Novelle (Illustrate)
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Informazioni sul libro

Edmondo De Amicis (Oneglia, 21 ottobre 1846 –Bordighera, 11 marzo 1908) è stato uno scrittore e giornalista italiano.
È conosciuto per essere l'autore del romanzo Cuore, uno dei testi più popolari della letteratura mondiale per ragazzi. NOVELLE (con disegni di V. Bignami): - GLI AMICI DI COLLEGIO.
- CAMILLA.
- FURIO.
- UN GRAN GIORNO.
- ALBERTO.
- FORTEZZA.
- LA CASA PATERNA.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788831640305
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

FURIO.

I.

C’era una volta un giovine bello e non sciocco, e nemmeno vano, che è più raro; o vano forse, ma in una certa sua maniera aperta e faceta, che piaceva. E non di quei belli, che c’è chi li trova così così, e a qualcuno anche non piacciono; era bello per tutti. Si sarebbe potuto paragonare a uno di quei giovani tanto frequenti nei romanzi francesi, e tanto rari, per fortuna, nel mondo reale, che per tutto dove passano lasciano una traccia di dissidii coniugali, di malinconie di ragazze, di collere d’innamorati; e ad ogni atteggiamento che pigliano, il romanziere gli fa cader su da qualche spiraglio un raggio di luna o di sole, e gli appiccica una similitudine tirata da qualche quadro illustre.
A pensare che era stato assuefatto da bambino a sentirsi passare sotto il mento la mano bianca delle signore, a esser baciucchiato dalle ragazze, a vedersi sempre intorno i genitori in adorazione, a farsi perdonare qualunque monellerìa con un atto grazioso, era una meraviglia il vederlo cresciuto così senza fumi, senza leziosaggini, buono, franco, alla mano, che si faceva voler bene da tutti, o almeno non dispiaceva a nessuno. Quando gli dicevano uno scherzo sulla sua bellezza, egli stesso ne scherzava, senza che da nessuna delle sue parole trasparisse un barlume di vanità, e svelava, con molta semplicità, certe sue finezze dongiovannesche, d’effetto provato, asseriva, e immancabile; e contraffaceva, con molta grazia, gli atteggiamenti e i modi proprii, spingendo sempre la cosa fino a tal segno di ridicolo da escludere affatto ogni sospetto d’artifizio.
Una sera, a una cena di amici, perchè gli avevano detto che la bellezza, nell’uomo, non conta nulla, che lo spirito è tutto, e che lo spirito, a voler esser giusti, e lo sfidavano a negarlo, era la parte meno notevole in lui, proruppe esilarato: - Già, tutti dicono così; ma poi che cosa si vede in effetto? Il rovescio, si vede. Nei romanzi, tutti gli uomini che fanno qualcosa di grande o di buono sono belli; tutte le donne si struggono d’avere dei figliuoli belli; gli aiutanti di campo si cercano belli; i commedianti bisogna che sian belli, gli oratori, belli, i re, belli; e di un poeta bravo, ma brutto, si dice: - Me lo figuravo diverso; - e il Byron si curava più del suo viso che della sua gloria, e il Leopardi avrebbe dato tutto il suo greco per un paio di occhi da incapriccire Nerina, e il Petrarca si dà del bello da sè, forma non glorior excellenti, sed…. ma sono un bell’uomo; e il Guerrazzi, sotto la maschera del suo Orazio, dice addirittura che le ragazze si voltavano indietro a guardarlo; e il Murat, coi fucili alla gola, pensava ancora a parer bello dopo morto; e ci sono delle città dove i prefetti brutti non ce li vogliono; e Cristo si dipinge bello, e gli angeli, perchè riesca più comodo di amarli, si rappresentano grandi e snelli come cavalleggieri di Saluzzo, o tondi e coloriti come le mele lazzeruole; eternamente brutti nei romanzi, nei quadri e nell’immaginazione della gente i cretini, i birbanti, e voi. -
L’indole sua aveva poi questo di singolare, che a volte egli si sentiva come scontento, e più che scontento, vergognoso quasi dei suoi pregi esteriori; ma neanche vergognoso, un sentimento come di disistima di sè, provava; appunto perchè, come gli avevan detto gli amici, in lui lo spirito era tanto da meno della persona, o per dir più giusto, la gente ne teneva tanto meno conto. Era d’ingegno aperto e sveglio, e non senza quel che di vivo e d’arguto, a cui si dà nome di spirito; ma di ben altra levatura avrebbe dovuto essere, perchè viso e cervello fossero alla pari. Quella sproporzione gli pareva ridicola, qualche volta umiliante; e diceva: - La mia anima è come una contadina zotica vestita da signora elegante. - È innamorato? - gli domandava un giorno la sua vecchia padrona di casa, vedendolo triste; - eh via! non si dia pensiero: lei è un bel ragazzo…. - Io sono un bel fantoccio, - egli rispondeva, e in quel momento pensava a una ragazza piantata da lui che una volta gli aveva scritto: - Lei ha sbagliato a nascere coll’anima; lo avremmo potuto mettere in una galleria. - E questo suo sentir meschino di sè lo pigliava sovente all’improvviso, come un mal di capo, in mezzo a una brigata d’amici, in specie se c’erano delle donne, e allora ammutoliva, pigliava il cappello, e via: chè già gli pareva d’aver detto tante sciocchezze, tanti spropositi, tante assurdità, da colmar la misura della più generosa tolleranza. Del resto, tutte queste debolezze provavano ch’egli era assai da più che non si credesse egli stesso; per lo meno un cervello sano e un cuore gentile; un po’ matto, quand’era allegro, e quand’era triste, un po’ acre; buon giovane, in fondo.
Aveva ventott’anni, i capelli biondi, la laurea di avvocato, un po’ di ben di Dio, e uno stranissimo nome ch’egli non poteva soffrire: Riconovaldo.
Ed ora comincio il racconto.

