Perché l'Italia non cresce
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Il saggio si propone di indagare sulle ragioni per cui l' Italia non cresce, evidenziando il fatto che solitamente si è portati a ritenere che il paese non cresce: perché si pagano troppe tasse, c' è troppa corruzione, la burocrazia scoraggia gli investimenti, l' evasione fiscale penalizza le imprese oneste, si investe poco nella ricerca e in infrastrutture, la classe politica è inadeguata, ragioni che sono sempre state presenti nel nostro paese e che quindi non spiegano perché oggi diventano la causa determinante del mancato sviluppo. Tra le motivazioni ricorrenti indicate da numerosi esponenti politici c'è anche la convinzione che "quando c' era la lira si stava meglio". Il saggio spiega le ragioni per cui tale affermazione è falsa e priva di fondamento e perché non ha senso scagliarsi contro l' Europa, la Merkel, la Germania, le banche e i cosiddetti poteri forti. Si invita quindi il lettore ad allargare gli orizzonti e ad indagare sulle trasformazioni che sono in atto nel mondo, analizzando prima le cronicità del sistema Italia, vale a dire l' invecchiamento della popolazione, il numero degli occupati 65, 3% rispetto al 74% della Germania, ma anche la situazione disastrosa in cui versa la scuola italiana e la mancata valorizzazione negli anni ottanta dei marchi storici della nostra industria e il ritardo nell' attuazione del controllo qualità nel settore industriale che impediscono oggi all' Italia di conquistare i mercati emergenti così come accade alla Germania nel settore automobilistico. Più che fare l' elenco delle cose che l' Italia sa fare, si pone l' accento su che cosa non sa fare e si spiega perché l' Italia è assente in quei settori strategici come l' ITEC, perché la piccola e media impresa fatica ad essere presente nel mercato globale e perché manca la codifica delle regole di una nuova era economica in cui capitale e informazione rappresentano i nuovi fattori della produzione. Il saggio invita il lettore a non coltivare l' illusione che gli italiani siano più intelligenti degli altri, ma che al contrario non hanno le capacità necessarie e gli strumenti per conquistare una presenza nella new economy e svolgere un ruolo da protagonisti. L' assenza dell' Italia da industria 4.0 fa paura e il notevole ritardo con cui la classe politica è corsa a i ripari, con un intervento di 20 miliardi di euro, potrebbe essere letale per il sistema produttivo italiano. La seconda parte del saggio propone un programma di interventi per riequilibrare le distorsioni del sistema Italia a partire dalla fiscalità, dal sistema pensionistico, dalla errata convinzione che la legge tuteli i diritti acquisiti, alla riforma della giustizia e al riassetto della pubblica amministrazione. Ma la riforma più importante è data dalla conoscenza dei meccanismi che regolano la produzione della ricchezza e dalla necessità di trasferire l' imposizione fiscale del patrimonio dai capannoni che non producono ricchezza e costringono le aziende in crisi a chiudere l' attività, alla tassazione dei database acquisiti senza alcuno sforzo economico e che producono ricchezza quando raggiungono dimensioni ragguardevoli, delle aziende che usano i robot al posto degli operai per fornire allo stato le risorse per sostenere la perdita di posti di lavoro che interesserà nei prossimi 20 anni il 50% della popolazione. Riconoscere ai proprietari del made in Italy (gli italiani) le royalties da parte di chi fa uso del marchio. Infine comprendere che per fronteggiare la concorrenza di giganti come la Cina, gli Usa, la Russia, l' India e il Brasile è necessario far parte di una potenza economica come l' Europa che deve completare il percorso di federazione di stati indipendenti così come Altiero Spinelli aveva indicato nel manifesto di Ventotene.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788827867365

I paradisi fiscali

Il trasferimento nei paradisi fiscali come le Bermuda, dove le imprese fruiscono di minore tassazione e di maggiori guadagni contabili, é diventato ancora più popolare negli ultimi mesi. Come esempio, si segnala la Stanley Works, impresa con sede nel New Britain, Connecticut, che ha annunciato appena qualche tempo fa che si sarebbe unita alla lista. Le recenti cadute del valore delle azioni hanno trasformato il ricollocamento sotto le leggi impositive in una misura più economica, e le imprese di contabilità e di consulenza si sono trasformate in portavoce di tale idea.
