Delitto Ideale. Novelle
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Luigi Capuana (1839 – 1915) è stato uno scrittore, critico letterario e giornalista italiano, teorico tra i più importanti del Verismo.
Tra le opere narrative migliori di Capuana sono da annoverare le novelle ispirate alla vita siciliana, ai personaggi e ai fatti grotteschi e tragici della propria provincia, come nel realismo bozzettistico di alcuni racconti della raccolta "Le paesane" e in altre che non presentano situazioni drammatiche, ma sono divertenti e cercano sempre di mettere in evidenza il lato comico anche se il caso si fa serio. Nelle novelle numerosi sono i ritratti dei canonici, dei prevosti, dei frati cercatori con la passione della caccia, del gioco e della buona tavola, tipici di tanti personaggi della narrativa del secondo Ottocento.
Le fiabe, scritte in una prosa svelta, semplificata al massimo, ricche di ritornelli, cadenze e cantilene rimangono forse l'opera più felice del Capuana. Esse non nascono da un interesse per il patrimonio folkloristico siciliano e non vengono raccolte come documenti della psicologia popolare, ma nascono dall'invenzione.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788831636674
Argomento
Literature
Categoria
Classics
Luigi Capuana

DELITTO IDEALE


DELITTO IDEALE

A FEDERICO DE ROBERTO.
- E la giustizia? - esclamò Lastrucci.
- Quale? - replicò Morani. - Di quella del mondo di là, nessuno sa niente; la nostra, l’umana, è cosa talmente rozza, superficiale, barbarica, da non meritar punto di essere chiamata giustizia. Condanna o assolve alla cieca, per fatti esteriori, su testimonianze che affermano soltanto l’azione materiale, quel che meno importa in un delitto. Il vero delitto, lo spirituale, resultato del pensiero e della coscienza, le sfugge quasi sempre; e così essa spessissimo condanna quando dovrebbe assolvere e assolve, pur troppo! quando dovrebbe condannare.
- Ecco i tuoi soliti paradossi! La giustizia umana fa quel che può. Vorresti dunque punire fin le intenzioni nascoste?
- Certamente. Un omicidio pensato, maturato con lunga riflessione in tutti i suoi minimi particolari e poi non eseguito perchè l’energia dell’individuo si è già esaurita nell’idearlo e prepararlo, è forse delitto meno grave d’un omicidio realmente compiuto?
- Tu foggi un caso strano, eccezionale.
- Più comune di quanto immagini. Ed io ho conosciuto un uomo, degno veramente di questo nome, il quale si è giudicato da sè per un delitto di tal genere, e si è punito come se avesse proprio commesso l’omicidio soltanto fantasticato e progettato.
- Era pazzo costui.
- Era un gran savio, dovresti dire. La sua coscienza non gli dava pace. E siccome egli non poteva presentarsi a un giudice e accusarsi - il giudice avrebbe ragionato come te e lo avrebbe fatto chiudere in un manicomio - così per attutire i rimorsi, si è giudicato e si è condannato da sè ad espiare la stessa pena che il magistrato gli avrebbe inflitta, se avesse potuto giudicarlo secondo la legge ordinaria.
- Come ha fatto? E perchè avea voluto ammazzare?
- Per gelosia.
- Si sarà accordato almeno le attenuanti! - disse Lastrucci sorridendo.
- Nessuna attenuante - riprese Morani. - Oh! Non era uomo volgare. La profonda cultura e la esperienza della vita avrebbero dovuto metterlo in guardia contro i subdoli suggerimenti di quella bassa passione; infatti, riconosciutosi illuso dalle apparenze, egli pensava che sarebbe stato suo dovere sottrarsi al loro inganno. Invece, non aveva fatto nessuno sforzo; si era lasciato travolgere senza resistenza; e ciò rendeva imperdonabile agli occhi suoi l’intenzionale delitto.
- Non capisco. Siamo forse padroni di noi stessi in certe circostanze?
- Il mio amico giudicava che dobbiamo esser sempre padroni di noi stessi, se vogliamo dirci creature ragionevoli.
- Dal dovere all’essere ci corre un bel tratto. Costui, stimandosi creatura ragionevole, ragionava assai male.
- No. Tullio Dani ha fatto una nobilissima azione. La sua sublime eccezionalità consiste appunto in essa. Ascolta. Aveva preso moglie un po’ tardi, a quarantacinque anni; e la sua signora, bellissima, ne aveva appena vent’otto. Bell’uomo anche lui, serio, indipendente, avea potuto sodisfare ogni suo desiderio, coltivando lo studio prediletto delle cose letterarie e filosofiche, intraprendendo lunghi viaggi in Europa e in America per aumentare la sua cultura, che l’eccessiva modestia gli ha impedito di mostrare agli altri con lavori d’arte o di riflessione. Non ha mai pubblicato neppure un articolo, e avrebbe potuto scrivere libri assai meglio di parecchi. Aveva anche, come suol dirsi, goduto la vita. La sua virile bellezza gli avea procacciato facilmente molte buone fortune presso le donne. E fino ai quarantaquattro anni gli era riuscito di conservare intatta la sua libertà di cuore, forse per un sentimento di egoismo prodotto dalla passione dello studio, forse perchè fino allora non gli era avvenuto d’incontrare la donna ideale da lui vagheggiata. La solitudine della sua vita - era rimasto orfano giovanissimo e non aveva stretti parenti - non gli era parsa mai grave. Pagava unicamente con la carità il suo debito di uomo sociale; e non attendeva che la gente si rivolgesse a lui. Andava incontro a coloro che soffrivano, e tra questi sapeva indovinare coloro che soffrivano più chiusamente in miseria schiva e rassegnata.
