Sole d'estate (Novelle)
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Sole d'estate (Novelle)

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Sole d'estate (Novelle)

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Informazioni sul libro

Grazia Deledda (Nuoro 1871 – Roma 1936) è stata una scrittrice italiana, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926. « Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano. »
(Motivazione del Premio Nobel per la letteratura) INDICE
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Sole d'estate
Bonaccia
Cinquanta centesimi
Lo spirito della madre
Luna di settembre
Una creatura piange
Il vestito nuovo
Il moscone
Caccia all'uomo
Occhi celesti
Scherzi di primavera
La Madonna del topo
L'ospite
Leone o faina
I diavoli nel quartiere
Nozze d'oro
La tomba della lepre
Storia d'una coperta
L'anello di platino
Elzeviro d'urgenza
Lo stracciaiolo del bosco
Il tappeto
La chiesa nuova
La grazia
Numeri
Théros

Domande frequenti

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788831643450
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici


SOLE D’ESTATE


Grazia Deledda


BONACCIA

Anche le burrasche sono buone per i poveri. Il mare, come un padrone rabbioso che impone alla serva di fare una buona pulizia alla casa, rigetta a terra tutti i detriti che non gli garbano: e questi rifiuti formano la ricchezza dei poveretti della spiaggia. Ecco, per esempio, il signor Milio, proprio il signor Milio in persona, antico proprietario di un piccolo cantiere, percorrere il lido quanto è lungo, dallo sbocco del fiume al molo, con un suo misterioso sacchetto, bianco come la fodera di un guanciale: e come un guanciale la foderetta si gonfia, ma di bitorzoli duri che sembrano davvero batuffoli di lana schiacciata. Ognuno di questi bitorzoli neri è costato un ripiegamento della schiena del signor Milio, che oramai d’altronde è abituato ai ripiegamenti di ogni sorta: anzi l’aria freschina del mare, ritornato buono, giova all’antico armatore: il suo viso rosso congestionato si scolorisce un poco, le gambe, da prima incerte come quelle di un bambino che comincia a camminare, si rinforzano sempre più: gli occhi, oh, gli occhi, all’ombra del vecchio panama che sembra ritagliato dalla scorza scabra di un merluzzo salato, rivaleggiano, per l’azzurro e lo scintillio dorato, col colore del mare.
Ritornano amici, il mare e il signor Milio; ed egli si sente felice: la sbornia della sera prima è completamente smaltita, e l’uomo si promette con fermezza di non bere più, di riprendere a lavorare sul serio, e a poco a poco ricostruire la sua fortuna di un tempo. Per adesso continua a raccogliere, fra le alghe, fra i granchi morti, fra gli ossi di seppia e i barattoli arrugginiti, solo i suoi pezzetti di legno nero, che sono schegge di navi e barche naufragate, fossilizzati dal sale, ottimi per alimentare il fuoco nei giorni bianchi e gelati che a inesorabili passi si avanzano.
In attesa di questi giorni, anche la vecchia col naso rosicchiato da un male del quale non si osa neppure pronunziare il nome, tuttavia dicono che essa ha quasi cento anni e non vuole entrare nell’ospizio dei vecchi, fa la provvista per il fuoco, raccogliendo gli sterpi dell’arenile, tenendosi però a rispettosa distanza dal bel Luigino, già decorativo cameriere di alberghi estivi, che adesso si diverte, dice lui, ad estirpare i cardi selvatici, argentei e duri come minerale, dalle cui radici si estrae uno squisito liquore per marmellate.
Ma le vere ricchezze, i doni viventi del mare, se li prendono i pescatori a vela e con la sciabica: questi ultimi sono venuti anche di lontano, con la loro barca biblica, rossa, nera e azzurra, vigilata dalla Vergine Santa: e sono dodici, come gli Apostoli, tutti rossicci, chi calvo, chi ricciuto, con occhi chiari, glauchi, che a lungo andare hanno preso la trasparenza liquida di quelli di certi pesci. Anche la loro pelle, aspra di salsedine, ha il colore delle triglie: e tutto intorno a loro sa di frutta e di erbe di mare.
O era il profumo dei giunchi e delle gramigne che riprendevano un possesso quasi primaverile fino all’estremo limite della terra. Le dune ne erano già tutte ricoperte, e certi piccoli banchi di sabbia, rivestiti del loro tappeto, sembravano sedili da salotto. Una infinità di germogli di cocomeri e meloni, - ricordo di fresche scorpacciate estive, - verdeggiava inoltre fin sotto la schiuma tenera delle onde: e un cespuglio di radicchio vi fioriva in mezzo, tranquillo come in un prato, coi suoi fiorellini che davano l’illusione delle viole. E quante vespe, dorate e cattive come donne tradite! Perseguitavano, e questo è naturale, il bel Luigino, tentando di succhiare almeno la sua zappa; ma che cosa volessero dagli sterpi della vecchia, e sopratutto dal sacchetto del signor Milio, precisamente non si sapeva.