Questa situazione discutibile dà adito a grandi polemiche giacché, subito dopo gli attentati dell’11 settembre, é stato modificato l’uso dei regolamenti contabili e finanziari delle imprese statunitensi in conseguenza dei problemi di varie imprese nei paradisi fiscali, come la Tyco International Inc. e la Global Crossing Ltd., entrambe con sede nelle Bermuda. In tal senso, la propaganda sul trasferimento di capitali verso tali paradisi fiscali risulta essere contraddittoria.
Simultaneamente, la politica adottata dalle autorità finanziarie in questo senso cerca di persuadere i cittadini dei probabili guadagni ottenibili e quanto sia attualmente antiquato pensare alla solidarietà tra nazioni, popoli e generazioni o alla cooperazione ed aiuto ufficiale allo sviluppo.
I paesi membri dell’OCSE, con il pretesto di stimolare lo sviluppo economico e l’occupazione, non hanno rinunciato a firmare l’Accordo Multilaterale sugli Investimenti (AMI), che assegnerebbe tutti i diritti agli investitori e imporrebbe, così, tutti i doveri agli Stati. Allo stesso modo, la Commissione Europea ed alcuni governi pretendono di continuare la loro crociata per il libero scambio, attraverso l’esecuzione di una patto per un Nuovo Mercato Transatlantico (NTM), lo stesso che punta apertamente a consolidare l’egemonia degli Stati Uniti nei settori degli audiovisivi e, dall’altro lato, allo smantellamento della politica agricola comune europea.
I paradisi fiscali hanno proliferato in tutto il pianeta, e spesso si sono trasformati, al di fuori della legge, in ricettori di denaro proveniente dalla criminalità. Vi si trova di tutto: dall’isola di Aruba fino alle banche in Svizzera. In essi si porta a compimento tutto ciò che ha a che vedere con il sostegno della delinquenza finanziaria ed il riciclaggio dei guadagni delle organizzazioni criminali, con operazioni in successione: collocamento, accumulazione, integrazione.
Il collocamento consiste nel trasferire denaro liquido e valuta dai luoghi di acquisizione agli istituti finanziari in diverse località, ripartiti in una moltitudine di conti. Si passa quindi alla accumulazione, attraverso il riciclaggio, che rende impossibile risalire all’origine dei benefici illeciti: moltiplicazione di bonifici da un conto all’altro -con i conti frammentati in vari sotto conti- e l’accelerazione dei movimenti di capitale mediante uscite e entrate parallele nei vari mercati finanziari. Quindi, l’ultima tappa, quella dell’integrazione pianificata dei capitali riciclati, raggruppati in conti bancari selezionati e disposti in modo da essere utilizzati in totale legalità.
Le stesse tecniche, e gli stessi circuiti, servono anche per la gestione delle fortune al di fuori di qualsiasi occhio curioso e anch’esse discutibili per la loro origine- delle famiglie milionarie o dei governanti corrotti, passando attraverso il denaro in nero dello sport e dello show business; attraverso la speculazione, i reati di traffico di informazione privilegiata e la frode fiscale, al di fuori del controllo da parte delle autorità. L’insieme delle fortune private che hanno trovato rifugio nei 55 paradisi fiscali del mondo, si calcola siano equivalenti al 15% del prodotto lordo mondiale.
Tutto ciò si ottiene attraverso l’evasione ed il trasferimento dei guadagni delle multinazionali verso filiali off-shore, mediante la manipolazione dei costi di trasferimento; attraverso l’alimentazione di conti protetti di società fantasma; il finanziamento di partiti e personaggi politici; il pagamento di commissioni nei mercati e di moltissime altre operazioni delittuose.
Viene offerta, a prezzi molto competitivi, una gamma di servizi finanziari appropriati: segreto bancario protetto da eventuali sanzioni penali, assenza di controllo dei cambi, diritto a realizzare qualsiasi forma di contratto, portare a termine qualsiasi transazione e costituire qualsiasi forma di società, compresa quella fittizia, con l’anonimato garantito dei commissionari.
Anche le condizioni generali sono idonee: esenzione fiscale o imposta globale simbolica; libero accesso, in tempo reale, a tutti i mercati mondiali e corrispondenza garantita con le grandi reti bancarie, generalmente rappresentate sul posto; attrezzature logistiche efficienti, specialmente per quanto riguarda i mezzi di comunicazione; assistenza, arbitraggio, gestione giuridica e contabile in loco; sicurezza e stabilità politica scarsa o inesistente, repressione della criminalità finanziaria e cooperazione internazionale nulla.
