Eh! la vita.... Novelle
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Luigi Capuana (1839 – 1915) è stato uno scrittore, critico letterario e giornalista italiano, teorico tra i più importanti del Verismo.
Tra le opere narrative migliori di Capuana sono da annoverare le novelle ispirate alla vita siciliana, ai personaggi e ai fatti grotteschi e tragici della propria provincia, come nel realismo bozzettistico di alcuni racconti della raccolta "Le paesane" e in altre che non presentano situazioni drammatiche, ma sono divertenti e cercano sempre di mettere in evidenza il lato comico anche se il caso si fa serio. Nelle novelle numerosi sono i ritratti dei canonici, dei prevosti, dei frati cercatori con la passione della caccia, del gioco e della buona tavola, tipici di tanti personaggi della narrativa del secondo Ottocento.
Le fiabe, scritte in una prosa svelta, semplificata al massimo, ricche di ritornelli, cadenze e cantilene rimangono forse l'opera più felice del Capuana. Esse non nascono da un interesse per il patrimonio folkloristico siciliano e non vengono raccolte come documenti della psicologia popolare, ma nascono dall'invenzione.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788831636667
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

LUIGI CAPUANA

EH! LA VITA….

PASQUA SENZ’ALLELUJA

Nessuno se n’era mai accorto; ma quasi ogni notte Maria Ledda, dalla finestra, e Nino Sbrizza, dalla parte del vicolo, si comunicavano a bassa voce le loro pene di cuore.
Nino era geloso del figlio di mastro Paolo Barreca che, ogni domenica notte, conduceva i suonatori sotto i due balconi della casa di massaio Ledda e cantava, per lo meno, mezza dozzina di canzuni, una dietro l’altra, facendo sfoggio della bella voce di cui era orgoglioso.
C’erano volute tutte le preghiere e tutte le calde raccomandazioni di Maria per ottenere da Nino Sbrizza che lasciasse sbraitare il Barreca come gli pareva e piaceva. Non era sicuro di essere il preferito?
— Ma lui si vanta…
— Di che?
— Che tua sorella gli ha assicurato…
— Mia sorella non ha assicurato e non può assicurar niente a nessuno.
— Te n’ha parlato però!
— Mai! E se mi dicesse qualcosa, le risponderei: bada ai fatti tuoi.
— Pizzuto, che fa all’amore con tua sorella, è amico intimo di Barreca. Gli ha promesso: Ci penso io!
— Infatti!…
Lei si sporgeva dal davanzale della finestra; lui si rizzava sulla punta dei piedi, salito sopra un pezzo d’intaglio della casa in costruzione là di faccia; ma non si potevano toccare neppur la punta delle dita. Pel vicolo stretto, buio, passò un cane randagio, che die’ due o tre abbai, e scappò a una pedata di Nino. Dopo breve pausa, la conversazione ricominciò:
— E tuo padre?
— E’ in collera con mia sorella, appunto per Pizzuto.
— Io ho in casa la lima sorda di mia madre che vuol darmi la figlia di Garozzo.
— Sposala!
— Lo so; non ti dispiacerebbe: sposeresti Barreca…
— C’è lui solo in questo mondo?
— Che cosa hai detto?
Parlavano così basso che talvolta le parole di lei arrivavano giù come un confuso mormorio, e quelle di Nino si dileguavano per l’aria quasi fossero un po’ di fumo.
Maria si era ritirata improvvisamente e aveva chiuso la finestra. Egli attese mezz’ora, lusingandosi che lei ricomparisse. Accadeva spesso che un rumore interno dèsse un falso allarme. Ma quella volta Maria non si fece vedere neppure dietro i vetri, a picchiarvi su leggermente con la punta delle dita, per saluto. Cominciava a piovigginare.
La mattina dopo, Nino, appena uscito di casa, si trovò faccia a faccia con Pizzuto che pareva lo attendesse.
