La danza della collana. Romanzo
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Informazioni sul libro

Il romanzo ruota tutto intorno alla collana di perle che il giovane conte Giovanni Delys intende ritrovare per migliorare la propria vita.
Giovanni, dopo la morte della madre, va a casa di Maria Bardi per recuperare la collana che la donna aveva in custodia. In casa della Bardi il conte incontra Maria, nipote della omonima padrona di casa, e tra i due nasce un affetto.
La Deledda in una lettera del 1923 scrive all'amico Marino Moretti: «Ho finito un racconto che, secondo le mie intenzioni, si svolge in una grande città e dimostra il vano affanno delle nostre più forti passioni, l'amore, l'ambizione, l'istinto di apparire più di quel che siamo.»

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788831645867
Argomento
Literature
Categoria
Classics

LA DANZA DELLA COLLANA

(1924)

Note

  1. Les Prix Nobel en 1927, p. 49.
  2. in M. Massaiu, La Sardegna di Grazia Deledda, p. 44: quattro sorelle femmine, Giovanna (6 gennaio 1874-17 gennaio 1880), Vincenza (12 dicembre 1868-27 novembre 1896), Giuseppa (19 marzo 1877-Roma 1938), Nicolina (8 maggio 1879); due fratelli Giovanni Santo o Santus (1864-1914) e Andrea (1866-1922).
  3. 1 2 3 Zago, pp. 5-19
  4. 1 2 Turchi, pp. 9-20
  5. 1 2 Sapegno,pp. I-XXVIII
  6. Mario Miccinesi, Notizie biografiche, in Grazia Deledda, Edizioni Il Castoro, 1975, p. 118.
7. Sulla data del giorno di morte c’è controversia: alcune fonti riportano il 15 agosto:
Museo Deleddiano, isresardegna.it.
Maria Tettamanzi,Deledda, Editrice La Scola, Brescia 1969,
M. Giacobbe, p.7.
Vittorio Spinazzola, Cronologia, in Grazia Deledda,Romanzi Sardi, Mondadori, Milano 1981,
Anna Dolfi, Nota Biobibliografica in Grazia Deledda,Dieci Romanzi, Newton Compton, Roma 1994 ISBN 88-7893-711-7
A. Bocelli, Enciclopedia italiana.
Zago, p. 19;
altre fonti riportano il 16 agosto:
Sapegno, p. XXVIII
M.Miccinesi, p.118.
Turchi, p. 16
A. Pellegrino,Dizionario Biografico degli Italiani.
  1. 8. Museo Deleddiano
  2. 9. Francesco Bruno, Grazia Deledda, Di Giacomo, Salerno 1935.
  3. 10. Turchi, p. 15
  4. 11. Luigi Capuana, Gli ‘ismi’ contemporanei, Giannotta, Catania 1898; Nuova Edizione a cura di G.Luti, Milano, Fabbri Editori 1973, pp. 96-97.
  5. 12. Giuseppe Antonio Borgese, Grazia Deledda, in La vita e il libro, Torino 1911, pp. 104, 97.
  6. 13. Ruggero Bonghi, Prefazione, in Anime oneste, Milano 1895.
  7. 14. Emilio Cecchi, Introduzione in Grazia Deledda, Romanzi e novelle , 4 volumi, Milano, Mondadori 1941.
  8. 15. Sapegno,p. XIV
  9. 16. Vittorio Spinazzola, Introduzione, in Grazia Deledda, La madre, Mondadori, Milano 1980, p. 17.
  10. 17. Attilio Momigliano, Grazia Deledda in Storia della letteratura italiana, Principato, Milano-Messina 1936.
  11. 18. Attilio Momigliano,Storia della Letteratura Italiana dalle origini ai nostri giorni, Principato, Milano-Messina 1948.
  12. 19. Francesco Flora, Dal romanticismo al futurismo, Mondadori, Milano 1925.
  13. 20. Francesco Flora, Grazia Deledda in Saggi di poetica modernaD’Anna, Messina-Firenze 1949.
  14. 21. Luperini-Cataldi-Marchiani-Marchese, La scrittura e l’interpretazione, Dal naturalismo al postmoderno, Palumbo Editore, Firenze 1998, p. 158.
  15. 22. Sui paragrafi Il peccato e la colpa, Il bene e il male,Sentimento religioso e Personaggi cfr.: Dino Manca,Introduzione a L’edera, edizione critica, Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi/Cuec, 2010, pp. IX-CXVI.
  16. 23. Dino Manca, Introduzione a L’edera cit., p. XI.
  17. 24. Nicola Tanda, Dal mito dell’isola all’isola del mito. Deledda e dintorni, con un’appendice di lettere, Roma, Bulzoni, Roma, 1992; Introduzione a Canne al vento, Milano, Mondadori, 1993.
  18. 25. Il bilinguismo di Grazia Deledda - Il Manifesto Sardo
  19. 26. http://www.maldura.unipd.it/italianistica/ALI/principale.html
EndFragment
La corteccia dell’inverno si screpola: vene rosse fra il nero delle nuvole e sfumature verdi sulla terra scura annunziano il ritorno della buona stagione. Verso il tramonto la luna nuova appare sull’occidente schiarito, come una barca che dopo un viaggio fortunoso rientra felicemente in porto; e il suo chiarore glauco si riflette sul verde cupo degli allori laggiú negli avanzi dei parchi invasi dalla marea delle nuove costruzioni.