Anche se pochissimi paradisi fiscali offrono la gamma completa, ed un gran numero di essi sono specializzati in determinati tipi di servizi, questi si mantengono in relazione tra loro attraverso giochi di operazioni che garantiscono all’utente il massimo dell’efficacia sia nella gestione delle faccende criminali, sia contro le indagini e i processi di polizia e giudiziari.
Per questo le banche elvetiche -la Svizzera é il paese riciclatore per eccellenza- ricevono e “riciclano” le operazioni di accumulo meno presentabili, utilizzando la rete Swift, la rete di telecomunicazioni finanziarie mondiali interbancarie, che raggruppa circa 4000 banche in un centinaio di paesi e garantisce due milioni di bonifici giornalieri codificati, o il sistema Chips che comprende camere di compensazione dei sistemi di pagamento interbancario, che trattano giornalmente circa mille milioni di dollari di movimenti di fondi.
Per gli evasori finanziari che amano dare un’occhiata ai cataloghi pubblicitari dei paradisi fiscali prima di realizzare le loro operazioni, esistono sia su carta patinata sia su Internet i saggi consigli che tutte le Banche rispettabili riservano ai loro migliori clienti. Una buona formula che ha fatto fortuna: far in modo che una fiduciaria svizzera gestisca un conto aperto a nome di una società panamense su una banca lussemburghese.
In generale, milioni di conti, decine di migliaia di società-fantasma (un numero maggiore degli abitanti di Gibilterra, delle Isole Vergini, di Vaduz o dello Jersey) gestiscono e riciclano centinaia di migliaia di dollari del volto occulto dell’economia mondiale.
Il 95% dei paradisi fiscali sono antichi insediamenti o colonie britanniche, francesi, spagnole, olandesi, nordamericani rimasti dipendenti dalle potenze tutelari e la cui sovranità fittizia serve da copertura ad una criminalità finanziaria non soltanto tollerata, ma incoraggiata in quanto utile e necessaria per il funzionamento dei mercati.
La City di Londra -come il resto delle grandi piazze finanziarie- lavora con tale denaro. Ciò é dimostrato dalla costante opposizione della Gran Bretagna -ma anche del Lussemburgo e dell’Olanda- verso qualsiasi tentativo della politica europea di tassazione e controllo dei movimenti di capitali.
E’ veramente inconcepibile che paesi sviluppati, capaci di assecondare ed imporre a decine di nazioni i piani di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale e di sottomettere per anni a blocco e a sanzioni economiche Stati come l’Iraq, l’Iran, la Libia e Cuba siano gli stessi che, nonostante ciò, promuovono al massimo tali reati in paesi che in grande maggioranza continuano ad essere dei protettorati.
La OMC e l’Unione Europea, così disponibili ad introdursi in tutti i settori di attività, potrebbero influire, se questo fosse il loro interesse, sullo smantellamento di tali paradisi fiscali ed imporre quindi, realmente, la tanto dibattuta “trasparenza”.
Gli ingranaggi di questa macchina che produce disuguaglianza tra il Nord e il Sud, e anche nel cuore stesso dei paesi sviluppati, possono essere bloccati. Con troppa frequenza l’argomento della fatalità viene alimentato dalla censura dell’informazione sulle alternative. Ciò é tanto vero, che le istituzioni finanziarie internazionali ed i grandi mezzi di comunicazione (i cui proprietari sono generalmente beneficiari della globalizzazione) hanno taciuto sulla proposta dell’economista americano James Tobin, premio Nobel dell’economia, di imporre una tassa alle transazioni speculative sui mercati valutari.
Si é taciuto anche sull’imposizione di una tassa particolarmente bassa tra lo 0,1 e lo 0,5%. Questa somma, assunta e raccolta essenzialmente dai paesi sviluppati dove inoltre si trovano le grandi piazze finanziarie, potrebbe essere consegnata a organizzazioni internazionali per azioni di lotta contro le disuguaglianze, la promozione dell’istruzione e la salute pubblica nei paesi poveri, la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione, ha fatto si che il volume delle transazioni monetarie giornaliere siano passate dai 150 mila milioni di dollari nel 1985 agli attuali 1,5 milioni di milioni. Secondo stime della Banca delle Regolazioni Internazionali, l’imposizione di uno 0,1% sulle transazioni dei mercati di cambio comporterebbe entrate annuali pari a 228 mila milioni di dollari, mentre con lo 0,05% (proposta del Parlamento francese del 1999) si otterrebbero circa 100 mila milioni di dollari l’anno.