Egli le lasciava fare, perché a scacciarle è peggio; anzi era contento anche del loro ronzio, che annunziava la durata del tempo bello. E finché c’è il sole all’orizzonte è come esista ancora sulla terra una persona il cui affetto ci riscaldi il cuore. Egli invece era solo, sulla terra, in uno stambugio salvatosi a stento dal naufragio del cantiere come quelle schegge che egli raccoglieva religiosamente. Lo stambugio, una stuoia, una coperta, un fornello di pietra, una bottiglietta d’olio e un’altra sempre piena e sempre vuota di vino piuttosto che di acqua: ed egli pensava a questa sua casa come a una reggia.
Sì, il tenero sole di autunno fa bene al cuore. Ed anche i pescatori, nel tirare le corde della lunga rete che pareva venisse dall’altra riva del mare, si sentivano tutti caldi di bontà, di allegria, di appetito. È vero che nella mattinata avevano preso e subito spedito al mercato un bel quintale di pesce quasi tutto grosso e fino: adesso toccava a loro, e già ciascuno di essi faceva conto di succhiarsi uno sgombro e una fetta di razza, oltre il pane inzuppato nel brodetto. Uno dei più anziani, quello coi riccioli rosso-argento intorno alla nuca e i pantaloni con cento e una toppa di tinte diverse, aveva già fatto concorrenza alla vecchia dal naso rosicchiato, radunando un mucchio di sterpi in una buca della sabbia; e su due pietre appoggiò un recipiente che poteva essere una padella o un catino, a volontà: ci versò l’olio e attaccò fuoco. E il grande tulipano delle fiamme avvolse il recipiente, e parve guardarvi dentro come desideroso di travolgere nella sua gioia di vita l’olio che rispondeva friggendo: ma le manciate di cipolla tritata e poi la conserva rossa come sangue denso, che il cuoco versò senza risparmio nel soffritto, calmarono l’invito del fuoco. Sulle ginocchia piegate egli sorvegliava la sua opera, e intanto affettava un grosso pane quadrato, che pareva di pietra pomice e invece si apriva morbido e si sfogliava come un libro. Il coltello a serramanico, aiutato da uno stecco, serviva per rimescolare il sugo, il cui profumo attirava le vespe, subito però respinte dall’alito fumante del fuoco. Allora esse tentarono di assalire un disco di polenta fredda, posato come una torta su una carta pulita; ma l’uomo lo tirò accanto al fuoco, e con un filo più tagliente del coltello cominciò ad affettarlo.
Si accorgeva però che i compagni, già tirata la rete, mentre la scuotevano e la restringevano per i lembi, formando una specie di sacco in fondo al quale si ammucchiava il pesce, stavano insolitamente zitti e preoccupati. Pareva avessero pescato qualche cosa di triste, anzi di funebre: quasi un annegato. E in realtà non avevano pescato niente: niente in proporzione della vastità del loro stomaco vuoto. Infatti, sbattuti sulla sabbia, guizzarono molti granchi e pochi pesciolini che invero avevano l’argento vivo addosso; e, come capi della meschina famiglia, solo due sgombri di platino verdastro, che il pescatore più vecchio, quello mezzo nudo fasciato di cuoio come un guerriero barbaro, sgozzò subito con l’unghia del pollice, quasi per vendicarsi della miserabile pesca; mentre i granchi se la svignavano intorno simili a piccoli rospi grigi.
Il signor Milio, il bel Luigi coi capelli lucenti di un avanzo di brillantina, e più in là la vecchia degli sterpi, s’erano fermati a guardare la pesca irrisoria; e i due primi si permisero di scherzare.
- Un pesciolino per uno non fa male a nessuno.
Ma il pescatore che aveva sgozzato gli sgombri alzò il dito insanguinato e disse:
- Se volete ce n’è anche per voi.
L’ex-cameriere, abituato ai pranzi dei signori, fece una smorfia: la vecchia si scostò ancora di più, perché sapeva di non dover accettare: il signor Milio, invece, accolse evangelicamente l’invito; poiché tutto quello che Dio manda è buono. Per rendersi utile si offrì di andare a prendere l’acqua alla fontana, ma uno dei pescatori rispose:
- A noi piace l’acqua rossa.
E bastò questo perché l’allegria tornasse in tutti, mentre il vecchio sollevava, fingendo un grande sforzo, il lieve cestino dei pesci, e un altro tirava su dalla barca tre fiaschi dell’acqua rossa che a loro piaceva e piaceva anche al signor Milio.
Il pane, la polenta, il sugo erano abbondanti: furono lanciati bocconcini anche alle vespe, che si attardarono fino al tramonto nel posto ove rimanevano le orme dei pescatori e il profumo del loro brodetto e della loro bontà.