Su questo sfondo di orizzonte si delinea la città nuova, coi suoi palazzi bianchi, le terrazze aeree festonate di panni tesi ad asciugare; con qualche cipresso nero che ravviva intorno a sé il colore liquido del cielo: e da questa montagna di costruzioni, che dà all’aria umidiccia un sapore di calce e di ragia, scendono i fiumi delle strade ancora non terminate; fiumi di selci arginati dai marciapiedi di granito, che solcano i prati ancora nudi e vanno a perdersi fra i canneti e le ginepraie della campagna.
Un uomo, sceso anche lui dalla città lungo queste strade, s’è fermato appunto al principio di un prato, dove finiscono le case di un quartiere nuovo, e osserva l’ultimo dei villini, alquanto distaccato dagli altri e che pure non ha l’aria di esser costruito di recente.
È un villino a due piani: non ha giardino, solo un ampio terreno a fianco, cinto di un reticolato di ferro: sulla facciata grigia granulosa le persiane verdi sono chiuse: pure chiuso il portoncino lucido di coppale rifugiato sull’alto di due scalini di marmo, e le cui grosse borchie d’ottone e la targhetta ovale col nome del proprietario brillano come d’oro.
Solo al piano superiore una finestra è aperta e la tenda bianca che a tratti vi si agita pare voglia incoraggiare l’uomo ad attraversare il fiume di breccia della strada.
Egli attraversa, ma esita prima di salire gli scalini del portoncino, quasi si tratti di inerpicarsi su una montagna: i suoi occhi sono abbastanza acuti per leggere il nome inciso sulla targhetta di ottone: «Maria Baldi» e poiché è proprio questa Maria Baldi che egli cerca, si fa di nuovo coraggio per salire e tendere il dito onde premere il bottone del campanello.
Poi esita di nuovo e guarda il portoncino come si guarda un viso sconosciuto. Le borchie d’ottone gli sembrano davvero due strani occhi; e a loro volta lo fissano riflettendo grottescamente il suo viso che là dentro pare quello di un mulatto ubbriaco.
È un viso ridicolo che tuttavia gli fa paura. Ma egli reagisce: una sfida misteriosa corre subito fra lui e lo spirito folletto ch’è dentro le borchie a guardia della casa tutta chiusa. Tu non suonerai, uomo, tu non puoi suonare, tu sai il perché.
Egli toccò il bottone freddo del campanello, ma senza poter premere: aveva l’impressione che un filo interiore gli tirasse la mano indietro: sentí però un passo nell’interno della casa, un passo che si avvicinava alla porta, come se qualcuno dentro avesse spiato e venisse ad aprire: e suonò.
E allo spalancarsi della porta sentí il sangue affluirgli al viso per un impeto quasi selvaggio di gioia, tanto che la donna che aveva aperto ne fu investita di riflesso: ed entrambi parvero trasalire, come due che si conoscono e da molto tempo non si rivedono.
La donna era vestita per uscire: il mantello rossiccio con ricami dorati sulle falde simili ad ali ripiegate, e il berrettino di velluto nero con due uncini di piuma, le davano un aspetto di farfalla.
– Lei è la signorina Baldi? – domandò l’uomo con voce chiara.
Ella accennò appena di sí, con uno sbattere di palpebre timido e diffidente.
Rassicurato, egli disse:
– Non vorrei incomodarla perché vedo che sta per uscire; si tratta del suo terreno qui accanto, per un probabile acquisto.
Questa notizia la intimidí maggiormente, e scompose il suo viso fine e bruno rischiarato dai luminosi occhi glauchi che per l’ombra delle lunghe ciglia e delle sopracciglia unite ricordavano i laghi in mezzo ai boschi.
– Chi le ha detto che il terreno si vende? – domandò come si trattasse di una calunnia.
Egli rispose sullo stesso tono, quasi per giustificarsi:
– Un’agenzia, signorina: ho qui il suo indirizzo, e la pianta del quartiere. Ma sono anche informato che lei non ha per adesso intenzione di vendere: ed ha ragione: i prezzi salgono di giorno in giorno. Tuttavia l’offerta sarebbe vantaggiosa molto. Non è proprio possibile trattare?
– Mi dispiace, no: almeno per adesso.
Ella però parlava sempre un po’ incerta: ed egli insisté:
– Lei mi permetterà almeno di lasciarle il mio indirizzo e pregarla di ricordarsi di me nel caso si decidesse a vendere.
Ella prese esitando e come solo per buona creanza il biglietto che egli le porgeva: lo guardò, sollevò gli occhi rassicurati: poiché, protetto e illuminato da una piccola corona, aveva veduto un bel nome:
Conte Giovanni Delys
Un conte è sempre, agli occhi di una donna, qualche cosa di piú di un uomo comune: e colui che portava questo titolo dimostrava di meritarlo, per la sua figura alta e diritta, e la corretta eleganza del vestire; e sopratutto si degnava di guardare con molto interesse la proprietaria del terreno perché questa non se ne dovesse sentire lusingata. Tanto piú che lei sapeva l’altissimo prezzo del terreno. Ma questo pensiero appunto le oscurò di nuovo gli occhi e la spinse fuor della porta che tirò dietro di sé.