II.

Erano le sei della mattina. Furio spalancò le imposte della finestra, ed entrarono ad un punto nella sua camera un raggio di sole ed un’ondata d’aria odorosa, che gli diede un fremito di piacere soavissimo. Guardò il cielo, i monti, il giardino della villa, battè il pugno sul parapetto, dicendo: - Bello! - e pensò che aveva quattordici anni, e sentì che amava immensamente la vita. Un insetto saliva su per lo spigolo della persiana: egli allungò la mano per buttarlo giù; - Ma no, - disse subito: - oggi è giorno di grazia; vivi! - Rise, si appoggiò alla finestra a contemplar la campagna e canterellava.
In quel punto comparve sotto le sue finestre una carrozza vuota; una donna di servizio uscì di casa e aprì lo sportello, e tre piedi lunghi e asciutti si posarono l’un dopo l’altro sul montatoio, e tre persone asciutte e lunghe salirono e sedettero in fretta, il padre, la zia e la sorella di Furio.
Furio s’era ritirato un po’ indietro.
- Tra due ore si torna, - disse il padre alla donna di servizio.
- Colla signora! - rispose questa con un’espressione di timida allegrezza.
- Colla signora nuora, - soggiunse il primo con un sorriso dignitoso di compiacenza; e fatto un cenno al cocchiere, il legno si mosse.
- Un momento! - gridò la zia con voce stridula.
Il cocchiere fermò, e dalla carrozza si alzò un lungo braccio secco con un dito lungo e nodoso che, dopo aver tremolato un po’ nello spazio come la canna di uno spegnitoio di chiesa, si fissò verso la finestra di Furio; e la voce di prima gridò:
- Vestiti e scendi immediatamente! -
Furio scomparve.
- Non importa - disse il padre in tono conciliativo, - lascialo a casa, è un impiccio di meno.
- Voglio che venga!
- Via, non perdiamo tempo, è già tardi…. Avanti, cocchiere! -
Il legno ripartì. Furio si fece alla finestra, e vide ancora da lontano quel lungo dito formidabile appuntato contro di lui a guisa di una freccia, e una fila di dentoni digrignanti, che parevano la tastiera d’un pianoforte. Il legno scomparve; il ragazzo rimase qualche minuto immobile, cogli occhi a terra, mortificato. Ma ad un tratto sentì un delizioso odor di fumo lasciato giù dal cocchiere; si scosse, corse in un angolo della camera, tirò fuori un sigaro da un buco della parete, l’accese, e si mise a passeggiare. Pensava che di lì a due ore sarebbe arrivata sua cognata, la moglie del suo fratellastro, ch’egli non aveva mai vista, e ch’era, a quel che dicevano in casa, una bella signora, grande, bionda, ben vestita; e aveva piacere che venisse. Ma non un piacere schietto e tranquillo; perchè egli era timido, e un poco orso, come gli diceva sua sorella, o piuttosto zotico e sciocco addirittura, come gli assicurava la zia; e il pensiero di aver da comparir dinanzi a quella signora, in presenza di altri, di pieno giorno, e doverla guardare in viso, e doverla salutare, e doverle rispondere, lui che, in quelle occasioni, perdeva la bussola e non riusciva ad accozzar due parole, questo pensiero lo turbava un po’. A fissarvisi, si sentiva arrossire, solo com’era nella sua cameretta; figuriamoci là nel momento solenne.

III.

Del resto, chi volesse sapere che maniera di vita sarebbe venuta a trascinare in quella villa la cognata di Furio, lo dice questa lettera scritta da suo fratello, che c’era stato l’anno prima una diecina di giorni, a uno dei suoi amici intimi.
“…. Il ragazzo, Furio, è tornato a scuola in città, ch’è a un’ora di qui, il giorno dopo ch’io arrivai. Per quel poco che potei vedere, mi parve il miglior soggetto di casa; ma non gli vogliono bene. Sua sorella, Candida, sta tutto il giorno tappata in camera; e non ti saprei dir bene di che cosa...

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  1. NOVELLE
  2. Edmondo De Amicis
  3. NOVELLE
  4. A GONZALO SEGOVIA Y ARDIZONE
  5. GLI AMICI DI COLLEGIO.
  6. CAMILLA. RACCONTO.
  7. FURIO.
  8. UN GRAN GIORNO.
  9. ALBERTO.
  10. FORTEZZA.
  11. LA CASA PATERNA. DALLE MEMORIE DI WILELM VAN MINDEN.