— Posso dirti una parola?
— Anche due.
— Tu vuoi sposare Maria Ledda.
— C’è qualcuno che non vuole?
— Precisamente, come dispiace a te che ci sia un altro…
— Ognuno per sè, Dio per tutti.
— Vorresti, forse… Perchè si dice: Fra due litiganti il terzo gode.
— Lo sai bene che il mio boccone non può toccarmelo nessuno.
— O dunque?
— Parlo per voialtri.
— Chi ha più forza vince.
— E’ quel che dico io. Bisognerebbe fare una scommessa, per finirla presto.
— Quasi noi fossimo padroni della volontà altrui!
— Dire alla ragazza: Mettici alla prova.
— Io, se tu non lo sai, ci sono alla prova da due anni. Barreca ha voglia di sgolarsi con le notturne! E se tu credi che la protezione della sorella, che è la tua zita[1], possa far cambiar Maria di volontà, la sbagli grossa. Di’ piuttosto al tuo amico che si metta il cuore in pace. E la finisca con le notturne[2] se no, qualche domenica notte succederà uno sbaraglio. Sono sei mesi che tenta. Credevo che egli ignorasse che il posto è preso. Ora, però, che non posso più dubitare…
— Non ti scaldar tanto!
— Che diresti tu se io tentassi di guastarti il nido?
— Con me è un’altra cosa.
— E’ un’altra cosa anche con me. E facciamo conto che non ci siamo visti, se sei un uomo, e se hai stomaco.
***
Lo stesso giorno, Nino si presentò a mastro Tano il suonatore che accompagnava le notturne di Saro Barreca.
— Per tre, quattro nottate, di domenica…
— Impossibile. Sono impegnato.
— Vi pago il doppio. Non faticherete niente. Dovrete sparire; e càlia e vino quanto ne vorrete, voi e i vostri compagni.
— Che mi fate fare!
— Questa è la caparra.
Senza mastro Tano era impossibile di combinare una serenata. Il suo violino parlava: — Buona sera! Buona sera! — con la voce di un cristiano. E se, smesso il violino, egli prendeva a suonare lo zufolo di canna, altro che il flauto del farmacista Arcurio quando egli vi soffiava: Mira Norma, ai tuoi ginocchi…. e la gente si affollava davanti alla farmacia!
Saro Barreca, quella domenica, pareva pazzo. Andava di qua, di là, su e giù anche pei viali fuori Porta, domandando a chi incontrava: — Avete visto mastro Tano, il suonatore? — Nessuno lo aveva visto. Neppure la maestra, come chiamavano sua moglie, ne sapeva niente. E il secondo violino? E il contrabasso? Spariti tutti! Poteva immaginare che era un tiro fattogli da Nino Sbrizza?
E, la notte del lunedì Nino diceva a Maria:
— Sei dispiacente; non hai avuto la notturna.
— Vuol dire che ha capito.
— Gliel’ho fatta capire io. Che è?… Piangi?
Maria singhiozzava.
— Parla più forte. Non aver paura! Con questo vento….
Il vento urlava nel vicolo, scoteva i tetti delle case e le imposte, quasi volesse portar via tutto, giù, nella vallata. Nino stentava a tenersi ritto sul solito pezzo d’intaglio che gli serviva da piedistallo. Il vento, che spazzava il vicolo, spazzava via pure le parole della ragazza, un po’ soffocate dai singhiozzi.
— Tuo padre?… Che vuole tuo padre?
— Gli hanno parlato…
— Che importa?… Se tu mi vuoi bene…
— Anche mia sorella…
— Chi le tocca il suo Pizzuto? Ah!… Tu dovresti darmi retta!… La notte del sabato santo.
— No! Questo no!…
— Sai? E’ tornata la gnà Vicenza. Suo figlio è morto. Verrà a trovarti. Con lei, possiamo fidarci, come prima…
Quella vecchietta, filatora di lino, era stata la loro confidente, la loro ambasciatrice. Da che se n’era andata a Grammichele, in casa del figlio, maritato colà, essi avevan dovuto adattarsi a quelle conversazioni notturne, tremando sempre di essere scoperti; spesso, come quella nottata, col vento che infuriava, non riuscendo a intendersi, e anche con la paura di buscarsi un malanno.