Negli ultimi anni, la crescita dell’economia finanziaria ha seguito una tendenza esponenziale. Nel 1988 la capitalizzazione borsistica negli Stati Uniti corrispondeva al 50% del PIL; oggi supera il 150%.
Dopo la crisi finanziaria che ha colpito il Messico nel 1994, i paesi del Sud-Est asiatico nel 1997, la Russia nel 1998 ed il Brasile nel 1999, attribuita in parte alle manovre dei capitali speculativi, é evidente la necessità di ostacolare il movimento internazionale di tali capitali.
Nei termini dell’economia reale, il commercio in beni e servizi per la totalità dei paesi ammonta a 4,3 milioni di milioni di dollari l’anno. Ma le transazioni finanziarie realizzate in meno di una settimana superano il volume totale del commercio mondiale. Gli investitori speculano sui diversi valori delle monete e sulla loro influenza sulle variazioni dei tassi di interesse, senza alcun rapporto con la produzione ed il commercio di beni e servizi.
Alcuni esperti hanno indicato che più del 40% di tali transazioni implicano movimenti di capitali inferiori ai tre giorni, e più dell’80% si muovono in meno di una settimana. L’82% delle transazioni sono realizzate in un numero limitato di paesi: Gran Bretagna (32%), Stati Uniti (18%), Giappone (8%), Singapore (7%), Svizzera (4%), Hong Kong (4%) e Francia (4%).
Nel momento in cui vengono organizzate con successo mobilitazioni, in occasione dei vertici internazionali, l’adozione della Tobin-Tax sarebbe vista come una grande vittoria politica sulla fatalità della globalizzazione neoliberale. Si comprende così perché il governo degli Stati Uniti fa tutto il possibile per proibire ogni riferimento alla Tobin-Tax nei vertici e nell’ambito delle istituzioni internazionali, per impedire gli studi di fattibilità e la pubblicazione di opere relative al tema.
La sfida é anche economica. Le banche sono i primi attori nei mercato di cambio e sarebbero le prime vittime della Tobin-Tax. Non é per nulla strano, quindi, che si oppongano selvaggiamente ad essa. Gli argomenti di coloro che contestano la tassa sono vari.
Il primo, é che tale imposta é impraticabile sul piano tecnico. In realtà, le stesse innovazioni tecniche basate sui sistemi nazionali di pagamento elettronico, indispensabili al sistema bancario e finanziario, fanno si che sia possibile provare ad applicare l’imposta. Questi sistemi permettono di identificare la natura delle transazioni, specialmente quelle cambiarie, e l’identità di venditori e compratori, che evidentemente permette di esigere il pagamento di detta tassa.
Esistono accordi internazionali, come quelli chiamati “accordi di Lamfalussy” che risalgono al 1988, i quali stabiliscono il quadro giuridico appropriato affinché le banche centrali facciano rispettare la legislazione del loro paese da parte di tutti coloro che vogliono utilizzare il loro sistema nazionale di pagamenti elettronici e, per tanto, possono far rispettare il pagamento della tassa. I paradisi fiscali ed i sistemi privati di pagamento chiamati “offshore” non potrebbero eludere per troppo tempo tale imposta.
Esistono soltanto per il fatto che non c’é la volontà politica di eliminarli. D’altra parte, i capitali non possono permanere eternamente confinati nei paradisi fiscali, né usare permanentemente sistemi di pagamento privati. Prima o poi dovranno uscire da questi Paesi per realizzare investimenti e utilizzare i sistemi ufficiali di pagamento. Si potrebbe quindi riscuotere la tassa con addizionali punitive. In modo tale che la Tobin-tax sia tecnicamente possibile.
Un altro dei frequenti argomenti si riferisce all’utilità della tassa. La Tobin-tax é inefficace in caso di attacchi speculativi di enorme grandezza, come quello che condusse all’esplosione del Sistema Monetario Europeo nel 1992-1993, o come quello che provocò la fuga di capitali dal Sud-Est asiatico.