Dopo i quarantaquattro anni, egli cominciò ad accorgersi che il celibato stava per divenirgli increscioso. Sentiva di aver sodisfatto a bastanza le esigenze dell’intelletto, e di aver trascurato troppo quelle del sentimento.
Annunziandomi il suo prossimo matrimonio, mi avea domandato:
- Ti sembra che ci sia molta sproporzione tra la mia età e quella della futura mia moglie?
- No davvero - risposi.
Questa idea che lo aveva tenuto esitante parecchi mesi, dovette riaffacciarglisi, sei mesi dopo, alla mente quando egli sentì i primi sintomi della gelosia che parve invecchiarlo di dieci anni in pochissimo tempo. Credendolo colpito da male occulto che gli insidiasse la vita, lo sollecitavo caldamente di consultare un medico e di curarsi.
- Sto benissimo - rispondeva.
- La tua signora è impensierita - gli dissi una volta.
- Per così poco? - soggiunse con accento d’ironia e di tristezza.
Non osai d’insistere oltre, sospettando intime ragioni inesplicabili per me. La giovane sposa mi sembrava in continua adorazione davanti a lui. Bionda, piccola, gracile, sufficientemente colta da potere apprezzarne l’elevatissima intelligenza e la immensa bontà d’animo, io la stimavo vinta dal doppio fascino della virilità di quel bruno, alto e forte, e della luminosità dello spirito che gli raggiava negli occhi nerissimi e nell’ampia fronte. Sapevo che lo aveva amato lei prima di essere amata, e che questa circostanza avea molto contribuito ad affrettare la risoluzione e la decisione di lui.
Un anno dopo, la febbre tifoidea troncava quasi improvvisamente quella giovane vita. Il dolore di Tullio per tale perdita fu così straordinario, che io, ripensando molti particolari da me notati e parecchie sue strane risposte, fui indotto a sospettarlo esagerato ad arte per scancellare le impressioni che essi avean dovuto lasciarmi nell’animo.
Ero suo amico d’infanzia. Da che gli era passata la smania dei viaggi, ci vedevamo quasi tutti i giorni; e soltanto così avevo potuto intravvedere il terribile dramma che si era rapidamente svolto nella vita intima di lui. Conoscendo però la sua indole taciturna per quel che riguardava certi fatti personali, non mi attendevo più di poter essere un giorno o l’altro l’unico confidente di quel segreto che avea sconvolto all’ultimo la sua felice esistenza.
Una mattina lo vidi apparire in casa mia con un grosso plico di carte in mano.
- Ho bisogno dell’opera tua. Vengo a chiederti il grave sacrificio di essere per parecchi anni l’amministratore dei miei beni.
- Intraprendi un lungo viaggio? - domandai.
- No.
E, dopo breve pausa, soggiunse:
- Non ti faccio una confidenza; quel che ora ti dirò potrai ridirlo, se ti sembra opportuno. Vorrei anzi, come i primi cristiani, confessarmi in pubblico, ma temo di veder male interpretata la mia azione, di apparire ridicolo. Tu saprai intendermi e compatirmi.
Lo guardai ansioso, e con un breve gesto di assentimento lo invitai a proseguire.
- Sono stato un miserabile vigliacco! - egli disse energicamente. - Ho commesso l’infamia di contristare, calunniandola con indegni sospetti, la più buona, la più santa creatura che io abbia conosciuta in questo mondo. La morte è stata giusta privandomi di così gran tesoro; non ero più degno di possederlo. Ho fatto anche peggio; sono stato assassino… con l’intenzione soltanto; ma questa circostanza non significa niente. Ho goduto intera la malvagia sodisfazione che quel delitto mi avrebbe dato nel caso che avessi avuto la forza di compirlo, e ne sento vivissimo rimorso, quasi lo avessi davvero compiuto. La giustizia umana non può colpirmi; io però non mi reputo meno assassino per ciò. Mi son giudicato da me, inesorabilmente, e mi son condannato alla pena che avrei meritata se la mano avesse già posto in atto quel che il pensiero si è lungamente compiaciuto di architettare con la più raffinata malizia.
- Oh, Tullio! - esclamai.
- Ti meravigli di scoprir cascato tanto in basso colui che ha vagheggiato in tutta la sua vita i più eccelsi ideali d’arte e di pensiero? La miseria dello spirito umano è così grande, che dovresti piuttosto maravigliarti di non vedermi cascato ancora più in basso! Sappi però che, se non sono stato effettivamente assassino, la mia volontà non c’entra per nulla.
Si fermò un istante, scosse la testa, strizzando un po’ gli occhi, poi riprese:
- Non riesco a spiegarmi neppur io come abbia cominciato a sospettare. Avrei dovuto reagire sùbito contro le prime impressioni prodotte da indizi riconosciuti fallaci. L’amor proprio, l’orgoglio lievemente feriti mi spinsero invece a dubitare di quel riconoscimento, a rimuginare quegli indizi, a ricercarne con intensa dolorosa voluttà altri nuovi. Forse li creò la mia fantasia, o forse un crudele destino mi ordì perfidi inganni con cento piccoli fatti facili ad apparire molto diversi da quel che essi erano in realtà…. Mia moglie, innocente, e senza nessun sospetto, non poteva evitare cer...

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