Alla notizia della visita della vecchietta, Maria ripetè:
— Questo, no! Questo, no! Ti saluto!…
***
Con la filatora Nino si sfogava:
— Non c’è altro verso. Se vuol farmi fare la buona Pasqua! Ora, con Saro Barreca guerra dichiarata. Un dispetto lui a me, due io a lui; botta e risposta! Finora ci ha avuto poco gusto. Dice che sta per indurre suo padre a far la richiesta a massaio Ledda.
— Dispone forse della volontà della figlia?
— Ah, gnà Vicenza! Voi sapete come sono le ragazze.
— Maria è buona, assennata…
— Niente; non c’è altro verso! Io poi dirò a suo padre: Fate come volete. Non è per la dote…
— E’ necessaria anche questa!
La gnà Vicenza si era ripresentata in casa di massaio Ledda col pretesto di chiedere lavoro, lino da filare; e aveva portato con sè la rocca con un grosso pennecchio e il fuso; c’era così bel sole su la terrazza! Maria e sua sorella andavano e venivano, per le faccende di casa. Maria ora indugiava a innaffiare i garofani e le viole a ciocche, e la gnà Vicenza, pur continuando a filare, quasi non badasse ad altro, le diceva:
— Fàllo contento. Non è giovane da abusarsi delle circostanze.
— Sua madre vuol dargli la figlia di Garozzo.
— Sua madre sarà felice del cambio… Mentre nessuno è in sospetto, nè tuo padre, nè tua sorella… Andresti via con S. Giovanni, santo glorioso, a suon di campanella benedetta…
Alludeva alla scommessa che correva tra i giovani massai per suonare, la notte di sabato santo, la campanella detta di San Giovanni e poi nella processione della Inchinata, la domenica di Pasqua. Saro Barreca aveva giurato: — Dovrò sonarla io! — E Nino Sbrizza, saputolo, aveva giurato: — Non la sonerai!
Maria era rimasta perplessa. Quella fuga, accompagnata dal suono della campana di san Giovanni, le aveva acceso l’immaginazione. La gnà Vicenza insisteva per la risposta.
— Gliela darò domani, alla benedizione delle Palme. Io, mia sorella e le nostre cugine saremo davanti al ballatoio del Sordo. Egli prenda di mira l’albero più vicino, per buttarlo giù quando sarà il momento e s’impossessi della palma benedetta. La gitti per aria, verso di noi. Io l’afferro, e se la bacio… vuol dire di sì!
— E se non riesci ad afferrarla?
— Mi bacio una mano. E vuol dire di sì. Se lui non butta per aria la palma benedetta, significa…
— Non significa nulla, con le zuffe che accadono. Palma o non palma, vado a farlo felice. La Madonna ti aiuti, figliuola mia!
E vedendo entrare Rica, la sorella di Maria, con un corbello di ulive nere salate da asciugare al sole, la gnà Vicenza disse:
— Per Pasqua ne voglio un pugno!
— Intanto, tenete.
La vecchia sporse il grembiule e Rica gliene versò due giumelle colme.
— E questa per me… — soggiunse Maria.
***
Il piano davanti alla chiesa rigurgitava di gente. Allato alla porta maggiore, chiusa perchè la cerimonia voleva così, il rozzo altare di pietra era parato a festa. Durante la nottata il piano aveva cambiato aspetto: un gran viale fiancheggiato da alberi improvvisati — lunghi pali di aloè confitti al suolo rivestiti di rami di querce e di olivo con in cima una piccola palma inargentata — si allungava, facendo gomito dalla via, fino alla porta maggiore della chiesa.
Le Ledda e le cugine erano tra la folla in attesa della processione. Nino Sbrizza, vestito di panno azzurro scuro, col berretto alla marinara, un garofano rosso all’occhiello e un siga...

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