La risposta é semplice. L’essenza di un’imposta di tale indole, é di agire in maniera preventiva impedendo che piccoli attacchi speculativi si trasformino, nel momento in cui fossero resi non redditizi, in attacchi di grande portata. Se nonostante tutto si scatenasse un grande attacco speculativo su una determinata moneta, si potrebbe aumentare, transitoriamente, l’ammontare dell’imposta, ad eccezione, sempre, delle transazioni vincolate al commercio e all’investimento.
Annunciando pubblicamente, e in anticipo, che l’imposta aumenterebbe automaticamente se i tassi di cambio fluttuassero fortemente, qualsiasi banca centrale potrebbe scoraggiare efficacemente la speculazione. Se ciò non fosse sufficiente, nulla impedisce di ricorrere alle classiche misure di controllo dei cambi come nel 1998 la Malesia, nonostante l’opposizione degli investitori internazionali.
Può attuarsi ugualmente con una imposta sulle entrate eccessive da capitale, messo in pratica fino a poco tempo fa dal Cile.
Non si può inoltre trascurare il fatto reale che tale imposta non risolverà tutti i problemi che l’umanità ha di fronte. Ma potrebbe contribuire efficacemente alla ricostruzione del sistema monetario internazionale nel quale i tassi di cambio sarebbero regolarmente rinegoziati tra i paesi, in funzione degli obiettivi di crescita e di sviluppo.
Pertanto, sarebbe necessario sottoporre a tassazione le transazioni finanziarie stabilendo una imposta del tipo Tobin-tax; ciò renderebbe possibile una maggiore trasparenza nelle transazioni che potrebbero essere controllate dalle autorità pubbliche e dalla giustizia.
I problemi che si osservano nel sistema finanziario internazionale, rispondono alle politiche neoliberali liberalizzatrici che sono la causa della volatilità inerente ai mercati finanziari, ma anche alla debolezza che caratterizza le politiche macroeconomiche nazionali nel mondo globale, senza che fino ad ora siano stati creati appropriati meccanismi di coordinamento tra le rispettive autorità.
Altri ostacoli derivano dal fatto che le monete internazionali sono quelle dei paesi industrializzati; ciò implica che una parte dell’intermediazione finanziaria deve essere fatta attraverso il mercato internazionale, controllato da queste economie forti. In tali condizioni i paesi sotto sviluppati debitori si vedono obbligati ad affrettarsi a contrarre prestiti di finanziamento, con scadenze imposte dai paesi creditori e nella moneta di questi ultimi.
Per quanto riguarda la prevenzione e la soluzione di crisi finanziarie, é necessario trovare un equilibrio tra l’enfasi che viene assegnata, nell’attuale dibattito, alla necessità di perfezionare il quadro istituzionale in cui operano i mercati (maggiori flussi di informazione e regolazione e supervisione prudenziali) e l’insufficiente attenzione che continuano a ricevere il disegno delle strutture adeguate che garantiscano la coerenza delle politiche macroeconomiche delle principali economie industrializzate, la adeguata assegnazione di finanziamenti di emergenza in epoche di crisi, e l’adozione di procedimenti adeguati di sospensione dei pagamenti con l’assenso internazionale e di rinegoziazione ordinata del debito estero di paesi che si trovano in condizioni critiche.
Nell’ambito del finanziamento allo sviluppo, deve essere data particolare importanza alla necessità di incrementare l’assistenza ufficiale allo sviluppo a paesi a basso reddito, e al ruolo essenziale che svolgono le banche multilaterali di sviluppo nella erogazione di risorse a paesi a basso e medio reddito che non hanno un accesso adeguato ai mercati, e nella assegnazione di finanziamenti a lungo termine a tutti i paesi sottosviluppati durante i periodi di crisi.
L’assegnazione di un maggiore finanziamento di emergenza con fini di sviluppo, dovrebbe completarsi con un nuovo accordo internazionale sui limiti reali della condizionalità, o la sua totale scomparsa ed il pieno riconoscimento del diritto sovrano di ogni paese di scegliere le politiche macroeconomiche e di sviluppo che considerino pertinenti.
Un altro degli elementi da tenere in considerazione, deve essere il trattamento del debito estero dei paesi sottosviluppati. Questo é uno dei fattori determinanti della povertà e l’emarginazione del Terzo Mondo, per cui le soluzioni del tema dovranno essere radicali ed integrali, partendo dalla possibile cancellazione dei debiti fino alla creazione di condizioni che favoriscano lo sviluppo.
