La bottega dell'antiquario (Italian Edition)
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La bottega dell'antiquario (Italian Edition)

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La bottega dell'antiquario (Italian Edition)

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La bottega dell'antiquario (titolo originale The Old Curiosity Shop) è il quarto romanzo scritto e pubblicato da Charles Dickens, uscito per la prima volta a puntate su rivista tra il 1840-41 e subito dopo in volume. La storia tratta della giovane Nell, che vive sola col nonno materno - il cui nome non viene mai rivelato - in una vecchia casa di Londra chiamata The Old Curiosity Shop perché al piano terra ha un negozio pieno d'oggetti d'antiquariato. A seguito di tutta una serie di debiti contratti al gioco, il vecchio è costretto nottetempo a fuggire accompagnato dalla piccola orfana Nell.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788831646925
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

VOLUME SECONDO

EDIZIONE 1931

I.

Kit — poichè a questo punto abbiamo la fortuna non solo di aver l’agio di seguire le sue vicende, ma di veder le necessità di queste avventure adattarsi al comodo nostro e alle nostre predilezioni in guisa siffatta da imporci categoricamente di battere il sentiero che desideriamo di prendere — Kit, mentre maturavano i casi svolti negli ultimi quindici capitoli, aveva, pian piano, come il lettore può immaginare, pigliato sempre più dimestichezza col signore e la signora Garland, col signor Abele, col cavallino scozzese, e con Barbara, giungendo, pian piano, a considerarli tutti insieme come suoi cari affezionati amici, e a ritenere come casa propria il villino Abele a Finchley.
Un momento — le parole sono scritte, e possono passare, ma se dessero l’idea che Kit, per la tavola ben fornita e il comodo ricetto della nuova abitazione, avesse cominciato a pensar con compatimento allo scarso nutrimento e al povero arredamento dell’altra da lui lasciata, esse- farebbero male il loro ufficio e commetterebbero un’ingiustizia. Chi più di Kit pensieroso per quelli che aveva lasciati a casa — benchè non fossero che una madre e due bambini? Qual padre millantatore nella pienezza del suo entusiasmo raccontò mai d’un suo bambino prodigioso le meraviglie che non si stancava mai di raccontare Kit a Barbara la sera, sulle prodezze di Giacomino?
Vi fu mai una madre simile alla madre di Kit, nelle narrazioni del figliuolo; o vi fu mai tanta agiatezza nella povertà, se si poteva giungere a un giudizio esatto sulla scorta di quelle sue gloriose relazioni, quale nella povertà della famiglia di Kit?
E indugiamoci a questo punto un istante per notare che se mai la tenerezza e gli affetti domestici sono bellissimi sentimenti, essi sono bellissimi nei poveri. Le catene che legano i ricchi e i potenti alla casa possono essere foggiate in terra, ma quelle che tengono il povero stretto al suo umile focolare sono della materia più pura e portano l’impronta del cielo. L’uomo di alto lignaggio può amare le sale e i dominii del suo retaggio come una parte di sè stesso, come trofei della sua nascita e della sua potenza; le relazioni ch’egli ha con loro sono relazioni di orgoglio e di grandezza e di trionfo; l’affezione del povero alla dimora che lo ricetta, e che ha ricettato prima estranei, che domani possono albergarvi di nuovo, ha una più nobile radice, e si sprofonda nel suolo migliore. I suoi dèi casalinghi sono di carne e di sangue; egli non ha altra proprietà che gli affetti del proprio seno, e se gli fanno più cari dei pavimenti nudi e delle nude pareti, nonostante i cenci e le fatiche e lo scarso cibo, quell’uomo ha il suo amore alla casa direttamente da Dio, e il povero abituro ove si rifugia diventa un luogo santificato.
Ah! Se quelli che regolano i destini della nazioni solessero ricordare questo — se pensassero solamente come è difficile per i poveri avere nel cuore quell’amore del focolare da cui originano tutte le virtù domestiche, costretti come sono a vivere in fitte e squallide masse dove s’è perduta la decenza sociale, dove anzi non c’è mai stata — se essi lasciassero soltanto un po’ da parte le contrade eleganti e i grandi palazzi, e si sforzassero di migliorare le miserabili dimore dei vicoli dove può camminare soltanto la miseria, — molti tetti bassi mirerebbero più fedelmente il cielo di quel che non faccia il più alto campanile che ora si leva, come per beffarli col suo contrasto, orgogliosamente dal bel mezzo della colpa, del delitto, e di orribili morbi. Nelle cupe voci degli ospizi di mendicità, degli ospedali e delle prigioni, questa verità è predicata di giorno in giorno, ed è stata proclamata da anni. Non è una questione di poco conto — non è un appello della classe lavoratrice — non una semplice questione d’igiene popolare e di benessere che possa essere soffocata a fischi nelle serate parlamentari. Dall’amore della casa, origina l’amor della patria; e chi sono i patrioti più fedeli e i migliori nei tempi gravi — quelli che venerano il paese, possedendone le foreste, i fiumi e i campi, e tutto ciò che questi beni producono, o quelli che amano il loro paese, senza poter vantare un diritto pur che sia su una sola zolla di tanti vasti dominî?
