - egli mi trattenne contrariamente all’indole mia - sino verso i quindici anni - senza permettermi di navigare.
E non fu savia determinazione - essendo io, oggi, persuaso: che un marino deve cominciare la carriera giovanissimo - se possibile prima degli otto anni - Essendo in tale pratica: maestri i Genovesi - e gl’inglesi massime.
Far studiare i giovani destinati al mare, a Torino, o a Parigi - ed inviarli a bordo oltre i vent’anni - è sistema pessimo - Io credo meglio: far fare i loro studi a bordo, e la pratica di navigazione nello stesso tempo.
E mia madre! Io asserisco con orgoglio, poter essa servir di modello alle madri - E credo, con questo aver detto tutto.
Uno dei rammarichi della mia vita - sarà quello, di non poter far felici gli ultimi giorni della mia buona genitrice - la di cui vita ho seminato di tante amarezze colla mia avventurosa carriera.
Soverchia è forse stata la di lei tenerezza per me ¿Ma non devo io all’amor suo - all’angelico di lei carattere, il poco di buono che si rinviene nel mio?
Alla pietà di madre - verso il prossimo - all’indole sua benefica e caritatevole - alla compassione sua, gentile, per il tapino, per il sofferente - non devo io forse la poca carità patria, che mi valse la simpatia e l’affetto de’ miei infelici ma buoni concittadini?
Oh! abbenchè non superstizioso certamente - non di rado - nel più arduo della strepitosa mia esistenza - sorto illeso dai frangenti dell’Oceano - dalle grandini del campo di battaglia…. mi si presentava: genuflessa, curva, al cospetto dell’infinito - l’amorevole mia genitrice - implorandolo per la vita del nato dalle sue viscere!… Ed io benchè poco credente all’eficacia della preghiera - n’ero commosso! felice! o meno sventurato!
CAPITOLO II.
I miei primi anni.
Nacqui il 4 Luglio 1807 in Nizza-marittima - verso il fondo del porto Olimpio - in una casa sulla sponda del mare.
Io ho passato il periodo dell’infanzia - come tanti fanciulli, tra i trastulli, le allegrezze ed il pianto - più amico del divertimento che dello studio.
Non aprofitai il dovuto delle cure, e delle spese in cui s’impegnarono i miei genitori per educarmi - Nulla di strano nella mia giovinezza - Io ebbi buon cuore - ed i fatti seguenti, benchè di poca entità lo provano.
Raccolto un giorno al di fuori un grillo, e portatolo in casa - ruppi al poveretto una gamba nel maneggiarlo - me ne addolorai talmente - che rinchiusomi nella mia stanza - io piansi amaramente per più ore.
Un’altra volta, accompagnando un mio cugino a caccia nel Varo - io m’era fermato sull’orlo d’un fosso profondo - ove costumasi d’immergervi la canapa - ed ove trovavasi una povera donna lavando panni.
Non so perchè - quella donna cadette nell’acqua a testa prima, e pericolava la vita. Io, benchè piccolino ed imbarazzato con un carniere - mi precipitai, e valsi a trarla in salvo.
Ogni qual volta poi trattossi della vita d’un mio simile - io non fui restìo giammai - anche a rischio della mia.
I primi miei maestri furon due preti - e credo l’inferiorità fisica e morale della razza Italica, provenga massime da tale nociva costumanza. Del Sig.r Arena terzo mio maestro, d’Italiano, calligrafia, e matematica - conservo cara rimembranza.
Se avessi avuto più discernimento - ed avessi potuto indovinare le future mie relazioni cogli Inglesi - io avrei potuto studiare più acuratamente la loro lingua, ciocchè potevo fare col mio secondo maestro il padre Giaume - prete spregiudicato, e versatissimo nella bella lingua di Byron.
Io ebbi sempre un rimorso: di non aver studiato dovutamente l’Inglese - quando lo potevo - rimorso rinnato in ogni circostanza della mia vita in cui mi son trovato cogli Inglesi.
Al terzo laïco istutore il signor Arena, io devo il poco che so, e sempre conserverò di lui, cara rimembranza - sopratutto per avermi iniziato nella lingua patria, e nella storia Romana.
Il difetto di non esser istruiti seriamente nelle cose, e nella storia patria è generale in Italia ma in particolare a Nizza, città limitrofa, e sventuratamente tante volte sotto la dominazione Francese.
In cotesta mia città natìa, sino al tempo in cui scrivo (1849) non molti sapevano d’esser Italiani; la grande affluenza di Francesi, il dialetto che tanto si somiglia al provenzale; e la noncuranza de’ governanti nostri - del popolo occupandosi solo di due cose: depredarlo e toglierli i figli per farne dei soldati - tutti motivi da spingere i Nizzardi all’indifferentismo patriotico assoluto - e finalmente a facilitare ai preti ed a Buonaparte lo svellere quel bel ramo dalla madre pianta nel 1860.