L’architettura finanziaria richiesta attualmente, potrebbe consistere in una rete di istituzioni mondiali e regionali che prestino i servizi necessari in forma complementare in settori come il finanziamento di emergenza, la supervisione delle politiche macroeconomiche e la regolazione e supervisione prudenziale dei sistemi finanziari. In questi casi, soprattutto nel campo del finanziamento allo sviluppo, é preferibile un sistema di organizzazioni competenti.
In ogni caso, le politiche nazionali continueranno ad esercitare un ruolo fondamentale nella prevenzione delle crisi e certe aree dovrebbero continuare ad essere di dominio esclusivo dell’autonomia nazionale, in particolare la regolazione del conto di capitali e la scelta del regime cambiario. Le istituzioni regionali e l’autonomia nazionale sono particolarmente importanti per i partecipanti meno influenti in ambito internazionale. Anche se molti esperti concordano sul fatto che é necessario mettere in moto un meccanismo dissuasivo contro così tanta speculazione, la realtà rivela anche una grande opposizione all’idea di creare una tassa per tali ...

Indice dei contenuti

  1. PERCHE’ L’ ITALIA NON CRESCE
  2. Índice
  3. Frontespizio
  4. Perché l'Italia non cresce?
  5. L’ Italia non cresce perché investe poco in ricerca e sviluppo?
  6. Nonostante si sia investito molto nelle infrastrutture l’ Italia, non solo non è cresciuta, ma è persino regredita
  7. E’ colpa dell’ Euro, quando c’era la lira si stava bene.
  8. Il declino di oggi è causato dagli errori commessi negli anni ’80 e ’90
  9. L’ intervento di Draghi
  10. Le ragioni della Germania
  11. Un sostegno dell’ Europa che l’ Italia non ha saputo sfruttare
  12. In Italia gli occupati sono il 56,3% della popolazione, in Germania il 74%
  13. La globalizzazione come al tempo della scoperta dell’ America
  14. La globalizzazione e i nuovi strumenti di comunicazione di massa
  15. La globalizzazione finanziaria
  16. I paradisi fiscali
  17. Una fiscalità Europea
  18. Un nuovo modello economico: industria 4.0
  19. Dalla dittatura del proletariato alla prigione del precariato
  20. Le diverse ondate di automazione non hanno mandato in pensione il lavoro e la manodopera, ma oggi?
  21. Perché in Italia non si assume più?
  22. In Italia aumentano gli anziani e diminuiscono i bambini
  23. Il contributo degli immigrati
  24. La scuola italiana, una delle cause principali del declino
  25. No alle imposte sugli immobili che sono improduttivi si alle Imposte sui database e sui robot
  26. La web tax
  27. Un nuovo Feudalesimo
  28. Il plusvalore è determinato dalla forza del marchio
  29. Chi è il proprietario del marchio Made in Italy?
  30. La vera ragione per cui l’ Italia oggi non cresce
  31. Il programma di sviluppo della Commissione Europea.
  32. Abolire le imposte sul patrimonio delle imprese non legate al reddito prodotto.
  33. Abolire l’ IMU sulle seconde case.
  34. Recuperare l’ evasione fiscale imitando il sistema fiscale USA?
  35. Denaro e ricchezza
  36. Garantire il risparmio non speculativo
  37. La green economy
  38. I diritti acquisiti non esistono e non esiste un articolo della Costituzione che li prevede.
  39. Il nostro paese ha il dovere di riequilibrare la disparità di trattamento pensionistico tra padri e figli.
  40. Il nostro Paese ha il dovere di riequilibrare le retribuzioni
  41. Anche la classe politica deve fare la sua parte: il metodo Bergoglio
  42. Per restituire fiducia ai cittadini occorre attuare l’ art. 49 della Costituzione.
  43. Come rilanciare la scuola e di conseguenza il Paese?
  44. Perché gli studenti che arrivano all’ Università non sono preparati?
  45. Le scuole secondarie di primo grado non sono da meno
  46. Una giustizia da riformare
  47. La riforma del codice penale
  48. La Sanità Italiana al primo posto in Europa
  49. Le forze dell’ ordine: Polizia e Carabinieri Riforma della Pubblica Amministrazione
  50. Ripensare il ruolo delle Regioni e delle Province
  51. Determinazione del fabbisogno standard per tutte le Regioni
  52. La questione meridionale.
  53. Occorre una nuova riforma della Costituzione
  54. Il sogno di Altiero Spinelli Gli Stati Uniti d’ Europa
  55. Conclusioni