CINQUANTA CENTESIMI

In una bellissima novella di Gorki, c’è un vagabondo affamato, che nelle nuvole leggere e vaporose sull’orizzonte della steppa, vede vassoi fumanti e colmi di squisite vivande; ma quando nel suo delirio stende la mano per toccarli, quelli dileguano crudelmente, divorati dallo spazio. «Non toccare» «non toccare» «non toccare» era almeno scritto sui cartellini applicati come farfalle alle favolose piramidi di pere e di mele, ai graziosi pergolati d’uva perlata, alle coppe di melagrane e di cotogne, ed anche ai sacchetti di fichi secchi che parevano pasticcini, della mostra di frutticoltura: altrimenti Giulio, Marino e Gregorio, i tre inseparabili amici e compagni di scuola - prima tecnica - si sarebbero lasciati cogliere anch’essi da un delirio simile a quello del vagabondo.
- E se io dovessi toccare, che mai accadrebbe? - domandò Giulio, allungando la grossa mano traboccante dalla manica corta della giacca stremenzita.
- Ti mettono in gattabuia - rispondono i compagni a una voce, certi di canzonarlo. Poiché tutto era per loro canzonatura, derisione, anche cattiveria: quella cattiveria particolare in quel periodo dell’adolescenza chiamato l’età ingrata, che in fondo, con tutti i suoi turbini e i suoi splendori, è l’età più felice dell’uomo. Anche le meravigliose frutte esposte con sapienza sui banchi e sulle mensole erano giudicate da loro, per la forma o per il colore o per la posizione, con espressioni beffarde e piccanti: e tutto era buono per provocare risate e commenti salaci.
Non replicò, Giulio, alla minaccia della gattabuia; ma sapeva che poteva vendicarsi, e aspettò il momento con un sincero palpito di gioia.
- E adesso, carissimi amici, vi farò vedere come si può toccare questa roba, senza disturbare la benemerita arma, con le relative manette.
Erano arrivati in fondo alla lunga sala dove, come l’altare in una chiesa, s’innalzava una mensa con trofei di frutta ed anche di fiori ornamentali. In mezzo, su una coppa di cristallo, era deposta una pera gigantesca, di un colore quasi incandescente: e sulla parete un quadro di natura morta a tinte vivaci pareva uno specchio che riflettesse tanto ben di Dio. La folla vi si addensava intorno, con adorazione estetica, ma anche golosa, che si sarebbe volta in martirio se subito dopo l’altare, all’angolo della sala, sopra un banco ricoperto di sacchetti e barattoli, incoronato da un festone di gr...

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