Kit non sapeva nulla di queste cose, ma sapeva che casa sua era una poverissima dimora, e che quella in cui si trovava era molto diversa; e pure guardava continuamente indietro con grata soddisfazione e ansia affettuosa, scrivendo spesso delle lettere alla madre, e accludendovi spesso uno scellino, due scellini o simili piccole rimesse, secondo era in grado di fare per la liberalità del signor Abele. Talvolta, trovandosi nelle vicinanze, egli aveva il tempo di andare a trovarla, e allora grande era la gioia e l’orgoglio della madre di Kit, e molto rumorosa la contentezza di Giacomino e del piccino, e cordialissime le congratulazioni di tutti i vicini, che ascoltavano meravigliati i racconti intorno al villino Abele, e non si saziavano mai di sentirne decantare gli splendori e le magnificenze.
Benchè Kit godesse la massima simpatia della signora padrona di casa e del padrone di casa, e del signor Abele e di Barbara, è certo che nessun membro della famiglia aveva per lui l’attaccamento che gli dimostrava il capriccioso cavallino scozzese, il quale dall’essere il più caparbio e più ostinato cavallino scozzese che si trovasse sulla faccia della terra, era diventato nelle sue mani il più mite e docile degli animali. È vero che nell’esatta proporzione in cui diventava trattabile da parte di Kit, diventava recalcitrante a farsi governare da chiunque altri, come se avesse risoluto di tener Kit nella famiglia a qualunque rischio e pericolo, ed è vero inoltre che pur sotto la guida del suo favorito, talvolta si abbandonava a una gran varietà di strani capricci e bizzarrie, col massimo scompiglio dei nervi della padrona; ma siccome Kit spiegava che il cavallino lo faceva semplicemente per allegria, e che non aveva altro mezzo di dimostrare l’affezione che sentiva per i padroni, la signora Garland a poco a poco si lasciò indurre in questa credenza, nella quale infine si rafforzò così saldamente che se l’animale, in una delle sue effervescenze, avesse mandato in pezzi il carrozzino, essa sarebbe stata proprio sicura che non l’aveva fatto che con le migliori intenzioni del mondo.
Oltre a diventare in breve tempo una perfetta meraviglia in ogni ramo della scuderia, Kit si mostrò subito un volonteroso giardiniere, un lavoratore attivissimo nell’interno del villino, compagno indispensabile del signor Abele, che ogni giorno gli dava qualche nuova prova della sua fiducia e della sua approvazione. Anche il notaio, signor Witherden, lo guardava con occhio amichevole; e perfino il signor Chuckster a volte condiscendeva a fargli col capo un piccolo cenno, o ad onorarlo con quella speciale forma di ricognizione che si esprime con la frase far l’occhiolino, o a favorirlo con qualche altra forma di saluto che fondeva insieme l’affabilità con un sentimento di protezione.
Una mattina Kit trasportò col carrozzino il signor Abele allo studio del notaio, e avendolo deposto sul marciapiede della casa, stava per avviarsi a una scuderia lì presso, quando il signor Chuckster in persona emerse dalla porta dello studio, e gridò: «Uà aa-a!» calcando sulla nota per lungo tempo, col proposito d’incutere terrore nel cuore del cavallino scozzese, e affermare la supremazia dell’uomo sugli animali inferiori.
— Ferma, bellimbusto! — esclamò il signor Chuckster rivolgendosi a Kit. — Ti vogliono dentro.
— Il signor Abele ha dimenticato qualcosa, forse? — disse Kit smontando.
— Non far domande, bellimbusto — rispose il signor Chuckster; — ma va’ a vedere. Ua-a-a, non senti? Se il cavallo fosse mio, saprei io come domarlo.
— Per piacere, non lo irritate — disse Kit — se no, s’inalbera. E per favore sarà bene non toccargli le orecchie. So che non lo tollera.
A queste rimostranze il signor Chuckster non si degnò di rispondere che chiamando Kit, con un’altera e distante aria, «marmocchio»; e dicendogli di correre e ritornare in tutta fretta. Il «marmocchio» ubbidì, e il signor Chuckster si mise le mani in tasca; come se non stesse a badare al cavallino, ma fosse capitato lì per un semplice caso.
Kit si strofinò le scarpe accuratamente (poichè non aveva ancora perduto il rispetto per i fasci di carte e le scatole di latta), e picchiò alla porta dello studio, che fu aperta prontamente dallo stesso notaio.
— Ah! Entra, Cristoforo — disse il signor Witherden.
— È questo il ragazzo? — domandò un signore attempato, robusto e atticciato che si trovava nella stanza.