L’uomo si sente respinto: resiste però, fermo sulla sua posizione.
– La cessione del terreno, scusi ancora questa domanda, dipende esclusivamente da lei?
– Non da me solamente, è questo, – ella risponde, d’un tratto sicura e quasi dura: – o sí, dipende da me, se voglio; ancora non ho deciso perché ho intenzione di fabbricarci io.
Questa notizia parve quasi rallegrare l’uomo: i suoi vivi occhi neri, che non cessavano di fissare la donna, si volsero a guardare il terreno.
– La posizione è magnifica, e avendone i mezzi è un vero peccato non fabbricarci subito: ma più peccato ancora è che non possa fabbricarci io, – aggiunse sorridendo.
Aveva un sorriso beffardo e melanconico, che ringiovaniva di colpo il suo viso glabro alquanto lungo e scavato, ma lasciava vedere troppo i denti forti eppure già alcuni ricoperti d’oro.
Anche questo sorriso piacque alla donna: quella bocca grande, cattiva e triste, le destò un senso di desiderio: e subito ella parve interessarsi alquanto ai casi di lui; scese uno scalino e con la mano nuda indicò uno spazio ancora libero di costruzioni.
– Vede, lí è tutto ancora da vendere, e a buone condizioni. Sono terreni di una cooperativa, che s’incarica pure di costrurre.
Egli seguiva la mano di lei con uno sguardo tenace come un bacio.
– Lo so, lo so: ma era il suo terreno che io volevo.
Ella fece un gesto vago, come per dire «se dipendesse solo da me la contenterei», poi risalí lo scalino e si volse per chiudere la porta.
Egli non se ne andava: quando ella si rivolse per salutarlo lo vide cosí scavato e rattristato in viso che provò quasi un senso di pietà: le parve ch’egli volesse chiederle ancora qualche cosa, forse di accompagnarla, di non lasciarlo solo al limite della città misteriosa che in quella giornata di solitudine – era un sabato e gli operai non lavoravano – sembrava fatta di rovine.
Egli però si ricompose subito, salutò e lasciò ch’ella se ne andasse.
Ella se ne andava col suo passo silenzioso ed agile, sicura sui tacchi altissimi delle scarpette lucide che riflettevano il colore dorato delle calze trasparenti: e pareva fosse la carne dura delle sue gambe sottili a risplendere attraverso quel velo. Il mantello e il vestito corto svolazzavano assieme, lievemente, con un movimento di piacere e di scherzo, felici di andarsene in giro; e tutta l’armoniosa figura di lei, sullo sfondo di quelle grandi strade nuove che non finivano neppure all’orizzonte e parevano fatte per lei, per condurla nel mondo, si moveva con un passo di danza, sull’arco fra il tacco e la punta delle scarpette luminose.
L’uomo la seguiva, alquanto di lontano, e senza volerlo camminava anche lui lieve, quasi cercando di non far rumore perché lei non se ne avvedesse; ma sentiva ch’ella sapeva bene di questo inseguimento e se ne compiaceva, e che, lui volendo, non sarebbe piú andata dove intendeva andare prima d’incontrarlo, ma in qualche luogo dove incontrarsi ancora: poiché la proprietaria di terreni e l’uomo che vuole tentare una speculazione erano scomparsi, e rimanevano solo la donna che cammina lieta di sé e della sua bellezza nelle vie del mondo, e il maschio che la insegue.
La strada si allargava; dilagò in una piazza donde parve sfuggire da tutte le parti in altre strade felici di ville, di giardini, di sfondi d’azzurro e d’argento; proseguí, piú in là affogata da grandi palazzi e pur tuttavia ancora deserta, ancora tutta dell’uomo e della donna: già però nello sfondo s’intravedeva uno scorrere e incrociarsi di veicoli, un movimento di folla; e si sentiva lo stridere e il rombare della città viva.
La donna affrettava il passo, come se qualcuno laggiú la chiamasse e l’attendesse: e l’uomo s’affrettò anche lui, spinto da un primo senso di gelosia, o dall’istinto del cacciatore che vede la preda perdersi e salvarsi nella macchia. In cima alla strada ella svoltò seguendo sempre il marciapiede a sinistra, ed egli fece a tempo a raggiungerla con lo sguardo. E gli parve che tra la folla grigia il colore del mantello di lei spandesse come una calda raggiera che arrivava fino a lui; e che, per l’andatura volante, ella scivolasse sui pattini, volteggiando intorno alle persone che le impedivano il cammino, e facendosi largo col solo suo avanzarsi.
Solo la vide esitare un attimo davanti a un grande portone, quasi dovesse entrarci, o perché lí era diret...

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  1. LA DANZA DELLA COLLANA
  2. Grazia Deledda
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