Io devo dunque, in parte, a quella prima lettura delle nostra storia - ed all’incitamento di mio fratello maggiore Angelo - che dall’America mi raccomandava lo studio della mia - e più bella tra le lingue - quel poco che sono pervenuto ad acquistarne.
Io terminerò questo primo periodo della mia vita, colla laconica narrazione d’un fatto - primo saggio dell’avventure avvenire.
Stanco della scuola, ed insofferente d’un’esistenza stanziaria, io propongo un giorno a certi coetanei compagni miei, di fuggire a Genova - senza progetto determinato - ma in sostanza per tentare fortuna - Detto fatto: prendiamo un batello, imbarchiamo alcuni viveri, attrezzi da pesca - e voga verso levante. Già erimo all’altura di Monaco - quando un corsaro mandato dal mio buon padre - ci raggiunse, e ci ricondusse a casa, mortificatissimi.
Un abbate, avea svelato la nostra fuga - Vedete che combinazione: un abbate l’embrione d’un prete - contribuiva forse a salvarmi - ed io tanto ingrato da perseguire quei poveri preti - Comunque un prete è un impostore - ed io mi devo al santo culto del vero.
I miei compagni d’impresa di cui mi sovvengo, erano: Cesare Parodi, Raffaele Deandreis - e non ricordo gli altri.
Qui mi giova ricordare la gioventù Nizzese: svelta, forte, coraggiosa - elemento magnifico per disposizioni di genio, sociale e militare. Ma condotta disgraziatamente su perverso sentiero - prima dai preti - secondo dalla deprevazione importata dallo straniero, che ha fatto della bellissima Cimele dei Romani la sede cosmopolita d’ogni corruzione.
CAPITOLO III.
I miei primi viaggi.
Oh! come tutto è abbellito dalla giovinezza ardente di lanciarsi nelle avventure dell’incognito! Com’eri bella, o Costanza!1 , su cui dovevo solcare il Mediterraneo, quindi il Mar Nero, per la prima volta!
Gli ampi tuoi fianchi, la snella tua alberatura, la spaziosa tua tolda - e sino il tuo pettoruto busto di donna - rimarranno impressi sempre nella mia immaginazione.
Come dondolavansi graziosamente quei tuoi marini Sanremesi - vero tipo de’ nostri intrepidi Liguri!
Con che diletto, io mi avventava al balcone per udire i loro popolari canti - gli armonici loro cori - Essi cantavano d’amore e m’intenerivano m’innebbriavano, per un affetto allora insignificante - Oh! se mi avessero cantato di patria, d’Italia! d’insofferenza di servaggio - ¿E chi aveva insegnato loro: ad esser patriota, Italiani, militi della dignità umana? Chi ci diceva a noi giovani, che v’era un’Italia, una patria, da vendicare, da redimere? Chi! I preti, unici nostri istitutori!
Noi, fummo cresciuti come gli Ebrei! E non ci additarono per premio, per mèta della vita, che l’oro! Intanto l’addolorata madre mia, preparavami il necessario per il viaggio a Odessa, col brigantino Costanza, Capitano Angelo Pesante di Sanremo - il miglior Capitano di mare, ch’io m’abbia conosciuto.
Se la nostra marina da guerra, prendesse l’incremento dovuto, il Cap.no Angelo Pesante, dovrebbe comandarne uno dei primi legni da guerra - e certamente non ve ne sarebbe meglio comandato - Pesante2 non ha comandato bastimenti da guerra - ma egli creerebbe, inventerebbe ciocchè abbisogna in un barco qualunque, dal palischermo al vascello per portarli allo stato d’onorare l’Italia.
E qui devo ricordare: in caso d’una guerra marittima dover il nostro paese far capitale della sua brava marina mercantile - Semenzaio di valorosi marinai non solo - ma di prodi ufficiali, capaci del loro dovere, anche nelle battaglie.
Feci il mio primo viaggio a Odessa - Cotesti viaggi son diventati così comuni - che inopportuno sarebbe lo scriverne.
Il mio secondo viaggio lo feci a Roma, con mio padre, a bordo della propria Tartana, S.ta Reparata - Roma! E Roma….. non dovea sembrarmi se no la capitale d’un mondo! Oggi la capitale della più odiosa delle Sètte!
La capitale d’un mondo - dalle sue ruine, sublimi, immense - ove si ritrovano affastellate le reliquie di ciò ch’ebbe di più grande il passato!
Capitale d’una sètta - un dì, di seguaci del Giusto - liberatore di servi! Istitutore dell’uguaglianza umana, da lui nobilitata - benedetto da infinite generazioni - con sac...