— È lui — disse il signor Witherden. — Egli s’imbattè col mio cliente, il signor Garland, proprio sulla porta dello studio. Ho ragione di credere, signore, che sia un buon ragazzo, e che possiate fidarvi di ciò che dice. Che io vi presenti il signor Abele Garland, signore… il suo giovane padrone, che fa pratica nel mio studio, ed è mio ottimo amico…; mio ottimo amico, signore, — ripetè il notaio, cavando di tasca un fazzoletto di seta e sventolandoselo intorno al viso.
— Vostro servo, signore — disse il forestiero.
— Servo vostro — rispose il signor Abele, dolcemente. — Desideravate di parlare a Cristoforo?
— Appunto. Me lo permettete?
— Ma figurarsi.
— Il motivo che mi spinge a questo non è segreto; o, per meglio dire, non occorre che sia segreto qui — disse il forestiero, osservando che il signor Abele e il notaio facevano l’atto di ritirarsi. — Si tratta d’un antiquario con cui egli lavorava e che m’interessa proprio molto. Da molti anni sono stato lontano da questo paese, signori, e se non so perfettamente le forme e le cerimonie, spero che mi vorrete scusare.
— Ma che scuse, signore… non occorrono scuse — rispose il notaio. E la stessa cosa disse il signor Abele.
— Io mi sono informato nel vicinato in cui abitava il suo vecchio padrone ed ho appreso — disse il forestiero — che aveva con sè questo ragazzo. Ho trovato la casa di sua madre, e lei mi ha diretto qui come il posto più vicino dove avrei potuto trovarlo. Ecco perchè mi son presentato qui questa mattina.
— Qualunque sia il motivo, signore — disse il notaio — son lieto ch’esso mi procuri l’onore di questa visita.
— Signore — ribattè il forestiero, — le vostre parole son quelle d’un uomo di mondo, e io faccio di voi un giudizio migliore. Perciò vi prego di non abbassare il vostro vero carattere col farmi dei complimenti insignificanti.
— Uhm! — tossì il notaio. — Voi parlate con molta schiettezza, signore.
— E schiettamente tratto — rispose il forestiero. — La mia lunga assenza e la mia inesperienza mi conducono, forse, a questa conclusione; ma se quelli che parlano schiettamente sono pochi in questa parte di mondo, immagino che quelli che trattano schiettamente siano in numero assai minore. Se mai le mie parole vi offendono, signore, la mia condotta, spero, mi farà scusare.
Il signor Witherden parve alquanto sconcertato dalla maniera con cui il forestiero conduceva il dialogo; e quanto a Kit, questi lo guardava stupito e a bocca aperta, domandandosi in che modo quel signore, che parlava con tanta libertà e disinvoltura con un notaio, si sarebbe rivolto a lui. Non fu con asprezza, però, benchè con un pizzico d’irritabilità nervosa e frettolosa, che quello gli si volse, dicendo:
— Se tu credi, ragazzo mio, che io raccolga queste informazioni con uno scopo diverso da quello di ritrovare e di giovare a quelli di cui vado in cerca, faresti un gran torto a me, e inganneresti te stesso. Ti prego di non ingannarti, ma di fidare sulla mia assicurazione. Il fatto sta, signori — aggiunse, volgendosi di nuovo al notaio e al suo allievo — che io mi trovo in una posizione molto dolorosa e assolutamente inaspettata. Son venuto in questa città con un caro disegno in cuore, con la speranza di non incontrare alcun ostacolo o alcuna difficoltà nella via della sua attuazione. Ma mi avveggo improvvisamente che non riesco ad arrivare all’esecuzione del mio proposito. Tutti gli sforzi che ho fatto non son serviti che a rendermela più difficile e ardua; e ora esito a muovermi apertamente, per tema che quelli di cui vado in cerca con tanta ansia, non abbiano a nascondersi ancora più lontano. Vi assicuro che se poteste prestarmi qualche aiuto, non ve ne pentireste… e come ne ho bisogno, e da che peso mi sollevereste!
La semplicità di questa confessione trovò simpatia nel petto del buon notaio, il quale rispose, con la stessa sincerità, che il forestiero non s’era sbagliato nel suo desiderio, e che se lui avesse potuto giovargli in qualche modo, si sarebbe messo tutto a sua disposizione.
Kit fu, dal signore sconosciuto, esaminato e minutamente interrogato, intorno al suo vecchio padrone e alla fanciulla, alla loro vita, le loro abitudini di ritiro, la loro solitudine. Le assenze notturne del vecchio, quando la fanciulla rimaneva sola in casa, la malattia e la guarigione di lui, l’entrata di Quilp in possesso della casa, e la improvvisa scomparsa del nonno e di Nella, furono gli argomenti tutti su cui si aggirarono le domande e le risposte. Infine Kit informò il signore che la casa era in quel momento da appigionare, e che un cartello sulla porta rimandava chi aveva intenzione di trattare dal signor Sansone Bronzi, avvocato, in Bevis Marks. Da lui forse il signore avrebbe potuto avere maggiori particolari.
— Non interrogandolo — disse il signore, scotendo il capo. — Io abito appunto lì.
— Abitate in casa dell’avvocato Bronzi! — esclamò il signor Witherden alquanto sorpreso, giacchè per relazioni di professione conoscev...

Indice dei contenuti

  1. LA BOTTEGA DELL’ANTIQUARIO
  2. Charles Dickens
  3. La bottega dell’antiquario
  4. LA BOTTEGA DELL’ANTIQUARIO
  5. VOLUME PRIMO
  6. VOLUME SECONDO